«L'EUROPA
SI ERA ILLUSA DI POTER EVITARE SCELTE DOLOROSE ORA INEVITABILI»
Marchionne:
«Le fabbriche italiane si salvano solo se esporteranno in America»
Intervista
all'a.d. Fiat: «Ma senza costi competitivi
dovremo ritirarci da 2 stabilimenti»
dovremo ritirarci da 2 stabilimenti»
Massimo
Mucchetti
MILANO
- «Ha visto? Chrysler ha ritirato la domanda dei prestiti federali
per le auto ecologiche». Il colloquio con Sergio Marchionne,
amministratore delegato della Fiat, parte dall'America e sull'America
finirà.
Dottor
Marchionne, perché decidere ora quando Gm vi aveva rinunciato tempo
fa?
«Perché
ora Chrysler non ha più bisogno di quei dollari...».
Tre
miliardi al tasso dello 0,1%.
«Alla
fine eravamo scesi a 2, ma il tasso d'interesse basso si accompagnava
a vincoli sugli aumenti di capitale e agli investimenti fuori dagli
Usa. Troppi per mettersi le manette».
Adesso
avete le mani libere.
«Sì,
i prestiti dei governi di Stati Uniti e Canada li abbiamo restituiti
nel 2011, versando mezzo miliardo di dollari quale risarcimento degli
interessi che avremmo dovuto pagare se fossimo rimasti debitori fino
alla scadenza».
Tiferete
per la riconferma del presidente Obama che vi diede Chrysler?
«Ci auguriamo un risultato elettorale chiaro, con la stessa maggioranza al Congresso e alla Casa Bianca. Sennò si fatica a governare».
«Ci auguriamo un risultato elettorale chiaro, con la stessa maggioranza al Congresso e alla Casa Bianca. Sennò si fatica a governare».
Sembra
neutrale. Con Obama lo Stato è intervenuto nell'economia.
Socialismo, accusano i repubblicani. Lei che pensa?
«L'intervento
dello Stato non può essere giudicato in assoluto. Io condivido i
valori americani, il primato dell'iniziativa privata. Ma nel 2008
l'economia intera stava andando alla malora. Il bail out dell'auto è
stato necessario perché il sistema finanziario non era più in grado
di affrontare i fallimenti. Ora i fondi Tarp sono stati quasi tutti
rimborsati».
Come
vede il 2012 per l'America?
«Sono
molto ottimista».
Con
tutto quel debito pubblico?
«In
quel concorso di bellezza che è la vita spesso vince la meno
brutta».
E
l'Italia?
«Non
siamo in condizioni floride. E però il nuovo governo, in pochissimo
tempo, ha dato al mondo l'idea di un Paese che sta svoltando. Un
successo incredibile. Ero a Washington durante la visita del premier
Mario Monti. Ha avuto un'accoglienza straordinaria: Monti è stato
un'ora a colloquio con il presidente Obama, ha riscosso grandissima
attenzione al Peterson Institute, il think tank più importante.
L'America è un animale enorme, che tende a percepire tutti gli altri
come piccoli. Non è facile che dia tanta importanza ai suoi
ospiti...».
Silvio
Berlusconi attaccava i giudici dall'estero. E lei non certo
incoraggiava i capitali internazionali dicendo che la Fiat non poteva
investire in Italia per colpa della Fiom.
«Un
momento: io non ho mai parlato male dell'Italia. Ho solo riconosciuto
quello che non va perché era serio farlo nell'interesse della Fiat,
che è un gruppo multinazionale, e, se permette, del mio Paese».
Se
in America le chiedessero: dimmi, Sergio, adesso conviene investire
in Italia?
«Conviene investire man mano che le riforme del governo Monti vanno avanti».
«Conviene investire man mano che le riforme del governo Monti vanno avanti».
Tra
queste spicca la riforma del mercato del lavoro. Che cosa pensa
dell'articolo 18?
«Che
ce l'ha solo l'Italia. Meglio assicurare le stesse tutele ai
lavoratori in uscita in modi diversi, analoghi a quelli in uso negli
altri Paesi. Diversamente, le imprese estere non capiscono e non
vengono qui a investire».
E
la Fiat che fa?
«La
Fiat sta investendo».
È
soddisfatto degli accordi sindacali?
«Sì.
Ora possiamo lavorare».
Come
mai allora, 14 mesi dopo il referendum, la produzione di Mirafiori
scende da 70 mila a 54 mila auto l'anno quando se ne dovrebbero
produrre 280 mila? Il progetto Fabbrica Italia, presentato
nell'aprile 2010 a palazzo Chigi, appare in ritardo.
