Quel pomeriggio del 18 aprile 2007 dovevo assolutamente scrivere un post. Si trattava di una necessità impellente, sotto la spinta dell’inquietudine che stava erodendo la friabile e fittizia tranquillità fin dal giorno precedente. Era già pronto il titolo, anzi la scelta si allargava a due. “In limine mortis” esprimeva in modo perentorio lo stato d’animo del momento. Ne fotografava ogni sfumatura, zoomando sui dettagli, anche quelli che non si volevano ammettere di fronte all’evidenza. Il secondo poteva essere: “Ultimi giorni?” con quel punto interrogativo aggiunto ad una tragica percezione, per stemperarne la terribilità e lasciare socchiusa la porta alla speranza.
Ma il cervello elettronico, come faceva da tempo, si rifiutava di assecondarmi. Il cervello umano stava invece inerpicandosi, con sorprendente facilità, lungo tortuosi tornanti, analogamente a quegli “stormi d’uccelli neri com’esuli pensieri nel vespero migrar”.
Poi un’accelerazione inattesa e sconvolgente per la sua repentinità. Alle 21.52 tutto si era compiuto. Mio padre mi aveva lasciato senza essere in grado di spiegare perchè. Non aveva avuto neppure la possibilità di uscire, per qualche istante, dal torpore prolungato di quel pomeriggio per salutarmi (in fondo avevamo vissuto tanti anni assieme).
Solo. Ero rimasto solo.
La brutalità della morte reca anche con sé, purtroppo, una sequenza di problemi pratici che relegano il dolore ad altri momenti, differendone l’elaborazione. E assieme ai problemi pratici, che sono poi segnatamente economici (la cassa integrazione, per esempio, continua) si aggiungono le agghiaccianti preoccupazioni per il futuro. Con la vita, la mia vita, la vita di chi è rimasto, che approda ad una rivoluzione epocale con la quasi certezza - a 50 anni - di ricominciare tutto privo di motivazioni, spente dall’allentamento prima e dalla diluizione poi di quella tensione emotiva (sebbene ammantata in buona parte d’ipocrisia) che mi aveva sorretto nelle ore successive.
Una parentesi troppo bella per essere vera e dunque irripetibile (temo) con una presenza momentanea accanto, sembrava confortare e rinvigorire l’agire quotidiano.
Poi l’apertura della busta fatale, otto giorni fa, che conteneva le ultime volontà assieme all’esatta e spietata sensazione che da lì si sono generati i germi del cambiamento e della mutazione radicale di comportamenti, dando l’addio alle piccole e quiete certezze del quotidiano. Lavoro da trovare che sia stabile e non precario, per fronteggiare una sopravvivenza difficile.
E il tempo che incalza, stravolge, soffoca e scandisce ritmi tanto diversi quanto inquietanti.
Mancano i particolari, ma quanto hai scritto basta per lasciarmi agghiacciata. Potresti essere un figlio mio avuto a 18 anni. Come un figlio ti abbraccio. Per consolarti e darti forza di reagire.
RispondiEliminaRossana
Rossana, ho volutamente evitato i particolari e tu hai interpretato bene quanto bastava. Come un figlio mi tuffo nel tuo abbraccio e ci resto (almeno un pochino). Grazie (ma si può ringraziare chi ti abbraccia? Semmai lo si abbraccia a sua volta).
RispondiEliminaFrank, ti saluto e rileggo finalmente.
RispondiEliminaTi mando un messaggio, per favore leggilo.
sermau
Leggendoti ho rivissuto la mia esperienza del tutto simile neanche troppo lontana nel tempo (tre anni) e quindi ti capisco, ti sono nel cuore oppure sei tu ad essere nel mio... non so... non so più nemmeno scrivere in questo momento.
RispondiEliminaDevi trovare la forza di reagire e non abbandonare mai la speranza.
Un abbraccio pieno di affetto da Fioredicampo.
Questi messaggi sono pieni d'amore, Frank. Quando ne hai fin sopra i capelli, torna qui, fra la gente che ti ama. E RESPIRA!
RispondiEliminasermau, ho letto ho letto. Grazie per l'idea e il pensiero presente. A presto anche da te.
RispondiEliminaFioredicampo, sai scrivere intingendo la penna nel cuore e tutto viene sospinto dalla tua partecipazione e dal tuo affetto. Che mi serve e tanto. Spero di seguire la tua esortazione. Grazie davvero.
L'abbraccio è ampiamente ricambiato.
samuelesiani, non sapendolo hai preconizzato ciò che faccio molto spesso, vale a dire tornare a rileggere commenti per fare rifornimento di tante cose. E a maggior ragione in questa circostanza. Perchè di respirare ho dannatamente bisogno. Grazie.
Caro Franck, mi piacerebbe trovare parole di consolazione, ma, ahimè, non ce ne sono. La vita continua, e ti offrirà ancora occasioni e vicende, ma la perdita di un buon padre o di una buona madre non si rimedia; rimane un vuoto sempre uguale, anche dopo anni. Però serve, quel vuoto, ornarlo di ricordi, circondarlo della memoria dei gesti, condividerlo. E spesso è la persona che non è più presente a rincuorare chi resta, con una voce dal dentro. Un abbraccio grande.
RispondiEliminaIn limine mortis? Ultimi giorni? Sono le mie stesse domande ancora oggi, caro Frank, con in più il cruccio di essermele poste troppo tardi. Fosti tra i primi, esattamente tre mesi fa, a offrirmi la dolcezza delle tue parole. "Sento con te", amico caro, ed è per questo che non so che offrirti affetto e amicizia.
RispondiEliminaTi abbraccio. harmonia
Ho provato a chiamarti...e riproverò.
RispondiEliminaUn bacio