lunedì 27 settembre 2010

Il tricolore lacerato






La secessione è già iniziata muovendo il primo passo ad Adro, senza che questo sfregio alla Costituzione, al Tricolore e alla Democrazia sia stato percepito per la carica eversiva che riveste.
Ad Adro la Lega, partito di governo, ha cominciato a marcare il proprio territorio, definendo i confini di uno “stato” che non esiste, creando frontiere dove non ci sono mai state. Una bomba di deflagrante potenza che ha scosso le fondamenta del Paese in cui sono nato e vivo. Ma a preoccupare erano le contestazioni a Dell’Utri, a Schifani e il fumogeno lanciato verso Bonanni.
Perché la Lega – e mi chiedo come mai ancora non si sia capito – è nata per entrare in lotta aperta e virulenta con la Repubblica Italiana. Altro che partito di governo! E su questo mostruoso equivoco si è dipanata la sua storia che ha toccato ad Adro, con la privatizzazione della scuola, un punto di non ritorno. Un gesto ignobile e vergognoso, le cui devastanti conseguenze sfuggono alla comprensione dell’opinione pubblica, in uno stato ormai di perenne afasia.
Il video che apre questo post dovrebbe, piuttosto, spalancare gli occhi e far sobbalzare per la violenza delle parole. Quell’invettiva, più volte ripetuta, che “siamo ad Adro, non in Italia”, non trascina con sé i ricordi e la memoria di un tempo che si pensava congelato dalla Storia?
Eppure si è cambiato decisamente argomento, come amano ripetere i conduttori dei telegiornali e quella scuola, con i suoi simboli pacchianamente distribuiti, mantiene una cupezza inquietante.
Un vulnus non più rimediabile, lo squarcio che si è aperto nella convivenza civile, infettando le nuove generazioni che guardando il “Sole delle Alpi” si troveranno invece accecate dall’oscurità oscena dell’ignoranza, dell’intolleranza e del razzismo.





L' orgoglio della Gelmini. Parte una riforma storica



ROMA - Il ministro Mariastella Gelmini la definisce «una giornata storica»(...) «La scuola italiana - dichiara la Gelmini - cambia e parte la riforma che era attesa da decenni. Viene completamente ridisegnata la struttura della superiore, all' insegna della chiarezza e della modernità»(…) A tenere banco in queste ore è la polemica sul nuovo polo scolastico di Adro (Brescia), dedicato all'ideologo della Lega Gianfranco Miglio. L'esposizione del "Sole delle Alpi" (simbolo della Lega) su banchi, vetrate e perfino sullo zerbino non è andato giù neppure alla ministra di Leno. «Francamente, il sindaco di Adro ci ha abituato ad un certo folklore, ad un certo estremismo, che ovviamente io come ministro dell'Istruzione - dice la Gelmini - non condivido, ma forse nemmeno tutto il partito della Lega può condividere esasperazioni che non fanno bene neanche a quel movimento». Una vicenda, questa di Adro, che Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria del Pd, bolla come «inqualificabile» e da «ventennio» fascista. (…). E mentre Bersani definisce il taglio di 133 mila posti in tre anni varato dall'esecutivo come «il più grande licenziamento di massa della nostra storia», la Gelmini apre ai precari parlando «150 mila assunzioni in otto anni». Per risolvere il problema del precariato l' unica soluzione è il numero programmato introdotto dalle nuove regole per il reclutamento annunciate tre giorni fa. «Entro il 2018 assorbiremo 220 mila precari» assicura il ministro. Ma una pubblicazione dello stesso dicastero la smentisce: serviranno forse 15 anni.



SALVO INTRAVAIA
(13 settembre 2010)  