«Pomigliano
è ripartita. Venga a visitarla: vedrà una fabbrica modello...».
Senza
più iscritti Fiom tra i neoassunti.
«Falso.
Si legga il Giornale . Riporta le parole on records di lavoratori che
erano iscritti alla Fiom e non ne vogliono più sapere. Ma abbiamo
deciso di non parlare più di Fabbrica Italia. Siamo l'unica azienda
al mondo da cui si pretendono informazioni così di dettaglio. Gli
investimenti li comunichiamo man mano li facciamo. E li facciamo in
base al mercato. A Mirafiori, non si lavora per riempire i piazzali
di veicoli invenduti. Ma Mirafiori tornerà a regime entro la fine
del 2014 con un modello Fiat e uno Chrysler».
È
sano che sindacalisti dal seguito non trascurabile siano costretti a
uscire dagli stabilimenti portandosi via gli scatoloni come i
banchieri della Lehman dopo il crac? Perfino negli anni di Valletta
le commissioni interne da vano cittadinanza a tutti.
«Lasciamo
la storia agli storici. Il quadro anche giuridico era diverso. La
Fiom si trova in questa situazione in seguito al referendum del 1995
sulle rappresentanze sindacali, che essa stessa aveva sostenuto, e
perché non firma quando pure l'accordo è stato approvato dalla
maggioranza assoluta dei lavoratori».
In
un Paese che ha avuto il terrorismo rosso è saggio isolare il
sindacalismo radicale?
«Onestamente,
non vedo oggi rischi analoghi a quelli di oltre trent'anni fa».
E
se il governo regolasse il diritto di sciopero e le rappresentanze
sindacali attuando gli articoli 39 e 40 della Costituzione, e dunque
riaprendo le porte delle fabbriche alle sigle che raggiungono un
certo quorum?
«Che senso ha schierarsi sulle ipotesi? Qualsiasi riforma non potrà prescindere dall'esigibilità degli accordi approvati dalla maggioranza dei lavoratori. La Fiat sarà coerente con le intese raggiunte con tutti gli altri sindacati e convalidate dalla magistratura. Se si assume le sue responsabilità, la Fiom può rientrare già adesso. Ma temo che Maurizio Landini stia facendo una battaglia politica».
«Che senso ha schierarsi sulle ipotesi? Qualsiasi riforma non potrà prescindere dall'esigibilità degli accordi approvati dalla maggioranza dei lavoratori. La Fiat sarà coerente con le intese raggiunte con tutti gli altri sindacati e convalidate dalla magistratura. Se si assume le sue responsabilità, la Fiom può rientrare già adesso. Ma temo che Maurizio Landini stia facendo una battaglia politica».
Difende,
dice, i diritti dei lavoratori.
«C'è
forse un sindacalista che dica il contrario? In pratica, vedo un
Landini più rigido, molto di più del suo predecessore, Gianni
Rinaldini, con cui si poteva dialogare».
Ha
mai cercato un chiarimento?
«Ci
sono stati incontri riservati con esponenti della Fiom. La sinistra
più intelligente ha provato a ricucire. Ma è andata male. Non
possono pretendere che, nei fatti, sconfessi Cisl, Uil, Ugl e
Fismic».
In
Cgil c'è ora Susanna Camusso.
«Con
Epifani si riusciva a ragionare di più. Camusso forse parla troppo
della Fiat e di Marchionne sui media e troppo poco con noi».
Vorrà
evitare che nasca una quarta confederazione a egemonia Fiom.
«Io
sono un metalmeccanico che fa automobili. E fatica a capire chi
considera Parlamenti i sindacati. In America, il capo della Uaw
comanda e sa prendere impegni. Lo stesso accade in Germania con l'Ig
Metal. E, mi creda, non sono sindacati comodi».
L'Italia
ha la sua storia.
«Di
troppa storia si muore».
La
sua dichiarazione pro Bombassei e l'eventuale rientro in
Confindustria non rischiano di trasformare il dopo Marcegaglia in un
referendum sulla Fiat?
«Al referendum non ci avevo proprio pensato. Ma riflettendoci non mi interessa molto. Ho voluto semplicemente dire che stimo Bombassei come persona e come imprenditore e che credo sia in grado di cambiare radicalmente Confindustria che, come tutto il Paese, deve essere profondamente modernizzata».
