La secessione è già iniziata muovendo il primo passo ad Adro, senza che questo sfregio alla Costituzione, al Tricolore e alla Democrazia sia stato percepito per la carica eversiva che riveste.
Ad Adro la Lega, partito di governo, ha cominciato a marcare il proprio territorio, definendo i confini di uno “stato” che non esiste, creando frontiere dove non ci sono mai state. Una bomba di deflagrante potenza che ha scosso le fondamenta del Paese in cui sono nato e vivo. Ma a preoccupare erano le contestazioni a Dell’Utri, a Schifani e il fumogeno lanciato verso Bonanni.
Perché la Lega – e mi chiedo come mai ancora non si sia capito – è nata per entrare in lotta aperta e virulenta con la Repubblica Italiana. Altro che partito di governo! E su questo mostruoso equivoco si è dipanata la sua storia che ha toccato ad Adro, con la privatizzazione della scuola, un punto di non ritorno. Un gesto ignobile e vergognoso, le cui devastanti conseguenze sfuggono alla comprensione dell’opinione pubblica, in uno stato ormai di perenne afasia.
Il video che apre questo post dovrebbe, piuttosto, spalancare gli occhi e far sobbalzare per la violenza delle parole. Quell’invettiva, più volte ripetuta, che “siamo ad Adro, non in Italia”, non trascina con sé i ricordi e la memoria di un tempo che si pensava congelato dalla Storia?
Eppure si è cambiato decisamente argomento, come amano ripetere i conduttori dei telegiornali e quella scuola, con i suoi simboli pacchianamente distribuiti, mantiene una cupezza inquietante.
Un vulnus non più rimediabile, lo squarcio che si è aperto nella convivenza civile, infettando le nuove generazioni che guardando il “Sole delle Alpi” si troveranno invece accecate dall’oscurità oscena dell’ignoranza, dell’intolleranza e del razzismo.
L' orgoglio della Gelmini. Parte una riforma storica
ROMA - Il ministro Mariastella Gelmini la definisce «una giornata storica»(...) «La scuola italiana - dichiara la Gelmini - cambia e parte la riforma che era attesa da decenni. Viene completamente ridisegnata la struttura della superiore, all' insegna della chiarezza e della modernità»(…) A tenere banco in queste ore è la polemica sul nuovo polo scolastico di Adro (Brescia), dedicato all'ideologo della Lega Gianfranco Miglio. L'esposizione del "Sole delle Alpi" (simbolo della Lega) su banchi, vetrate e perfino sullo zerbino non è andato giù neppure alla ministra di Leno. «Francamente, il sindaco di Adro ci ha abituato ad un certo folklore, ad un certo estremismo, che ovviamente io come ministro dell'Istruzione - dice la Gelmini - non condivido, ma forse nemmeno tutto il partito della Lega può condividere esasperazioni che non fanno bene neanche a quel movimento». Una vicenda, questa di Adro, che Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria del Pd, bolla come «inqualificabile» e da «ventennio» fascista. (…). E mentre Bersani definisce il taglio di 133 mila posti in tre anni varato dall'esecutivo come «il più grande licenziamento di massa della nostra storia», la Gelmini apre ai precari parlando «150 mila assunzioni in otto anni». Per risolvere il problema del precariato l' unica soluzione è il numero programmato introdotto dalle nuove regole per il reclutamento annunciate tre giorni fa. «Entro il 2018 assorbiremo 220 mila precari» assicura il ministro. Ma una pubblicazione dello stesso dicastero la smentisce: serviranno forse 15 anni.
SALVO INTRAVAIA
(13 settembre 2010)
IL CASO
L'intolleranza leghista
di MICHELE SERRA
A proposito di violenza politica. Una scuola pubblica italiana (Adro, provincia di Brescia) è stata di fatto privatizzata dalla locale giunta e trasformata in scuola leghista, intitolata al professor Gianfranco Miglio. Sole delle Alpi impresso sui banchi, sui cestini dei rifiuti, sugli zerbini, sui tavoli, sui cartelli, sulle finestre, sul tetto, ovunque. Unico altro simbolo ammesso e anzi imposto è il crocifisso, che a scanso di equivoci è stato imbullonato ai muri: una specie di doppia crocifissione, povero Cristo.