IL CASO



L'intolleranza leghista



di MICHELE SERRA



A proposito di violenza politica. Una scuola pubblica italiana (Adro, provincia di Brescia) è stata di fatto privatizzata dalla locale giunta e trasformata in scuola leghista, intitolata al professor Gianfranco Miglio. Sole delle Alpi impresso sui banchi, sui cestini dei rifiuti, sugli zerbini, sui tavoli, sui cartelli, sulle finestre, sul tetto, ovunque. Unico altro simbolo ammesso e anzi imposto è il crocifisso, che a scanso di equivoci è stato imbullonato ai muri: una specie di doppia crocifissione, povero Cristo.
L'episodio, quasi incredibile nei suoi termini di cronaca, e decisamente spaventoso in termini di democrazia, è inedito nella storia della Repubblica. Scuole di Stato con lo scudo crociato, o la falce e martello, o altri simboli di partito, ovviamente non se ne erano mai viste, per il semplice fatto che nessuno aveva mai osato concepire una così inconcepibile violazione di uno spazio pubblico: nemmeno nelle fasi più convulse e faziose della nostra tormentata vita politica. A Adro invece è accaduto, anche grazie alla partecipe collaborazione di una comunità fortemente coinvolta nella costruzione del nuovo plesso scolastico, fino a finanziarne gli arredi. La stessa comunità, con in testa il sindaco Oscar Lancini, non era intervenuta con altrettanta sollecitudine quando si trattò di far quadrare i conti della mensa scolastica, messi in crisi da una mora di poche migliaia di euro. Fu un imprenditore locale, allora, ad accollarsi generosamente quella spesa, guadagnandosi lo spregio e l'ira di molti suoi concittadini, sindaco in testa.
Alla maggioranza leghista di Adro (non solo alla Giunta) dev'essere sembrato ovvio considerare ininfluenti eventuali obiezioni, disagi, proteste da parte di chi leghista non è, e ritenendo di iscrivere i figli alla locale scuola pubblica (che vuol dire: la scuola di tutti) li ritrova iscritti d'ufficio a una scuola "verde", involontaria parodia delle scuole coraniche. L'omissione di questo scrupolo basilare (esistono minoranze, a Adro? vanno rispettate? tenute in considerazione?) è l'aspetto più sconvolgente della vicenda. Perché illustra una sorta di intolleranza "naturale" tipicissima dei regimi e delle masse plaudenti che li sostengono, alla quale non siamo più avvezzi da sessantacinque anni. Le macroscopiche violazioni di legge, e perfino gli aspetti anticostituzionali, passano quasi in second'ordine rispetto all'impressionante spettacolo di una comunità così autocompiaciuta della propria coesione politica da stabilire l'inesistenza degli "altri", e non solo gli stranieri: ora anche i non leghisti. Gli italiani.
Ce ne sarà pure qualcuno, a Adro, di non leghista. Che deve fare? Subire e tacere? Emigrare, perché italiano e non "padano", inaugurando così l'incredibile paradosso di italiani che si sentono extraterritoriali in Italia (non più "padroni a casa loro", per dirla con la Lega)? Sarà molto istruttivo vedere, al di là delle dichiarazioni di circostanza, quali provvedimenti concreti vorranno prendere autorità varie e istituzioni di ogni ordine e grado, tutte direttamente coinvolte da un simile affronto alla democrazia: a partire, ovviamente, dal ministro della scuola Gelmini e dal ministro dell'Interno Maroni.
Si pensa, in genere, che ad ogni azione corrisponda una reazione uguale e contraria. Nel caso del progressivo manifestarsi, in alcune zone del Nord, di una secessione di fatto, la reazione fin qui non ha certo corrisposto all'azione. Si spera che l'esproprio leghista di una scuola pubblica sia la goccia che fa traboccare il vaso. O gli italiani non leghisti, al Nord, devono sentirsi cittadini di grado inferiore?

(13 settembre 2010)

 



L' AMACA



«Chi protesta contro la scuola di Adro dovrebbe protestare anche quando nelle scuole entrano i simboli di sinistra». È il desolante commento del ministro Gelmini a proposito dell' esproprio (del quale lei per prima è vittima in quanto ministro dell' Istruzione) da parte della Lega di una scuola della Repubblica italiana, trasformata in istituto padano. Il ministro finge di ignorare, per superficialità o per pavidità, la natura del tutto inedita dell' accaduto. Non si tratta di una scuola nella quale qualcuno (professore o studente) entri con una falce e martello sulla maglietta, o una svastica tatuata sul bicipite, o altri simboli ideologici o di partito. Si tratta di una scuola che è essa stessa, strutturalmente, un simbolo di partito, concepita e arredata come tale. Un luogo pubblico privatizzato, cioè snaturato, sottratto alle sue funzioni di neutralità e accoglienza. La reazione del ministro fa capire che il governo non ha alcuna intenzione di intervenire: avalla il sopruso, e amen. Restiamo in attesa di sapere se un prefetto, un magistrato, un ente locale, il Parlamento, il Quirinale, Strasburgo, il pianeta Giove, insomma qualcuno che ha percezione almeno vaga dell'enormità di quanto è accaduto, voglia tentare, almeno tentare di evitare un oltraggio così insopportabile al concetto stesso di "bene pubblico".
MICHELE SERRA
(14 settembre 2010)


 



