“L'ho
amata tanto. Lo so che è così, perché i ricordi non mentono, le
emozioni non tradiscono e guardandomi indietro vedo solo una lunga
strada, un rettilineo che ho percorso condividendo. Mi è sempre
piaciuto molto il passaggio dalla prima persona singolare, alla prima
plurale, perché trascina con sé una crescita, un arricchimento. E i
ricordi sono tutti declinati alla prima persona plurale. Parlando
assieme si adoperava il “noi”, decidendo quale iniziativa seguire
si adoperava il “noi”, anzi no, magari arrivava prima l'uno o
l'altra a chiedere: “Cosa vorresti fare?”, ma poi sempre in due
si agiva.
Le
foto hanno contrassegnato il cammino insieme, persino qualificandolo.
Si capisce, osservando quelle immagini, che erano scatti di amore.
Che sono scatti di amore, perché le foto non scompaiono e, in taluni
casi, diventano materia via, palpitano.
Il
piacere dell'attesa di rivederla, che poi era gradevolissimo
prolungare qualunque fosse stato il motivo. Magari un ritardo, una
coincidenza che salta. L'irritazione prima e la considerazione
ponderata dopo, trasformavano il negativo in positivo. Pure se quel
ritardo non si sarebbe più recuperato. Ma c'era la pienezza del
rapporto che
assorbiva senza scorie l'imprevisto. Il problema nasceva alla
partenza, anzi il giorno prima della partenza che già sapevi sarebbe
stato l'ultimo tutto completo. E per allontanare, rimandandola, la
mestizia del distacco, il proposito immediato era quello di godersela
totalmente quella giornata, seppur caratterizzata, nei vari periodi,
dall'ultimo pranzo o dall'ultima cena (ma quella portò male a
qualcuno già in
illo tempore).
Si
fingeva, fingevo con me stesso, ma sapevo che non era la stessa cosa
e incombeva il giorno dopo che, rifletto adesso, non era che l'inizio
di un nuovo conto alla rovescia per il successivo incontro. Già.
Sapevo,
anzi sapevamo che ci sarebbe stato. Non ne avevamo già parlato
forse? Non avevamo compulsato il calendario alla ricerca della giusta
convergenza? Tutto bene, no? Tutto risolto? Era sempre un penultimo
saluto. Mai l'ultimo. Già.
Ma
la sequenza si sarebbe interrotta e stringe troppo il cuore, fino a
far male, focalizzare l'ultima immagine, l'ultimo sguardo, l'ultimo
bacio”.
Si
interrompe. Si alza. Se ne va. Gocce di pioggia sul vetro della
finestra scivolano come lacrime sul viso.