L'episodio, quasi incredibile nei suoi termini di cronaca, e decisamente spaventoso in termini di democrazia, è inedito nella storia della Repubblica. Scuole di Stato con lo scudo crociato, o la falce e martello, o altri simboli di partito, ovviamente non se ne erano mai viste, per il semplice fatto che nessuno aveva mai osato concepire una così inconcepibile violazione di uno spazio pubblico: nemmeno nelle fasi più convulse e faziose della nostra tormentata vita politica. A Adro invece è accaduto, anche grazie alla partecipe collaborazione di una comunità fortemente coinvolta nella costruzione del nuovo plesso scolastico, fino a finanziarne gli arredi. La stessa comunità, con in testa il sindaco Oscar Lancini, non era intervenuta con altrettanta sollecitudine quando si trattò di far quadrare i conti della mensa scolastica, messi in crisi da una mora di poche migliaia di euro. Fu un imprenditore locale, allora, ad accollarsi generosamente quella spesa, guadagnandosi lo spregio e l'ira di molti suoi concittadini, sindaco in testa.
Alla maggioranza leghista di Adro (non solo alla Giunta) dev'essere sembrato ovvio considerare ininfluenti eventuali obiezioni, disagi, proteste da parte di chi leghista non è, e ritenendo di iscrivere i figli alla locale scuola pubblica (che vuol dire: la scuola di tutti) li ritrova iscritti d'ufficio a una scuola "verde", involontaria parodia delle scuole coraniche. L'omissione di questo scrupolo basilare (esistono minoranze, a Adro? vanno rispettate? tenute in considerazione?) è l'aspetto più sconvolgente della vicenda. Perché illustra una sorta di intolleranza "naturale" tipicissima dei regimi e delle masse plaudenti che li sostengono, alla quale non siamo più avvezzi da sessantacinque anni. Le macroscopiche violazioni di legge, e perfino gli aspetti anticostituzionali, passano quasi in second'ordine rispetto all'impressionante spettacolo di una comunità così autocompiaciuta della propria coesione politica da stabilire l'inesistenza degli "altri", e non solo gli stranieri: ora anche i non leghisti. Gli italiani.
Ce ne sarà pure qualcuno, a Adro, di non leghista. Che deve fare? Subire e tacere? Emigrare, perché italiano e non "padano", inaugurando così l'incredibile paradosso di italiani che si sentono extraterritoriali in Italia (non più "padroni a casa loro", per dirla con la Lega)? Sarà molto istruttivo vedere, al di là delle dichiarazioni di circostanza, quali provvedimenti concreti vorranno prendere autorità varie e istituzioni di ogni ordine e grado, tutte direttamente coinvolte da un simile affronto alla democrazia: a partire, ovviamente, dal ministro della scuola Gelmini e dal ministro dell'Interno Maroni.
Si pensa, in genere, che ad ogni azione corrisponda una reazione uguale e contraria. Nel caso del progressivo manifestarsi, in alcune zone del Nord, di una secessione di fatto, la reazione fin qui non ha certo corrisposto all'azione. Si spera che l'esproprio leghista di una scuola pubblica sia la goccia che fa traboccare il vaso. O gli italiani non leghisti, al Nord, devono sentirsi cittadini di grado inferiore?
(13 settembre 2010)
L' AMACA
«Chi protesta contro la scuola di Adro dovrebbe protestare anche quando nelle scuole entrano i simboli di sinistra». È il desolante commento del ministro Gelmini a proposito dell' esproprio (del quale lei per prima è vittima in quanto ministro dell' Istruzione) da parte della Lega di una scuola della Repubblica italiana, trasformata in istituto padano. Il ministro finge di ignorare, per superficialità o per pavidità, la natura del tutto inedita dell' accaduto. Non si tratta di una scuola nella quale qualcuno (professore o studente) entri con una falce e martello sulla maglietta, o una svastica tatuata sul bicipite, o altri simboli ideologici o di partito. Si tratta di una scuola che è essa stessa, strutturalmente, un simbolo di partito, concepita e arredata come tale. Un luogo pubblico privatizzato, cioè snaturato, sottratto alle sue funzioni di neutralità e accoglienza. La reazione del ministro fa capire che il governo non ha alcuna intenzione di intervenire: avalla il sopruso, e amen. Restiamo in attesa di sapere se un prefetto, un magistrato, un ente locale, il Parlamento, il Quirinale, Strasburgo, il pianeta Giove, insomma qualcuno che ha percezione almeno vaga dell'enormità di quanto è accaduto, voglia tentare, almeno tentare di evitare un oltraggio così insopportabile al concetto stesso di "bene pubblico".