LE MANI DELLA LEGA SULLA SCUOLA PUBBLICA


di SALVATORE SETTIS


In attesa che Bossi riceva l'annunciata laurea honoris causa da un qualche Ateneo presuntivamente celtico, la Lega allunga le mani sulle scuole pubbliche. È di domenica la notizia della scuola di Adro «leghizzata» con gran dispiego di «sole delle Alpi» dai banchi al tetto; intanto a Bosina di Varese la moglie di Bossi dirige la scuola «dei Popoli Padani», privata ma con una dotazione di 800.000 euro decisa dal governo con la cosiddetta «legge mancia» ( Il Giornale.it, 13 settembre). È dunque il momento giusto per interrogarsi sui meriti culturali di Bossi, che fanno tutt'uno coi progetti scolastici del suo partito.
Secondo i suoi detrattori, il futuro dottore sarebbe capace solo di gestacci, insulti alla bandiera ed altre volgarità: grandi virtù comunicative, meglio di una tesi di laurea. Ma gli orizzonti culturali di Bossi sono assai più ampi. In un discorso del 27 gennaio 2004, dal titolo “Dio salvi la Padania” (visibile sul sito della Lega), egli traccia addirittura un quadro della «rottura geopolitica del mondo» dopo l'11 settembre, colpa di «Roma ladrona» oltre che dell'attacco alle Torri gemelle.
Sull'Italia, la dottrina di Bossi è questa: «quando uno Stato è eterogeneo dal punto di vista etnonazionale, i problemi girano attorno a due lealtà, la lealtà alla Nazione e quella verso lo Stato. Per i popoli che non sono dominanti, come noi padani, le due lealtà sono distinte e possono entrare in competizione tra loro. In questi casi la minoranza chiede l'autodeterminazione nazionale, un diritto sancito dall' Onu».
Eterogeneità etnonazionale, «comuni matrici etnoculturali» dei popoli padani: ecco un linguaggio «dotto» dove non ce lo aspetteremmo. Da dove viene? Il miglior parallelo sono le elaborazioni «teoriche» del «Pensiero Etnonazionalista» e dell' «Idea Völkisch nelle comunità Alpino-Padane» che si possono leggere in un libro, Fondamenti dell' Etnonazionalismo Völkisch (2006), firmato da Federico Prati, Silvano Lorenzoni e Flavio Grisolia. Secondo loro, «le comunità padane» sono la miglior risposta a «un'epoca etnicamente e culturalmente decadente», all' «immigrazione allogena, al materialismo comunista, al mondialismo massonico». Fin troppo chiare le matrici razziste e fasciste, anzi naziste, della terminologia usata ( völkisch , «sangue, suolo e conoscenza»).
Silvano Lorenzoni, festeggiato nel giorno del suo compleanno come «un vero identitario/razzialista bianco veneto/europeo», è stato presidente dell'Associazione Culturale Identità e Tradizione, che si ispira a Julius Evola, e capogruppo della Liga Veneta nel Consiglio Comunale di Sandrigo (Vicenza). La casa editrice Effepi (Genova), che ha pubblicato questo e altri volumi su tale «etnonazionalismo», si distingue anche per i suoi libri di «storia non convenzionale» del Novecento, per esempio quello di Udo Walendy che considera l'Olocausto un prodotto della propaganda antitedesca ottenuto con abili fotomontaggi.
Ma la neoideologia padana non si affermerebbe senza mettere le mani in pasta nell'educazione delle nuove generazioni: nella scuola. Guardiamo quel che succede in Spagna, nazione anche in questo sorella, dove l'insorgere delle autonomie regionali si lega strettamente alla fine del franchismo e alla fortuna delle lingue diverse dallo spagnolo (specialmente il catalano e il basco), fondata sulla loro lunga e nobile tradizione culturale, ma anche su una sacrosanta reazione alla repressione franchista. Ma l'ondata degli autonomismi regionali ha generato e diffuso nelle scuole una manualistica rivendicativa di altrettanti «spiriti nazionali» (basco, catalano, galiziano, andaluso...), puntualmente riflessi nel linguaggio degli storici «allineati», come ha mostrato Pedro Heras in un bel libro recente (La Españaraptada: la formación del espíritu nacionalista, Barcelona, Altera, 2009).
Analizzando manuali scolastici e pratiche dell'insegnamento, Heras ha dimostrato che tali «processi di ri-nazionalizzazione» hanno adottato in pieno la stessa retorica del più vieto nazionalismo franchista, utilizzando per esaltare le nazionalità regionali le stesse identiche formule, gli stessi slogan che furono martellati per decenni dalla propaganda di regime, applicandoli al popolo spagnolo nel suo insieme, e usandoli allora anche per reprimere le lingue «proibite». Quasi che, se applicata mettiamo al catalano, quella stolta retorica fosse «sdoganata» d'incanto.
Per quanto rozzi e incolti, i tentativi di Bossi di creare dal nulla la neo-etnia dei padani hanno fatto lo stesso: pur senza rifarsi esplicitamente alla tradizione nazi-fascista, da essa hanno ripescato la terminologia «etnonazionale» con tutte le sue implicazioni, usandola simultaneamente per de-nazionalizzare l'Italia e «nazionalizzare» una Padania d'invenzione. Perciò i più agguerriti proclami in lode della "razza padana" (come quelli citati sopra) si trovano sul sito www.stormfront.org, alfiere del World Wide White Pride, fondato nel 1995 da Don Black, già leader del Ku Klux Klan, che usa come logo la cosiddetta «croce celtica», surrogato della svastica.
La maggioranza dei leghisti, persino di quelli che usano quelle formule e quegli slogan, è presumibilmente inconsapevole di queste derivazioni e tangenze, anzi le negherebbe accanitamente. Non per questo esse sono meno preoccupanti, in una scena politica come quella italiana, in cui secessione e federalismo sono fratelli siamesi, e gli argomenti per l'una e per l'altro s'intrecciano e si confondono in una rincorsa senza fine; in cui, con la passività o la complicità delle sinistre, il maggior argomento in favore del federalismo è la minaccia di secessione, e chi detta le regole è solo la Lega.
Vedremo se la spiritosa invenzione dell' etnonazionalismo padano risulterà merito sufficiente per una laurea honoris causa: in ogni modo, sotto quella pergamena non basta la firma di un qualche ateneo galloceltico, ci vuole anche (per legge) quella di un ministro nel suo ufficio di «Roma ladrona».
(17 settembre 2010)  

 



BUONGIORNO
MASSIMO GRAMELLINI

Scuola di classe
    
La scuola pubblica di Adro griffata col simbolo di un partito meriterebbe uno stato di indignazione permanente effettiva (e invece è già stata digerita con un'alzata di spalle fra l'abulico e il rassegnato), ma esiste un altro aspetto della vicenda che apre squarci lancinanti sul futuro. Quella scuola è un gioiello d’avanguardia, con i robottini che puliscono il prato, i banchi ergonomici, le lavagne elettroniche. Sta alle strutture cadenti e carenti in cui si muove la maggior parte degli insegnanti e dei ragazzi come una fuoriserie fiammante a un’utilitaria scassata.
Questo perché gli abitanti di Adro si sono autotassati per finanziarla, nell’applicazione più estrema e gratificante del federalismo fiscale. Fino a prova contraria, infatti, è come se ogni cittadino di quel Comune lombardo avesse pagato le tasse due volte. La prima, obbligatoria, per sovvenzionare le scuole scalcinate del resto d'Italia. La seconda, volontaria, per edificare a due passi da casa il capolavoro destinato ai propri figli.
È la rappresentazione plastica della crisi dello Stato Sociale. Il Pubblico non ce la fa e il Privato, inteso come fondazioni e sponsor, non è in grado di colmarne le lacune. Così la palla torna ai cittadini e la qualità dei servizi tenderà sempre più a corrispondere alla loro condizione sociale. I Paesi e i quartieri benestanti avranno le scuole e gli ospedali migliori, mentre gli altri dovranno accontentarsi di passeggiare fra i ruderi del Welfare, come ben sanno gli studenti e i degenti che si portano la carta igienica, e non solo quella, da casa.
(18 settembre 2010)  