«Al referendum non ci avevo proprio pensato. Ma riflettendoci non mi interessa molto. Ho voluto semplicemente dire che stimo Bombassei come persona e come imprenditore e che credo sia in grado di cambiare radicalmente Confindustria che, come tutto il Paese, deve essere profondamente modernizzata».
Veniamo
ai bilanci. Parlate di record per il 2011, ma Fiat e Fiat Industrial
assieme fanno un utile della gestione ordinaria di 4,1 miliardi, pari
al 4,8% dei ricavi aggregati quando nel 1989 il gruppo Fiat portò a
casa, a moneta attualizzata, 4,8 miliardi di euro, pari al 9% dei
ricavi di allora.
«Nel
1989 c'erano business poi gradualmente ceduti: Telettra, Snia,
Impresit, sistemi ferroviari, Avio. Nel loro insieme, contribuivano
per 700 miliardi di lire al risultato operativo consolidato di 4.670
miliardi. A parità di perimetro e a moneta inflazionata, quel
margine sarebbe di 4 miliardi di euro. Dunque...».
Beh,
nell'89 non c'era Chrysler.
«Consolidi
allora pro forma Chrysler per 12 mesi e vedrà che il risultato della
gestione ordinaria arriva a 5 miliardi di euro: 3,3 miliardi Fiat Spa
e 1,7 Fiat Industrial».
Ma
su ricavi ancora maggiori. Dunque, i margini restano minori, fatale
per i produttori generalisti europei. Concentriamoci perciò su Fiat
Spa, il cui cuore è appunto l'auto. Ebbene, senza l'apporto di
Chrysler e la rivalutazione delle azioni Chrysler ottenute senza
esborso monetario, e con un'aliquota fiscale media del 24%, l'utile
netto consolidato di Fiat Spa supera di poco i 300 milioni. Non è
molto...
«Nel
2011, l'aliquota fiscale media è del 24% perché risente
dell'impatto quasi nullo dei proventi atipici. Con un carico fiscale
normalizzato in relazione ai diversi Paesi dove operiamo, e senza
Chrysler e i proventi atipici, l'utile sarebbe di 700 milioni...».
Escludevo
la quota delle minoranze. Ma non è questo il punto. Con trasparenza,
lei avverte che l'auto non è ancora a posto. Ed è questo il grosso
problema per l'Italia.
«In
effetti, ipotizzando Chrysler quale parte integrante del gruppo Fiat
per l'intero 2011 e non solo per i 7 mesi citati, si può stimare che
le attività automobilistiche in America Latina diano il 37% del
risultato della gestione ordinaria e quelle nordamericane il 52%. Il
resto del gruppo perderebbe appunto 500 milioni già a livello
operativo se non potesse compensare con i risultati positivi di
Ferrari, Maserati e componentistica».
Non
crede che la Fiat Spa abbia anche un debito troppo grande e troppo
costoso? Nel 2011 ha pagato 1,3 miliardi di oneri finanziari netti,
pari al 55% del risultato della gestione ordinaria.
«L'esborso
che lei cita comprende pure componenti di natura contabile per 200
milioni quali la valutazione degli equity swap e l'attualizzazione
dei fondi pensione. Fiat-Chrysler ha debiti finanziari per 26,8
miliardi di euro. Ma una ventina restano liquidi».
Gli
impieghi liquidi, si sa, rendono meno di quanto costi il debito.
Quanto meno?
«Quasi
700 milioni».
Non
converrebbe ridurre tanta liquidità?
«Ma
lei si fida dei mercati finanziari?».
Molto
poco.
«E
allora dovrà riconoscere che questa liquidità è la nostra polizza
contro un credit crunch ; il suo costo è il premio assicurativo».
Vedere
tanta liquidità ferma in un Paese che ha avuto la Parmalat...
«Ma
come si permette?! Si tratta di disponibilità liquidabili in tempi
brevissimi e investite con controparti solide. Nessun legame con FGA
Capital (la joint-venture con il Credit Agricole per il
finanziamento delle vendite, ndr ) né con le posizioni bancarie
dei concessionari. Non ci sono Gmac nel nostro perimetro, tanto per
capirci (Gmac era la «banca» commerciale di Gm che la tirò a
fondo, ndr ). Il fatto è che la liquidità serve perché è
finito il tempo dei convertendi!».
Spieghiamo.
Si chiamò convertendo un prestito di 3 miliardi che si convertiva
dopo 3 anni in azioni e che nel 2002 salvò la Fiat.
«Oggi le banche, con gli accordi di Basilea, non potrebbero fare un prestito di quel tipo nemmeno se volessero».