MICHELE SERRA
(14 settembre 2010)
LE MANI DELLA LEGA SULLA SCUOLA PUBBLICA
di SALVATORE SETTIS
In attesa che Bossi riceva l'annunciata laurea honoris causa da un qualche Ateneo presuntivamente celtico, la Lega allunga le mani sulle scuole pubbliche. È di domenica la notizia della scuola di Adro «leghizzata» con gran dispiego di «sole delle Alpi» dai banchi al tetto; intanto a Bosina di Varese la moglie di Bossi dirige la scuola «dei Popoli Padani», privata ma con una dotazione di 800.000 euro decisa dal governo con la cosiddetta «legge mancia» ( Il Giornale.it, 13 settembre). È dunque il momento giusto per interrogarsi sui meriti culturali di Bossi, che fanno tutt'uno coi progetti scolastici del suo partito.
Secondo i suoi detrattori, il futuro dottore sarebbe capace solo di gestacci, insulti alla bandiera ed altre volgarità: grandi virtù comunicative, meglio di una tesi di laurea. Ma gli orizzonti culturali di Bossi sono assai più ampi. In un discorso del 27 gennaio 2004, dal titolo “Dio salvi la Padania” (visibile sul sito della Lega), egli traccia addirittura un quadro della «rottura geopolitica del mondo» dopo l'11 settembre, colpa di «Roma ladrona» oltre che dell'attacco alle Torri gemelle.
Sull'Italia, la dottrina di Bossi è questa: «quando uno Stato è eterogeneo dal punto di vista etnonazionale, i problemi girano attorno a due lealtà, la lealtà alla Nazione e quella verso lo Stato. Per i popoli che non sono dominanti, come noi padani, le due lealtà sono distinte e possono entrare in competizione tra loro. In questi casi la minoranza chiede l'autodeterminazione nazionale, un diritto sancito dall' Onu».
Eterogeneità etnonazionale, «comuni matrici etnoculturali» dei popoli padani: ecco un linguaggio «dotto» dove non ce lo aspetteremmo. Da dove viene? Il miglior parallelo sono le elaborazioni «teoriche» del «Pensiero Etnonazionalista» e dell' «Idea Völkisch nelle comunità Alpino-Padane» che si possono leggere in un libro, Fondamenti dell' Etnonazionalismo Völkisch (2006), firmato da Federico Prati, Silvano Lorenzoni e Flavio Grisolia. Secondo loro, «le comunità padane» sono la miglior risposta a «un'epoca etnicamente e culturalmente decadente», all' «immigrazione allogena, al materialismo comunista, al mondialismo massonico». Fin troppo chiare le matrici razziste e fasciste, anzi naziste, della terminologia usata ( völkisch , «sangue, suolo e conoscenza»).
Silvano Lorenzoni, festeggiato nel giorno del suo compleanno come «un vero identitario/razzialista bianco veneto/europeo», è stato presidente dell'Associazione Culturale Identità e Tradizione, che si ispira a Julius Evola, e capogruppo della Liga Veneta nel Consiglio Comunale di Sandrigo (Vicenza). La casa editrice Effepi (Genova), che ha pubblicato questo e altri volumi su tale «etnonazionalismo», si distingue anche per i suoi libri di «storia non convenzionale» del Novecento, per esempio quello di Udo Walendy che considera l'Olocausto un prodotto della propaganda antitedesca ottenuto con abili fotomontaggi.