 



LO STATO TRA QUEI BANCHI


di MICHELE SERRA 



MIRACOLO a Roma. Il ministro Gelmini ha chiesto alla direzione scolastica di Adro di far rimuovere i simboli "padani" dalla locale scuola pubblica (ci vorrà tempo, perché ci vorranno gli scalpelli...). Meglio tardi che mai: ci sono voluti dieci giorni perché una lesione così smaccata della convivenza repubblicana ricevesse un "alt" doveroso, ma non scontato in questo clima politico e con questo assetto di potere. Dieci giorni nel corso dei quali, per fortuna, l'opposizione a quella prepotenza si è auto-organizzata in cento rivoli, affollando i blog di protesta, scrivendo ai giornali, organizzando un presidio (ieri), facendo pressione sui partiti di opposizione, facendo breccia in quei settori del centrodestra che ancora conoscono le regole comuni, in esse si riconoscono, ad esse vogliono attenersi: prima tra tutte, la neutralità almeno "fisica" di un edificio scolastico, per la prima volta nella storia democratica, trasformato nel tempio di una fazione.
Ma il merito principale di questo dietro-front (e probabilmente l'input che ha riacceso il motore della razionalità al ministero dell'Istruzione, dopo un black-out di parecchi giorni) è di quei genitori di Adro, circa un quarto del totale, che hanno protestato, e in qualche caso ritirato i figli da scuola.
Non sono intellettuali di sinistra, non sono politicanti, non sono agitatori di piazza, non sono "stranieri": sono cittadini lombardi, non importa di quali opinioni politiche, che hanno considerato inaccettabile mandare i figli a studiare in una scuola di fatto privatizzata dalla giunta leghista.
Non dev'essere facile, a Adro, mettersi di traverso. L'abitudine di identificare la Lega con il "popolo", con i suoi interessi e la sua volontà, non facilita il dialogo con chi, pur essendo "popolo" con pieno diritto, non si sente rappresentato dal Sole delle Alpi, dalla "padanità", dal pendolo continuo tra promesse di federalismo e minacce di secessione (i due termini, tra l' altro, a furia di essere le due facce dello stesso randello, rischiano di diventare indistinguibili).
Chissà se il sindaco di Adro, di fronte al putiferio scatenato dalla sua scuola minutamente istoriata di simboli "padani" e intitolata a Gianfranco Miglio (ideologo dell'etnos), avrà qualche dubbio sul proprio operato. Chissà se il "no" di una parte minoritaria, ma non piccola, della sua cittadinanza gli parrà un atto di odioso boicottaggio contro il radioso futuro leghista, o il ragionevole richiamo alla realtà da parte di chi vuole fargli sapere che esiste anche un Nord non leghista.
Sarebbe importante saperlo, che cosa pensa in cuor suo il sindaco Lancini, e che cosa pensano i suoi tantissimi elettori che hanno avuto la capacità di autofinanziarsi per arredare quella scuola, ma non la generosità di pensarla, quella scuola, per tutti quanti, non solo per i bambini "padani".
Sarebbe importante saperlo per capire fino a che punto la mentalità leghista profonda, così invaghita di fole etniche, così devota alla chiusura del "noi" contro "gli altri", è tentata dal totalitarismo (e certo avere concepito quella scuola è tipicamente totalitario); oppure se è ancora permeabile alla ragione, ancora riconducibile alle regole e alle leggi della Repubblica italiana.
(19 settembre 2010)  


 


 



venerdì 24 settembre 2010

L’Adro d’Italia





Dunque Adro. Di nuovo alla ribalta. Per quell’oscena esposizione di simboli leghisti su un edificio pubblico per antonomasia: la scuola.
Prima, però, è necessario riavvolgere il nastro di questo film pornografico per tornare ad alcuni mesi fa, quando tutto ebbe inizio con l’esclusione dai pasti della mensa di quei bambini le cui famiglie non avevano pagato alcune rate della retta. Ne ho parlato
qui ma non sarà male un utile esercizio di memoria.
Riporto le intelligenti considerazioni che Michele Serra lasciò all’epoca nella sua imperdibile rubrica su “la Repubblica”.





L' AMACA



Pare che l' imprenditore di Adro (Brescia) che ha deciso di pagare di tasca sua la mensa della scuola materna per i bambini morosi, non sia molto popolare tra i suoi compaesani. Il sindaco leghista (con squisita sensibilità) ha dichiarato che d' ora in poi gli manderà direttamente le rette di chi non paga, così impara a mettersi in mostra. Chi è incapace di generosità ama molto pensare che dietro ogni gesto generoso ci sia un calcolo, un secondo fine. La furbizia, che è tipica prerogativa servile, induce a pensare che non possano esistere nobiltà e magnanimità. Il pensiero del furbo (che in Italia, lo sappiamo, è un tipo antropologico dominante) è che tutti siano egualmente furbi, perché tutti ugualmente deboli e incapaci di riscatto. (Esempio classico: «Saviano ha scritto Gomorra solo per diventare famoso e ricco»). In più, il furbo è sicuro che il disinteressato, il magnanimo, l' idealista, lo siano al solo scopo di poter accampare una qualche superiorità morale. Per interrompere questo circolo vizioso, che impedisce di valutare le persone e i comportamenti per quello che sono, bisognerebbe introdurre una brusca ma urgente variante dialettica: quando al Giusto viene detto «credi forse di essere migliore di me?», il Giusto, invece di confondersi o arretrare, deve rispondere: «Sì».


