"Qualche volta Dio uccide gli amanti per non essere superato in amore" Alda Merini.
giovedì 19 luglio 2012
lunedì 2 luglio 2012
Attentato al lavoro
L'ora
della verità
Piergiovanni
Alleva*
In
primo luogo. Con l'approvazione del disegno Fornero di riforma del
mercato del lavoro, è giunto per tutti - partiti, sindacati,
operatori giuridici, sociali e culturali e per lo stesso Governo - il
momento della verità. Infatti, con il sostanziale svuotamento
dell'art.18 dello Statuto, si chiude una parabola che ha abbracciato
quattro decenni all'insegna della garanzia della dignità del lavoro.
Con
l'art.18 prevedente, in caso di licenziamento arbitrario, la
reintegra nel posto di lavoro, il lavoratore poteva esercitare con
tranquillità - durante il rapporto - tutti i suoi diritti, legali e
contrattuali, perché la legge imponeva al datore di giustificare
lui, a pena di annullamento, l'eventuale licenziamento che volesse
intimargli,indipendentemente dalla possibilità del lavoratore di
dare la difficilissima prova di una volontà di rappresaglia contro
l'esercizio di quei diritti.
Ora
l'art.18 come norma antiricatto è nella sostanza venuta meno e
quindi si realizza il disegno di parte datoriale di poter contare su
uno strumento sicuro di dominio, costituito dalla minaccia sempre
incombente sul lavoratore di licenziamento, giustificato o meno.
Questo
è il cuore del problema, che ormai conoscono tutti.
Di
fatto il governo, dopo aver messo alla disperazione decine di
migliaia di persone con la manomissione del sistema pensionistico,
completa ora il lavoro sporco affidatogli «a tempo» dai ceti
dominanti.
Anche
i grandi sindacati, che avrebbero potuto, come in altre occasioni,
bloccare questa micidiale controriforma con un'estesa e convinta
mobilitazione e con un forte sciopero generale, questa volta - invece
- non l'hanno promosso.
Anche
il maggior partito progressista avrebbe potuto, specie dopo i
risultati delle elezioni amministrative, semplicemente alzare un dito
per bloccare questo sbilanciato provvedimento. Invece ha preferito
diventare la nuova spalla su cui poggia l'arma della diseguaglianza e
del ricatto occupazionale.
In secondo luogo. Da parte nostra, però, sarebbe ingiusto emettere così drastici e impietosi giudizi, senza darne una spiegazione scientifica e tecnica, corroborata da una esperienza operativa durata quaranta anni.
Per onorare questo obbligo, esponiamo di seguito uno schema di lettura della riforma Fornero, da cui risulta, anche oltre il suddetto «cuore del problema», una valutazione complessivamente negativa e penalizzante per il lavoro nelle varie forme dipendente.
In secondo luogo. Da parte nostra, però, sarebbe ingiusto emettere così drastici e impietosi giudizi, senza darne una spiegazione scientifica e tecnica, corroborata da una esperienza operativa durata quaranta anni.
Per onorare questo obbligo, esponiamo di seguito uno schema di lettura della riforma Fornero, da cui risulta, anche oltre il suddetto «cuore del problema», una valutazione complessivamente negativa e penalizzante per il lavoro nelle varie forme dipendente.
1.
La riforma è idealmente divisibile in tre parti, di cui quella
centrale riguarda appunto la «flessibilità in uscita», ossia la
riforma della disciplina dei licenziamenti. Essa riduce la
possibilità di reintegra nel posto di lavoro a ipotesi del tutto
marginali e generalizza invece, quale sanzione per i licenziamenti
ingiusti, una semplice indennità economica di importo compreso tra
12 e 24 mensilità.
Che si tratti di un pauroso salto all'indietro, in definitiva l'ha riconosciuto anche il governo, che - proprio per questo - ha dichiarato di offrire «compensazioni» costituite dalle altre due parti della legge Fornero, dedicate rispettivamente alla riforma della «flessibilità in entrata», ossia alla limitazione e messa sotto controllo del precariato e alla riforma degli «ammortizzatori sociali», quali cassa integrazione, indennità di mobilità e di disoccupazione, che - si è detto - la nuova legge avrebbe migliorato, proprio in considerazione della maggior facilità di licenziamento accordata alle parti datoriali.
Che si tratti di un pauroso salto all'indietro, in definitiva l'ha riconosciuto anche il governo, che - proprio per questo - ha dichiarato di offrire «compensazioni» costituite dalle altre due parti della legge Fornero, dedicate rispettivamente alla riforma della «flessibilità in entrata», ossia alla limitazione e messa sotto controllo del precariato e alla riforma degli «ammortizzatori sociali», quali cassa integrazione, indennità di mobilità e di disoccupazione, che - si è detto - la nuova legge avrebbe migliorato, proprio in considerazione della maggior facilità di licenziamento accordata alle parti datoriali.
Ebbene,
noi affermiamo - sfidando chiunque a sostenere il contrario - che
proprio questa della «compensazione» è la menzogna più odiosa,
perché sia sul versante della «flessibilità in entrata», sia su
quello degli «ammortizzatori sociali», la legge Fornero è
drasticamente peggiorativa rispetto alla normativa attuale.
Non
temiamo di affermare, anzi, come non ci sia una sola norma che, al di
là dell'apparenza, sia davvero «migliorativa». Ed è
demoralizzante che la maggior forza politica progressista abbia
avallato l'ingannevole interpretazione della «compensazione».
Vediamo come stanno veramente le cose.
Nella «flessibilità in uscita» la riforma Fornero affronta quattro tipi di licenziamenti.
