Capita, a Napoli, che un Suv sosti accanto ad un marciapiede su un viale intensamente trafficato. Capita poi, a Napoli, che un omologo (del veicolo) gli si accosti affiancandolo e i due conducenti, sempre sullo stesso viale, si scambino affettuosità reciproche, del genere: “io ce l'ho più grosso (il fuoristrada) del tuo”. Accanto ai due bestioni (mezzi e proprietari) il susseguirsi di auto e motoveicoli continua senza soluzione di continuità, sebbene lo spazio disponibile sia visibilmente ridotto.
La conversazione amena e prolungata tra i due bestioni (proprietari) ostacola anche coloro che dal parcheggio devono uscire ed evidentemente non possono essere interessati alla congestione provocata dai due bestioni (mezzi). Bontà loro i due bestioni (proprietari) decidono che le informazioni scambiate sono sufficienti, magari per organizzare la serata e ripartono incolonnati tra lo strombazzare di ogni strumento disponibile.
Capita, a Napoli, che il sorpasso a destra sia una pratica abbastanza diffusa, soprattutto per i motorini che s'infilano in ogni spazio disponibile, meglio se ospitanti due persone, in genere con casco alternato (nel senso che il guidatore lo indossa e il passeggero no).
Capita, a Napoli, che la Polizia municipale sia molto attiva, in gruppi di tre o quattro agenti, a comminare multe per divieto di sosta, tralasciando tutte le altre irregolarità che, evidentemente, sono più difficili e anche rischiose da gestire. Meglio appartarsi nei pressi delle strisce blu (che peraltro sono quasi ovunque), a distanza però di sicurezza, mettiamo nei pressi di un bar e da lì tener sotto controllo la situazione. Se un auto gira in lungo e in largo, alla chiara ricerca di un parcheggio, si allungano i colli, si mostra un cipiglio che vorrebbe fungere da deterrente e l'automobilista normale, a meno che non guidi una Smart, viene dissuaso e si allontana sperando in una sorte più benevola.
Appunto la Smart. Capita, a Napoli, che ne girino parecchie, in genere guidate da donne, che sfrecciano aggressive, ignare (volutamente) di regole e comportamenti. Passano dovunque, strisce o non strisce (quelle che dovrebbero tutelare i pedoni), destra o sinistra che sia lungo le strade, sempre densamente frequentate.
Ora si prendano Smart e Suv, gli opposti automezzi, si mescolino assieme e si avrà un'idea, solo pallida veramente, di come funziona – si fa per dire – il traffico in una delle principali città italiane. Per amore di sintesi: senza regole.
Già, le regole, queste sconosciute, uno dei tanti motivi che rendono Napoli assai diversa dalle più importanti capitali europee con cui è affine solo nelle zone “bene” quelle dove si fa la fila ordinatamente davanti alla boutique, per esempio, di un noto marchio di scarpe.
Figli e figlie di evasori, oppure ladri fiscali padri e madri, attendono che il vigilante-gorilla li faccia entrare due a due nella basilica al cui interno non possono crearsi congestioni che turberebbero la coscienziosa scelta degli evasori di prima e seconda generazione.
Capita, a Napoli, che nella passeggiata serale di fine settimana, molto vivace e colorita, s'inserisca la bizzarra corporazione dei “pescatori di Mergellina”, che sfilano portando a spalla non so bene quali idoli. I “battenti”, a piedi nudi, richiamano l'attenzione con canti propiziatori, litanie trasmesse di padre in figlio, preceduti e seguiti dai membri più anziani che vanno elemosinando un contributo ai numerosi passanti e ai clienti dei vari bar all'aperto.
A proposito di Mergellina, accade che nella monumentale stazione “disabilitata” (nel senso che la biglietteria non è più funzionante da un mese) e candidata a diventare un hotel a cinque stelle per i clochard e i nullafacenti, ci sia un giovane – certamente non indigeno – impegnato a fare più biglietti self service. A pochissima distanza da lui, nell'androne altrimenti deserto con una solitaria e nascosta tabaccheria ancora aperta, gironzolano un paio di ragazzotti che di tanto in tanto prendono a calci un pallone, oppure lo facciano rimbalzare rumorosamente.
Il più grande dei due esibisce un cellulare di ultima generazione, ben stretto in una mano, alternando lo sguardo tra il largo display e le manovre del giovane alla biglietteria automatica. Devo fare anch'io il biglietto, ma avendo una certa premura mi trasferisco altrove. A distanza di giorni, tuttavia, mi sorprendo a chiedermi cosa sia accaduto al mite ragazzo dopo aver raccolto i biglietti (ammesso che sia riuscito a farli).
Ma la domanda che prevale sopra tutte le altre, disintegrandole, è: perché?
Lo stupore che sempre si rinnova, nonostante tutto, nonostante si sappia, sempre alla fatale domanda (“perché?”) si collega.
L'indignazione, soppressa ormai dall'indifferenza, riguarda questa domanda e l'oggetto della stessa: la “munnezza”.
Puzzolente più che mai, straripante ed aggressiva, composta da sacchetti di tutte le risme e colori, cartoni ammucchiati, carta svolazzante, cumuli che crescono giorno dopo giorno nella loro oscenità. E' indegno, questo stomachevole spettacolo, in un Paese che vorrebbe definirsi civile. Forse neppure nello sperduto Benin (per dire) si assiste a questa realtà sconvolgente.
Da molti mesi, in una via laterale ad un'altra, importante, di un quartiere densamente popolato, si intravede lo scheletro di quello che era un motorino, completamente arrugginito e sprofondato tra rifiuti di ogni genere merceologico: da vomito. Come il delirante rimpallo tra Asìa e Vigili Urbani sulla competenza nella rimozione.
La gente si trascina tra i marciapiedi, in realtà impercorribili, con apparente rassegnazione, immersa in un ambiente dove aleggia il senso cupo del disagio e della trascuratezza. Anche il sole, ne sono certo, quando si leva ad illuminare un paesaggio urbano così subumano, sarebbe tentato di tramontare immediatamente.
Tante zone deturpate da incuria e rifiuti appaiono spettrali nella loro tetraggine. C'è una lunga e immonda striscia di masserizie, scarti di lavorazione edile, materassi, accessori sanitari, materiale indistinguibile che fiancheggia l'ex zona industriale individuata come “Bagnoli futura”: l'occhio la percorre con rammarico e sconcerto crescenti per quello che avrebbe potuto essere (nei progetti) e che la noncuranza criminale della classe dirigente ha consegnato al degrado.
Poi ci s'imbatte in questo e in quest'altro ancora e allora si può ragionevolmente e sconsolatamente concludere che per Napoli non c'è speranza, anche se poi il sangue oggi si è sciolto.
"Qualche volta Dio uccide gli amanti per non essere superato in amore" Alda Merini.
lunedì 2 maggio 2011
Decomposizione napoletana
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