MICHELE SERRA
(17 aprile 2010)  



Ma come è andata poi a finire quella vicenda?
L’ottima risposta l’ho trovata in uno dei blog de “l’Unità” e merita la massima attenzione, perché sono interessanti le annotazioni che, sia chiaro, condivido in pieno.
A seguire l’articolo richiamato nel post.
Dopo mi occuperò dello sfregio legaiolo. E secondo me c’è da tremare.
P.S. I post sono tardivi, ma difficoltà di connessione e l’improvviso oscuramento del sito di hosting dove carico le foto (adesso ripristinato nella sua funzionalità) mi hanno impedito il necessario aggiornamento. Problemi personali, non ancora risolti, a parte.




Bartali
Storie di testardi che fanno incazzare
 



Adro, nel silenzio ha vinto la mensa leghista


di Massimo Franchi
 


Nel silenzio ferragostano, mentre (meno) di mezz'Italia è in vacanza, alla provincia dell'impero succedono tante cose. Grazie a Marco Imarisio del "Corriere della Sera" veniamo a scoprire com'è andata a finire una delle storie di cronaca più seguite dell'anno. Si tratta della mensa scolastica del comune bresciano di Adro e della decisione del suo sindaco di togliere il pranzo alle famiglie che non avessero saldato i debiti. Famiglie indigenti, di migranti sfruttati e sottopagati dagli stessi leghisti che governano il paese. Intervenne poi un mecenate del terzo millennio: Silvano Lancini (primo Bartali di oggi), imprenditore autodefinitosi di destra, ma incapace di non provare solidarietà rispetto a quelle famiglie. Pagò di tasca sua gli arretrati e per questo divenne il reietto della comunità padana. Le telecamere di Santoro moltiplicarono l'attenzione con lo spettacolo di un dibattito fin troppo acceso sotto la luce dei riflettori in cui le famiglie non morose difendevano il loro sindaco.
Spenti i riflettori le cose sono andate avanti e con un'abilità più democristiana che leghista il Comune è riuscito a vincere su tutta la linea. L'associazione che gestiva il servizio mensa, guidata dalla combattiva Giuseppina Paganotti (l'altro Bartali che ora ribadisce: "Io non lascio a casa nessun bimbo, lo facciano altri se vogliono") è stata fatta fuori con un golpe mentre la direttrice era in vacanza, il Comune ha preso in carico il servizio e deciso che "chi non paga, non mangia" e in più che non ci saranno più menù etnici. "La carne di maiale piace anche agli islamici, se la assaggiano", dichiara trionfante il sindaco. Peccato che proprio la loro religione vieti loro di farlo.
La vicenda e la sua triste conclusione si prestano però a qualche osservazione.
La prima: chi si è tanto stracciato le vesti per la crociata leghista ha poi fatto molto poco per aiutare chi veramente stava combattendo questa battaglia di civiltà. Presidente dell'associazione e imprenditore-mecenate (che ora dice "I fatti sono chiari, per chi vuole vederli, mi lasci fuori per favore") sono stati lasciati soli e non hanno potuto che cedere alla maggioranza leghista. Perché nessuno a sinistra è andato ad Adro a portare solidarietà, a dare un aiuto a chi combatte in trincea, sul territorio contro il leghismo dilagante?
È un vecchio vizio della sinistra quello di indignarsi anche troppo facilmente, senza scavare per cercare le vere motivazioni degli accadimenti e poi non sporcarsi le mani per risolverli. Meglio parlare meno e agire di più. Specie lontano dai riflettori. 
Imarisio chiude poi l'articolo raccontandoci un episodio molto importante. Ad Adro si inaugura la nuova scuola. Mancavano 240 mila euro per gli arredi: la colletta aperta dal Comune ha raccolto molto di più. La solidarietà leghista dunque esiste. Ma funziona solo per quello che si sente proprio, non per "l'altro". Una frase del sindaco rende perfettamente l'idea: "Io non sono un educatore, a me basta proteggere la mia comunità. Il mondo è brutto, basta uscire da Adro per capirlo". Ecco, per battere la Lega l'unico modo è fare in modo che i suoi elettori escano dal piccolo mondo ottuso, che capiscano che anche fuori dalla Padania qualcosa di buono c'è. Basterebbe pure che entrassero nella casa di una a caso fra le famiglie di immigrati che non riescono a pagare la bolletta della mensa. Sarà durissima, ma aiutando persone come Silvano e Giuseppina ci si può provare.
(4 settembre 2010)




 



Viaggio nel piccolo centro del Bresciano cinque mesi dopo



Adro, il paese della mensa tra generosità e rancori



I bimbi e le rette non pagate, vince la linea del sindaco. Come prima. Torna anche la regola del menu uguale per tutti. «Qui prepariamo piatti padani, carne di maiale compresa. Per alunni cattolici o alunni islamici»


 