«Oggi le banche, con gli accordi di Basilea, non potrebbero fare un prestito di quel tipo nemmeno se volessero».
Quanto
pagano il denaro Fiat e Chrysler?
«La
prima il 6%, confermato anche nell'ultima emissione obbligazionaria
in franchi svizzeri, e l'altra poco più dell'8%».
Perché
questa differenza se Chrysler è meglio di Fiat? Il mercato si
preoccupa perché ha un patrimonio netto negativo per 3 miliardi di
dollari e uno netto tangibile negativo addirittura per 8
miliardi?
«Il patrimonio netto contabile di Chrysler risente degli oneri straordinari sostenuti al riavvio dell'attività nel 2009. E gli intangibles pesano per il 13% del totale di attività, impianti e macchinari per il 41%. Sono solo questioni contabili. Oggi il business fa profitti e cassa, le vendite aumentano del 26% in un mercato che cresce del 10%, ed è ciò che conta».
«Il patrimonio netto contabile di Chrysler risente degli oneri straordinari sostenuti al riavvio dell'attività nel 2009. E gli intangibles pesano per il 13% del totale di attività, impianti e macchinari per il 41%. Sono solo questioni contabili. Oggi il business fa profitti e cassa, le vendite aumentano del 26% in un mercato che cresce del 10%, ed è ciò che conta».
Chrysler
dovrà pagare pensioni per circa 32 miliardi di dollari e ha attività
finanziarie per 25,5 miliardi. Uno squilibrio pesante che non viene
ricompreso nel debito.
«La
quota unfunded del fondo pensioni non è un debito finanziario, ma un
impegno verso i dipendenti da onorare nel tempo. Molte imprese
americane hanno quote unfunded nei fondi pensione. D'altra parte,
l'1% in su o in giù nei tassi rivaluta o svaluta di 3 miliardi le
attività finanziarie del fondo Chrysler».
Le
decisioni della Federal Reserve contano più delle vostre, verrebbe
da dire. Ma se la Fiat sale all'80% del capitale Chrysler, diventa
responsabile in via surrogatoria di eventuali inadempienze del fondo
pensioni.
«Sarebbe un problema solo se Chrysler versasse in stato di insolvenza. Gli Organizational Documents di Chrysler, comunque, assicurano che Fiat non sarebbe soggetta a tali obblighi in maniera inattesa. Ma oggi Chrysler va bene, ne abbiamo il 58% e il resto appartiene al fondo Veba dei sindacati».
«Sarebbe un problema solo se Chrysler versasse in stato di insolvenza. Gli Organizational Documents di Chrysler, comunque, assicurano che Fiat non sarebbe soggetta a tali obblighi in maniera inattesa. Ma oggi Chrysler va bene, ne abbiamo il 58% e il resto appartiene al fondo Veba dei sindacati».
Che
rimarranno soci ancora a lungo?
«Non
troppo a lungo. O compreremo noi quelle azioni (abbiamo un'opzione) o
troveremo assieme il modo di ricollocarle».
Quale
futuro per Fiat-Chrysler?
«Le
ipotesi sono tre: a) un'offerta pubblica delle azioni Chrysler; b)
Fiat compra e sale al 100%; c) si fa la fusione Fiat-Chrysler che
comporterebbe l'automatica quotazione di Chrysler e diluirebbe sia
Veba che Exor».
Qual
è l'ipotesi più probabile?
«La
meno probabile è la prima».
Dottor
Marchionne, Giovanni Agnelli non volle rinunciare al controllo
sull'auto. Lei riconobbe con gli analisti che Fiat Auto da tanti anni
non ripagava il costo del capitale investito dai soci. Qual è il suo
mandato?
«Il
mio mandato nel 2004 era molto semplice: salvare un'azienda quasi
fallita. E ci siamo riusciti. Poi di rendere la Fiat redditiva. E il
risultato del 2011, pur in una situazione economica molto difficile,
mi pare testimoni che l'operazione è ampiamente riuscita».
L'entità
dei suoi compensi fa discutere.
«I
miei compensi hanno una parte fissa e una variabile costituita da
opzioni sulle azioni Fiat, e dunque legata alle quotazioni del
titolo. È questa che ha indotto a certi calcoli. In realtà, nel
2004, quando nessuno ci credeva, mi è stato assegnato lo stesso
numero di opzioni che aveva Giuseppe Morchio, e un prezzo d'esercizio
più alto. Per quattro anni su otto non avevano alcun valore. Se oggi
ce l'hanno, dipende dall'andamento del titolo di cui beneficiano
tutti i soci».