Nella «flessibilità in uscita» la riforma Fornero affronta quattro tipi di licenziamenti.
a)
Nel licenziamento «discriminatorio» non cambia nulla, perché ben
si sa che trattasi di figura solo teorica per l'eccessiva difficoltà
della prova.
b) Nel licenziamento «disciplinare» - vero cuore della tematica - la possibilità di reintegra viene limitata a casi di scuola e ridotta a una sorta di foglia di fico. In sostanza, per aversi reintegra, occorrerebbe o che il datore si fosse inventato tutto o che avesse letto male il contratto collettivo, applicando il licenziamento dove doveva applicarsi una sanzione più lieve.
b) Nel licenziamento «disciplinare» - vero cuore della tematica - la possibilità di reintegra viene limitata a casi di scuola e ridotta a una sorta di foglia di fico. In sostanza, per aversi reintegra, occorrerebbe o che il datore si fosse inventato tutto o che avesse letto male il contratto collettivo, applicando il licenziamento dove doveva applicarsi una sanzione più lieve.
c)
Nel licenziamento «per motivo oggettivo», la reintegra è limitata
all'ipotesi di «manifesta insussistenza» del fatto addotto come
motivo del licenziamento, applicandosi altrimenti la sola sanzione
economica.
Torna alla mente, anche qui, l'immagine ipocritamente pudica della foglia di fico.
Torna alla mente, anche qui, l'immagine ipocritamente pudica della foglia di fico.
d)
Nel licenziamento «per riduzione di personale» si sancisce il
gravissimo arretramento che i vizi riguardanti la procedura sindacale
di esubero non danno più luogo a reintegra, ma solo ad un'indennità
economica.
2. Nella «flessibilità in entrata», il vantato giro di vite normativo sull'abuso dei contratti a progetto e sulle false partite iva con monocommittenza si riduce a riprendere risapute interpretazioni già acquisite in via giurisprudenziale, ma con un grosso arretramento con riguardo ai rapporti di consulenza a partita iva, perché la monocommittenza viene legata a indici empirici facilmente aggirabili. Ad esempio, l'aggiramento può essere realizzato con la previsione delle fatturazioni non a una sola società, ma a più società tra loro in qualche modo collegate.
2. Nella «flessibilità in entrata», il vantato giro di vite normativo sull'abuso dei contratti a progetto e sulle false partite iva con monocommittenza si riduce a riprendere risapute interpretazioni già acquisite in via giurisprudenziale, ma con un grosso arretramento con riguardo ai rapporti di consulenza a partita iva, perché la monocommittenza viene legata a indici empirici facilmente aggirabili. Ad esempio, l'aggiramento può essere realizzato con la previsione delle fatturazioni non a una sola società, ma a più società tra loro in qualche modo collegate.
Ma
è sul contratto a termine e sul contratto di lavoro somministrato
che la riforma Fornero ha dato, contrariamente alle promesse, briglia
sciolta al precariato, prevedendo che possa essere privo di causale
il primo contratto a termine della durata di ben 12 mesi e così
anche anche il primo contratto di somministrazione. Contratto che
anche in altri casi è stato esentato dall'obbligo della causale.
Basterà dunque assemblare tra loro in maniera accorta i vari tipi
contrattuali previsti, per realizzare quel precariato permanente di
persone ultra ricattabili, che è il vero risultato - a parer nostro
voluto - della riforma Fornero.
3. Nella parte relativa agli «ammortizzatori sociali» viene adottato un criterio di malthusianismo sociale. Infatti, al primo soffio di difficoltà le imprese potranno licenziare, perché non ci sarà più quella «cassa integrazione straordinaria» tradizionale che per la classe operaia italiana ha rappresentato sul piano collettivo una garanzia simile a quella dell'art.18 sul piano individuale.
3. Nella parte relativa agli «ammortizzatori sociali» viene adottato un criterio di malthusianismo sociale. Infatti, al primo soffio di difficoltà le imprese potranno licenziare, perché non ci sarà più quella «cassa integrazione straordinaria» tradizionale che per la classe operaia italiana ha rappresentato sul piano collettivo una garanzia simile a quella dell'art.18 sul piano individuale.
Fosse
stata vigente in passato la legge Fornero, non sarebbero oggi ancora
aperte fabbriche come Fiat, Breda, Ansaldo, Finmeccanica, che sono
riuscite a ristrutturarsi anche grazie alla cigs.
Per
fortuna questa follia dovrebbe entrare in vigore solo nel
2016.
Infine. Ci permettiamo solo una considerazione finale, ricordando come l'art. 8 del dl 138/2011 fu un «colpo di coda» potenzialmente devastante che il governo Berlusconi riusci a fare passare, disponendo della maggioranza parlamentare.
Infine. Ci permettiamo solo una considerazione finale, ricordando come l'art. 8 del dl 138/2011 fu un «colpo di coda» potenzialmente devastante che il governo Berlusconi riusci a fare passare, disponendo della maggioranza parlamentare.
Le
forze di opposizione promisero correttamente l'abrogazione, alla
prima occasione possibile, di quella folle previsione che consente di
derogare ai contratti collettivi mediante contratti aziendali.
Tuttavia la norma è ancora in vigore.
Che
dire allora di questa riforma Fornero, tanto grave e pericolosa, che
però tra qualche mese non avrà più genitori politici in
attività?
Qualcuno adotterà allora come suo figlio il piccolo feroce mostro così rimasto orfano?
Qualcuno adotterà allora come suo figlio il piccolo feroce mostro così rimasto orfano?
Sarebbe
il caso già di pensare a una sua abrogazione anche referendaria -
magari assieme all'altra mostruosità dell'art.8 - per iniziativa di
lavoratori, cittadini, associazioni sociali e culturali ancora
consapevoli dell'importanza per il nostro Paese di norme di
salvaguardia della dignità del lavoro e di garanzia di civile
convivenza.
(26 giugno 2012)
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