ADRO (Brescia) - «Questa esperienza nasce sotto il segno del merito e della solidarietà. Va avanti chi è più bravo, ma tutti si aiutano tra loro, solo così possiamo crescere insieme». La grande sala consiliare di palazzo Bargnani-Dandolo è vuota. Ad ascoltare le parole di Oscar Lancini ci sono un paio di assessori, altrettanti impiegati comunali e sei cittadini. Dalle pareti bianche incombono gli sguardi severi degli antenati delle famiglie che abitarono l' attuale municipio. Oggi è un giorno importante per Adro, e per questo il sindaco ha voluto convocare una apposita conferenza stampa. Oggi Adro ritrova il suo Palio, che non veniva celebrato dal 1992. Le cinque contrade di questo comune al centro della Franciacorta si sfideranno alla gara del budino, al bigliardino vivente, al lancio delle uova (solo maggiorenni).
Le parole del sindaco - leghista dal 1992, 62 per cento dei voti alla seconda rielezione nel 2008 - sarebbero state perfette anche per un altro debutto. L' anno scolastico sta per cominciare. Controvoglia, ma Adro e i suoi 7.100 abitanti, 700 dei quali immigrati, sono diventati celebri proprio per la scuola. Non per le vigne, che fanno corona al paese, non per il piccolo polo industriale che porta benessere palpabile e uno sportello bancario ogni 800 residenti. Per la scuola. Per la sua mensa, che nell' ultimo anno ha dato da mangiare a 497 bambini, per un totale di 61.600 pasti.
Nell' aprile 2010 la commercialista Giuseppina Paganotti, direttrice dell' Associazione Promotori Attività Parascolastiche che gestisce la mensa, scrisse una lettera al Comune, suo referente istituzionale, per informarlo che c' erano quasi diecimila euro di «scoperto» nel pagamento delle rette. A sua volta, Lancini reagì scrivendo alle 38 famiglie morose. Chi non paga, non mangia, i bambini figli di genitori in rosso - quasi tutti immigrati - non avranno più pasti garantiti. Fece altre considerazioni accessorie, manifestando scarso entusiasmo per i menu differenziati: «La carne di maiale piace anche agli islamici, se la assaggiano». La direttrice si oppose pubblicamente all' editto. La sabbia nell' ingranaggio messo in moto dal sindaco arrivò da un suo omonimo, l' imprenditore Silvano Lancini, elettore dichiarato del centrodestra, che donò all' Associazione un assegno per coprire il disavanzo e garantire così la mensa per ogni alunno. Accompagnò il gesto con una lettera, nella quale auspicava per il suo paese il recupero di valori come la solidarietà e la tolleranza reciproca. Adro divenne una questione nazionale. Gli abitanti si schierarono con il sindaco contro i dissidenti, quelli dalla parte della direttrice, che non ci stavano a lasciare a casa i bambini indigenti.
«Ah, ma allora siete qui per rimestare, non per il Palio». Oscar Lancini ci resta male. La partita è chiusa. E ha vinto lui, giocando a riflettori spenti. Le mamme che accompagnano i loro piccoli nel cortile dell' oratorio alzano le spalle. «La mensa? E' cambiato il direttore, ma non ne sono certa». Adro sembra una bomboniera appena scartata dal cellophane, per quanto è pulita e ben tenuta. La piazza dei Martiri è stata inaugurata da poco. Un lato è occupato dalla biblioteca, dall' altra parte i monumenti ai caduti «morti per la patria». In mezzo, le panchine di acciaio istoriate con il logo del Sole delle Alpi. «Siamo leghisti, per questo ce l' avete con noi - dice un anziano venuto a restituire una copia di Guerra e Pace -. I "sinistri" della mensa ci hanno svergognato in tutta Italia. Li cacciano? Ben gli sta».
Lo psicodramma della mensa ha prodotto solo una resa dei conti, gestita con gli strumenti ormai ricorrenti della grande politica. Adro ha scoperto che gli «altri» possono essere anche quelli che non la pensano come te. Silvano Lancini, il benefattore reo di essere uscito dall' anonimato con considerazioni non gradite, è stato trasformato in un paria. A maggio, Adro News*, il bollettino del Comune, gli ha dedicato 11 pagine di insulti, firmate dal sindaco: «Vuole solo farsi pubblicità». L' imprenditore Lancini ci aspetta davanti alla sua azienda, al confine tra Erbusco e Adro. Sapeva che gli sarebbe stato riservato questo trattamento. «I fatti sono chiari, per chi vuole vederli. Mi lasci fuori, la prego». Nelle strade del centro ci sono ancora i volantini che gli danno del «prezzolato» al soldo dell' opposizione, a sua volta invitata «a cambiare spacciatore».
In un angolo dell' ufficio di Giuseppina Paganotti c' è uno scatolone sigillato. Effetti personali. L' Associazione ha chiuso, la lettera di scioglimento è stata appena inviata all' Agenzia delle entrate. Era stata fondata nel 1972, quando Adro fu una delle prime realtà italiane ad adottare il tempo pieno. «Non potevo fare altro. E' finita». Lo sguardo è quello di una donna sconfitta. All' inizio di giugno era andata in vacanza. In sua assenza è stata indetta una riunione dell' Associazione, ospitata in municipio, alla presenza del sindaco. Un Termidoro a ranghi ridotti. Una settantina di genitori, sui 680 che hanno facoltà di voto, ha eletto un nuovo direttivo. «Illegale, proibito dallo statuto. Ma logica conseguenza del fango che mi è stato buttato addosso in paese. Una vendetta». La mensa della scuola sarà gestita da una associazione non ancora costituita. La presidente è una di quelle mamme che in televisione, da Santoro, inveivano contro la vecchia direttrice e l' imprenditore-mecenate. Nei fatti, il servizio di refezione passa al Comune. Il congedo della signora Giuseppina: «Io non lascio a casa nessun bimbo. Lo facciano altri, se vogliono». La favola alla rovescia di Adro è finita com' era cominciata, in un rivolo di rancore.
Il sindaco nega di aver gestito una specie di golpe. «Ma avevo perso ogni fiducia nell' associazione. La penso come prima, e così si farà. Mangia chi paga, e mangia quel che c' è, cattolico o islamico. Menù padano, carne di maiale compresa. Altrimenti, la pratica passa ai servizi sociali. Io amministro Adro, del resto d' Italia non me ne frega niente». Lancini è un uomo semplice come le grisaglie che indossa, sinceramente convinto di essere nel giusto. Dopo un problematico passato da imprenditore - venne processato per aver inquinato il fiume Oglio con gli scarichi della sua ditta, reato prescritto - si è rivelato un amministratore attento. La gente è dalla sua parte, anche se almeno un adrense su tre non l' ha votato, lui asseconda gli istinti della «sua» gente, convinto che assecondare sia la miglior forma di governo. E pazienza se a fine luglio il tribunale di Brescia ha dichiarato illegittimi i provvedimenti con i quali escludeva i cittadini extracomunitari dal bonus bebè. «Io non sono un educatore. A me basta proteggere la mia comunità. Il mondo è brutto, basta uscire da Adro per capirlo».
Il plesso scolastico di via Carlo Cattaneo è quasi pronto. Nel cantiere i muratori si dedicano al colonnato dell' ingresso, siamo alle rifiniture. Un' opera da 6 milioni e 700 mila euro, finanziata con la cessione del vecchio comprensorio di via Padania all' azienda incaricata dei lavori, che ne farà una zona residenziale. La nuova scuola rappresenta la prova che Adro è un posto di gente magari spaventata da quello che il sindaco chiama «il mondo fuori», ma non è il paese dei cattivi. Mancavano 240 mila euro per gli arredi di materne, elementari e medie. E' stato emesso un bando per la cittadinanza. «Una volta si diceva laurà per la cesa di Ader, adesso vi chiedo di farlo per un' altra causa». Oscar Lancini aveva promesso di intestare un' aula a ogni famiglia che si fosse impegnata, ma non ce la farà. Troppe donazioni, molto più della cifra richiesta. «Grazie al grande cuore di Adro», c' è scritto sull' ultimo bollettino comunale.