Ma
c'è un'enorme sproporzione tra i compensi dei top manager e quelli
del dipendente medio. Un tempo non era così.
«Trent'anni
fa non si era ancora creato un mercato delle competenze manageriali
come quello attuale».
Lo
spread tra le obbligazioni Volkswagen e quelle Fiat è superiore al
differenziale tra i Btp e i Bund tedeschi. Come mai?
«Ciascun
debitore ha la sua storia».
Infatti,
lo Stato italiano ha varato la manovra per risanare i conti pubblici.
La Fiat farà un aumento di capitale?
«Non
serve. Nel 2012 investiremo oltre 7 miliardi, ma senza aumentare il
debito. Useremo semmai un po' della nostra liquidità...».
E
intanto zero dividendo alle ordinarie.
«È
il momento di rafforzare il patrimonio. Più in generale, si deve
capire che l'auto è un business che, quando tira, genera molta
cassa. Già nel 2007 il gruppo Fiat aveva azzerato il debito
industriale netto».
Ne
avete abbastanza per reggere la sfida della multipiattaforma
Volkswagen per 20 modelli diversi?
«Fiat
spende in ricerca e sviluppo il 5,3% dei ricavi. La media dei
produttori generalisti europei è del 5,7%. Ce la stiamo giocando. La
multipiattaforma Volkswagen rientra nei processi di standardizzazione
e razionalizzazione comuni a tutti i produttori, anche se c'è chi ha
cominciato prima e chi, come noi, un po' dopo. Ferdinand Piëch è un
grandissimo. Ma con le sue 10 architetture, Fiat-Chrysler riuscirà a
non sacrificare le prestazioni delle vetture di segmento superiore e
a non caricare costi insostenibili su quelle di segmento inferiore.
Già nel 2014 metà dei nuovi modelli Chrysler e Fiat verranno da una
piattaforma comune».
Ford
e Gm varano piattaforme da 2 milioni di pezzi.
«Oltre
il milione le economie di scala tendono a esaurirsi».
Ma dove sono questi nuovi modelli?
Ma dove sono questi nuovi modelli?
«La
Fiat ha scelto di rallentare il lancio dei nuovi modelli per la
scarsità della domanda in Europa».
I
concorrenti fanno il contrario.
«Ed
ecco che Peugeot-Citroen, Opel, Renault e la stessa Ford Europe
perdono soldi nel Vecchio Continente».
Come
voi, del resto. Ma almeno hanno difeso le quote di mercato.
«Ragionando così non si va lontano. Guardiamo avanti. La domanda di automobili in Europa è destinata a rimanere bassa ancora a lungo. Almeno fino al 2014. Le case generaliste hanno troppa capacità produttiva...».
«Ragionando così non si va lontano. Guardiamo avanti. La domanda di automobili in Europa è destinata a rimanere bassa ancora a lungo. Almeno fino al 2014. Le case generaliste hanno troppa capacità produttiva...».
Secondo
il Financial Times, Renault e Psa sfruttano gli impianti al 62%, Fiat
al 50%. Volkswagen al 75%.
«Volkswagen
è un caso a parte. Ha cominciato 20 anni fa a scalare il mondo e ci
sta arrivando. La Francia invece si era illusa di poter reggere tale
e quale, magari con i sussidi statali. Ora anche Philippe Varin, il
mio collega della Psa, pone il problema dell'eccesso di capacità
produttiva in Europa. Ma la Fiat ha una straordinaria opportunità
negli Stati Uniti. Che hanno fatto quanto l'Europa si era illusa di
poter evitare: chiudere un certo numero di stabilimenti per abbassare
i costi fissi in relazione alla domanda attesa nella produzione di
massa. Le linee premium, dove eccellono Bmw, Audi, Mercedes, Porsche,
ma anche le nostre Ferrari e Maserati, sono tutto un altro film...».
L'Europa
come la Detroit del 2005?
«Ricordo
solo che Chrysler perdeva vendendo quasi 3 milioni di automobili,
oggi pareggia con 1,5 milioni e nel 2012 ne venderà 2,4 milioni. La
domanda sta rifiorendo...».
Chrysler
riaprirà i siti dismessi?