Ma la neoideologia padana non si affermerebbe senza mettere le mani in pasta nell'educazione delle nuove generazioni: nella scuola. Guardiamo quel che succede in Spagna, nazione anche in questo sorella, dove l'insorgere delle autonomie regionali si lega strettamente alla fine del franchismo e alla fortuna delle lingue diverse dallo spagnolo (specialmente il catalano e il basco), fondata sulla loro lunga e nobile tradizione culturale, ma anche su una sacrosanta reazione alla repressione franchista. Ma l'ondata degli autonomismi regionali ha generato e diffuso nelle scuole una manualistica rivendicativa di altrettanti «spiriti nazionali» (basco, catalano, galiziano, andaluso...), puntualmente riflessi nel linguaggio degli storici «allineati», come ha mostrato Pedro Heras in un bel libro recente (La Españaraptada: la formación del espíritu nacionalista, Barcelona, Altera, 2009).
Analizzando manuali scolastici e pratiche dell'insegnamento, Heras ha dimostrato che tali «processi di ri-nazionalizzazione» hanno adottato in pieno la stessa retorica del più vieto nazionalismo franchista, utilizzando per esaltare le nazionalità regionali le stesse identiche formule, gli stessi slogan che furono martellati per decenni dalla propaganda di regime, applicandoli al popolo spagnolo nel suo insieme, e usandoli allora anche per reprimere le lingue «proibite». Quasi che, se applicata mettiamo al catalano, quella stolta retorica fosse «sdoganata» d'incanto.
Per quanto rozzi e incolti, i tentativi di Bossi di creare dal nulla la neo-etnia dei padani hanno fatto lo stesso: pur senza rifarsi esplicitamente alla tradizione nazi-fascista, da essa hanno ripescato la terminologia «etnonazionale» con tutte le sue implicazioni, usandola simultaneamente per de-nazionalizzare l'Italia e «nazionalizzare» una Padania d'invenzione. Perciò i più agguerriti proclami in lode della "razza padana" (come quelli citati sopra) si trovano sul sito www.stormfront.org, alfiere del World Wide White Pride, fondato nel 1995 da Don Black, già leader del Ku Klux Klan, che usa come logo la cosiddetta «croce celtica», surrogato della svastica.
La maggioranza dei leghisti, persino di quelli che usano quelle formule e quegli slogan, è presumibilmente inconsapevole di queste derivazioni e tangenze, anzi le negherebbe accanitamente. Non per questo esse sono meno preoccupanti, in una scena politica come quella italiana, in cui secessione e federalismo sono fratelli siamesi, e gli argomenti per l'una e per l'altro s'intrecciano e si confondono in una rincorsa senza fine; in cui, con la passività o la complicità delle sinistre, il maggior argomento in favore del federalismo è la minaccia di secessione, e chi detta le regole è solo la Lega.
Vedremo se la spiritosa invenzione dell' etnonazionalismo padano risulterà merito sufficiente per una laurea honoris causa: in ogni modo, sotto quella pergamena non basta la firma di un qualche ateneo galloceltico, ci vuole anche (per legge) quella di un ministro nel suo ufficio di «Roma ladrona».
(17 settembre 2010)
BUONGIORNO
MASSIMO GRAMELLINI
Scuola di classe
La scuola pubblica di Adro griffata col simbolo di un partito meriterebbe uno stato di indignazione permanente effettiva (e invece è già stata digerita con un'alzata di spalle fra l'abulico e il rassegnato), ma esiste un altro aspetto della vicenda che apre squarci lancinanti sul futuro. Quella scuola è un gioiello d’avanguardia, con i robottini che puliscono il prato, i banchi ergonomici, le lavagne elettroniche. Sta alle strutture cadenti e carenti in cui si muove la maggior parte degli insegnanti e dei ragazzi come una fuoriserie fiammante a un’utilitaria scassata.
Questo perché gli abitanti di Adro si sono autotassati per finanziarla, nell’applicazione più estrema e gratificante del federalismo fiscale. Fino a prova contraria, infatti, è come se ogni cittadino di quel Comune lombardo avesse pagato le tasse due volte. La prima, obbligatoria, per sovvenzionare le scuole scalcinate del resto d'Italia. La seconda, volontaria, per edificare a due passi da casa il capolavoro destinato ai propri figli.