Marco Imarisio
(4 settembre 2010)
 
 *Stravagante che per il bollettino comunale “padano” si adoperi un termine inglese.



 




sabato 11 settembre 2010

Tempesta d'autunno






Irrompe impetuoso l’autunno, violenti scrosci di pioggia flagellano strade e piazze, raffiche di forte vento spazzano via, con largo e inatteso anticipo, ciò che restava dell’estate. Le nuvole gonfie e nere si scontravano nel cielo fino a ridurre le ore di luminosità, luci accese anzitempo, cappa opprimente di malinconia e depressione potenziale.
Oggi, anche metaforicamente, è stata una giornata paurosamente in linea con le condizioni atmosferiche. Al lavoro, soprattutto.  È stato come se una frenetica agitazione si fosse impossessata delle persone più posate e placide, marchiandole con il sigillo dell’impazienza e dell’irragionevolezza.  Neppure il tempo di rifiatare, riordinare appunti e idee, preparare prospetti, inseguiti da scadenze che non concedevano tregua. 
E poi una situazione personale, che sembrava avviata verso la sofferta ma lieta soluzione e che, invece, riserva ancora una complicazione, una dannatissima complicazione. Il percorso che ho intrapreso, costellato di ostacoli, poco lineare, si stava concludendo in gloria.
Superi una montagna, poi scollini, pianura e ancora una nuova montagna, più elevata, quando quella superata sembrava già così tortuosa. E invece no. Sempre più arduo, quasi che più passa il tempo e maggiori sono gli intoppi, mentre mi chiedo ininterrottamente se il difficile sia ormai alle spalle oppure deve ancora arrivare. Generando così un logorio che riprende a intaccare le difese mentali.
Da troppi mesi sto vivendo così, divorato dall’ansia e dal panico che a tratti si manifesta. Anche se ne ignoro le origini, quando si manifesta. Arriva così, irruento come il vento che sta sferzando le chiome degli alberi e sibilando in maniera inquietante.
L’animo si tormenta, si pone domande, non trova risposte e allora le inventa, già sapendo che sono inverosimili e neppure far finta di crederci risulta convincente. E conveniente.
Sconsigliato un tuffo tra le foto dell’estate, la bella ma breve estate. Dovrei riordinarle, raggruppare i file nelle cartelle e mi accorgo che ogni foto ha la sua ragione di essere lì. Anche la più banale delle immagini è impregnata di quel senso di pienezza e di gioia che solo la presenza-assenza della persona amata riesce a conferire. Trovo strabiliante come riaffiorino immediati certi dettagli, legati a ciò che si faceva prima della foto, a ciò che si sarebbe fatto dopo lo scatto. Trovo bello che i ricordi siano stati fissati così. Addirittura esaltante a pensarci bene.
Quest’assenza-presenza è ormai intollerabile, anche l’autunno incipiente e prepotente si piegherebbe alla sua delicata sensibilità che è tale anche quando manifesta apatia e irritazione.  Quando capita. E se capita. Mi accorgo, guardando le foto, che sono in grado di accettare tutto, di tollerare ogni sbavatura e qualunque apparente incrinatura.
Ma non è opportuno che passeggi, questa sera, tra un ricordo e l’altro di un’estate ormai dissolta. Quell’autunno che una volta, neppure tanti anni fa, mi piaceva, oggi con la sua prepotenza mi ha infastidito, forse indebolendomi, quasi che spegnendosi il sole o, comunque, attenuando il proprio bagliore, siano venute meno anche le mie energie, quelle risorse mentali che saranno invece preziose per scalare l’ennesima montagna, naturalmente più alta di quella appena superata.
Ce la farò? Ce la devo fare, anche perché non ho scelta.
Brutta cosa trovarsi senza un’alternativa accettabile: per estremizzare sarebbe come chiedersi se sia meglio morire di fame oppure di sete. Per voluto paradosso, s’intende. Perché molte altre estati ci saranno da vivere e pure l’autunno mostrerà il suo volto meno arcigno, come quell’”aspro odor dei vini” che va  “l’anime a rallegrar”.