«No,
quelli sono finiti alla car.co in liquidazione. Le fabbriche della
nuova Chrysler stanno già marciando a pieni giri. Potremo aumentarne
un po' la capacità produttiva. Ma ormai negli Usa c'è un terzo
della domanda che potrà essere soddisfatta solo dal Messico, dal
Canada o dall'Europa. Gli stabilimenti Fiat italiani hanno
l'opportunità di esportare negli Stati Uniti. Questo penso di fare
per l'Italia ed è per questo che trovo insopportabilmente razzista
dipingermi come un uomo senza patria: svizzero, canadese, americano,
italiano a seconda delle comodità polemiche».
Che
cosa ci vuole adesso?
«L'indebolimento
dell'euro verso il dollaro aiuta, ma servono costi competitivi. Sa
perché gli Usa funzionano con un costo orario del lavoro più alto
di quello italiano? Perché si utilizzano in modo pieno e flessibile
gli impianti. L'Italia deve tenerne conto».
Ma
bisogna anche avere il prodotto. La Chrysler ha avuto la tecnologia
Fiat...
«Chrysler è tornata al profitto ristrutturandosi, e cioè con le sue forze. Il primo modello a tecnologia Fiat è la Dart. Che abbiamo cominciato a vendere adesso».
«Chrysler è tornata al profitto ristrutturandosi, e cioè con le sue forze. Il primo modello a tecnologia Fiat è la Dart. Che abbiamo cominciato a vendere adesso».
Grazie
agli accordi, Fiat ha avuto il 35% di Chrysler in cambio dell'accesso
a tutte le sue tecnologie da parte della casa di Auburn Hills. Il
governo americano le valuta miliardi di dollari. Nel bilancio
Chrysler sono iscritte per 320 milioni di dollari.
«Confermo
i numeri di Chrysler».
Che
danno a Fiat 120 milioni di guadagno.
«Il
prezzo delle tecnologie dipende dalle circostanze in un cui vengono
scambiate».
La
Fiat inventò il common rail e lo vendette per poche decine di
miliardi di lire.
«Non
giudico quelle scelte. Non c'ero. Nelle condizioni in cui è oggi la
Fiat non lo venderei. Magari ci farei una licenza».
L'Italia
ha ancora un cluster dell'auto competitivo oppure no?
«La storia è grande, ma anche la Grecia era il bacino della democrazia. Esistono ancora diffuse competenze. Non mancano tentativi di aggregazione. Ma manca una regia. E oggi anche la Chrysler sta dimostrando inaspettate capacità tecnologiche. Lo dico sempre ai nostri ingegneri: non si vive sugli allori».
«La storia è grande, ma anche la Grecia era il bacino della democrazia. Esistono ancora diffuse competenze. Non mancano tentativi di aggregazione. Ma manca una regia. E oggi anche la Chrysler sta dimostrando inaspettate capacità tecnologiche. Lo dico sempre ai nostri ingegneri: non si vive sugli allori».
Chi
dovrebbe essere il regista?
«Se
ne dovrebbe occupare chi guida la politica industriale del Paese».
La
Fiat non è riuscita a rilanciare l'Alfa Romeo. Perché non la cede a
Volkswagen?
«Perché non la vogliamo vendere. E in ogni caso Piëch vorrebbe solo il marchio».
«Perché non la vogliamo vendere. E in ogni caso Piëch vorrebbe solo il marchio».
Non
si prenderebbe un sito produttivo?
«So
quel che dico. E l'Alfa ci serve in America».
In
Brasile, Serbia, Usa la Fiat trova diversi ma sempre rilevanti aiuti
da parte degli Stati. Che cosa si attende dal governo italiano?
«Mi attendo soprattutto che non dia altri incentivi alle rottamazioni. È vero, in passato li abbiamo chiesti anche noi. E abbiamo fatto male. Anche perché hanno sostenuto al 70% le vendite dei concorrenti».
«Mi attendo soprattutto che non dia altri incentivi alle rottamazioni. È vero, in passato li abbiamo chiesti anche noi. E abbiamo fatto male. Anche perché hanno sostenuto al 70% le vendite dei concorrenti».
La
Fiat Auto ha lasciato Termini Imerese. Le restano Mirafiori, Cassino,
Atessa, Melfi e Pomigliano. Se non funzionassero le esportazioni
verso gli Usa, quanti sarebbero i siti eccedenti?
«Tutti
gli stabilimenti staranno al loro posto. Abbiamo tutto per riuscire a
cogliere l'opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli
Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5
in attività».
Quali?
«Ricorda Sophie's choice? Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste, ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l'incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda».
«Ricorda Sophie's choice? Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste, ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l'incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda».
(24
febbraio 2012)