È la rappresentazione plastica della crisi dello Stato Sociale. Il Pubblico non ce la fa e il Privato, inteso come fondazioni e sponsor, non è in grado di colmarne le lacune. Così la palla torna ai cittadini e la qualità dei servizi tenderà sempre più a corrispondere alla loro condizione sociale. I Paesi e i quartieri benestanti avranno le scuole e gli ospedali migliori, mentre gli altri dovranno accontentarsi di passeggiare fra i ruderi del Welfare, come ben sanno gli studenti e i degenti che si portano la carta igienica, e non solo quella, da casa.
(18 settembre 2010)
LO STATO TRA QUEI BANCHI
di MICHELE SERRA
MIRACOLO a Roma. Il ministro Gelmini ha chiesto alla direzione scolastica di Adro di far rimuovere i simboli "padani" dalla locale scuola pubblica (ci vorrà tempo, perché ci vorranno gli scalpelli...). Meglio tardi che mai: ci sono voluti dieci giorni perché una lesione così smaccata della convivenza repubblicana ricevesse un "alt" doveroso, ma non scontato in questo clima politico e con questo assetto di potere. Dieci giorni nel corso dei quali, per fortuna, l'opposizione a quella prepotenza si è auto-organizzata in cento rivoli, affollando i blog di protesta, scrivendo ai giornali, organizzando un presidio (ieri), facendo pressione sui partiti di opposizione, facendo breccia in quei settori del centrodestra che ancora conoscono le regole comuni, in esse si riconoscono, ad esse vogliono attenersi: prima tra tutte, la neutralità almeno "fisica" di un edificio scolastico, per la prima volta nella storia democratica, trasformato nel tempio di una fazione.
Ma il merito principale di questo dietro-front (e probabilmente l'input che ha riacceso il motore della razionalità al ministero dell'Istruzione, dopo un black-out di parecchi giorni) è di quei genitori di Adro, circa un quarto del totale, che hanno protestato, e in qualche caso ritirato i figli da scuola.
Non sono intellettuali di sinistra, non sono politicanti, non sono agitatori di piazza, non sono "stranieri": sono cittadini lombardi, non importa di quali opinioni politiche, che hanno considerato inaccettabile mandare i figli a studiare in una scuola di fatto privatizzata dalla giunta leghista.
Non dev'essere facile, a Adro, mettersi di traverso. L'abitudine di identificare la Lega con il "popolo", con i suoi interessi e la sua volontà, non facilita il dialogo con chi, pur essendo "popolo" con pieno diritto, non si sente rappresentato dal Sole delle Alpi, dalla "padanità", dal pendolo continuo tra promesse di federalismo e minacce di secessione (i due termini, tra l' altro, a furia di essere le due facce dello stesso randello, rischiano di diventare indistinguibili).
Chissà se il sindaco di Adro, di fronte al putiferio scatenato dalla sua scuola minutamente istoriata di simboli "padani" e intitolata a Gianfranco Miglio (ideologo dell'etnos), avrà qualche dubbio sul proprio operato. Chissà se il "no" di una parte minoritaria, ma non piccola, della sua cittadinanza gli parrà un atto di odioso boicottaggio contro il radioso futuro leghista, o il ragionevole richiamo alla realtà da parte di chi vuole fargli sapere che esiste anche un Nord non leghista.
Sarebbe importante saperlo, che cosa pensa in cuor suo il sindaco Lancini, e che cosa pensano i suoi tantissimi elettori che hanno avuto la capacità di autofinanziarsi per arredare quella scuola, ma non la generosità di pensarla, quella scuola, per tutti quanti, non solo per i bambini "padani".
Sarebbe importante saperlo per capire fino a che punto la mentalità leghista profonda, così invaghita di fole etniche, così devota alla chiusura del "noi" contro "gli altri", è tentata dal totalitarismo (e certo avere concepito quella scuola è tipicamente totalitario); oppure se è ancora permeabile alla ragione, ancora riconducibile alle regole e alle leggi della Repubblica italiana.
(19 settembre 2010)