sabato 4 settembre 2010

Raglio criminale




Un’amica molto cara, insegnante di scuola primaria, mi ha spedito giovedì scorso un messaggio al termine della prima giornata di servizio dell’anno scolastico 2010-2011, quello pomposamente proclamato della “riforma epocale”.
“Tre bidelli in meno. Due impiegati della segreteria in meno. La preside è fuori di testa”. Poiché ho tutti i possibili motivi per non credere ai ragli della somara unica (non degna di alcuna credibilità, a prescindere, l’associazione a delinquere, definita convenzionalmente “governo”) e credo, invece, alla mia amica molto cara e impotente di fronte alla distruzione sistematica dell’istruzione (pubblica), ho pensato che un post corposo sulla mattanza di passione e professionalità, di conoscenza e di futuro, ci voleva, anche per esorcizzare lo spettro dell’ignoranza che ormai dilaga come valore assoluto e trasforma elettori in servi, devoti all’autocrate, sotto il segno dei ragli monocordi dell’unica stella di questo firmamento sotto cui vegetano  tanti uomini mediocri e generose donne sculettanti.







Condanna di classe
di Caterina Perniconi

 “No, non li incontrerò”. Mariastella Gelmini non ha nemmeno pensato di scendere dal podio della sala stampa di Palazzo Chigi e attraversare la piazza per raggiungere la tenda dei precari della scuola che sono in sciopero della fame da 16 giorni davanti a Montecitorio. “Non voglio essere coinvolta in una contrapposizione politica che determinerebbe un impatto negativo sull’avvio dell’anno scolastico” ha detto la Gelmini “perché alcuni non sono precari ma gente dell’Idv pronta a strumentalizzare la disperazione”. Dimostrando di non sapere chi sono le persone in carne ed ossa che stanno animando la protesta: casi singoli di precari che da Pordenone a Benevento non hanno bandiere di partito né sigle sindacali sulla loro testa. “Il governo non si può accollare 229 mila precari della scuola, ha continuato il ministro, un numero spaventoso creato da un meccanismo perverso negli anni passati”, dimenticando anche in questo caso di dire che nell’ultimo decennio il centrodestra ha governato per 7 anni. 
IN UNA LUNGA conferenza stampa la Gelmini ha snocciolato numeri, fissato un tetto a 50 assenze annuali (pena la bocciatura), e si è vantata della sua riforma “epocale” della scuola, che razionalizza le risorse e spende meno e meglio. Ma se resta senza lavoro una docente che insegna regolarmente da 14 anni, forse la riorganizzazione non è così razionale. La scuola italiana avrebbe bisogno di una riforma di sistema che tagliasse solo gli sprechi e garantisse a docenti e studenti condizioni migliori. Invece il governo continua a non investire un euro sull’istruzione, anzi: taglia 8 miliardi in 3 anni solo per gli organici, a fonte di uno stanziamento totale di 43. Il ministro ha confessato che i precari rimasti senza una cattedra lo scorso anno sono 42 mila. Ai quali si aggiungeranno i 25.600 che la perderanno quest’anno, per lo più alle superiori. La ripercussione diretta è sulla vita scolastica perché quelli non sono docenti in più, ma cattedre necessarie a garantire il corretto funzionamento degli istituti. In questo modo invece si costringono le scuole all’accorpamento delle classi e alla riduzione dell’offerta formativa. A scapito degli studenti. 
“C’È GENTE precaria nella scuola che dopo 10-12 anni viene mandata a casa. Neanche i padroni delle ferriere fanno quello che stanno facendo Gelmini e Tremonti ”ha dichiarato il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani. Ricordando che il centrosinistra aveva fatto un piano di assorbimento triennale dei 150 mila precari che ogni anno lavorano stabilmente. Perché i posti ci sono. Solo che costa meno affidarli a precari anziché a personale stabilizzato. Ripercuotendo sempre le conseguenze sui bambini che non hanno più punti di riferimento certi. “Quello del ministro è un ricatto, spiega Manuela Ghizzoni del Pd, perché dice che il 97% delle risorse per le scuole va in stipendi e il 3% per l’edilizia scolastica e nuove tecnologie. Quindi non investo un euro in più e anzi tolgo i soldi per il personale così posso investire in altro. Per questo motivo nel 2008 ha deciso di tagliare 87 mila docenti e 40 mila assistenti tecnici in 3 anni”. Tra chi resta a casa quest’anno c’è Manuela Pascarella, insegnante di sostegno di Roma, che ieri è andata a far visita ai precari in sciopero della fame: “Non è vero come ha detto la Gelmini che aumentano le ore di sostegno, spiega la docente precaria, lo scorso anno mi avevano già ridotto le ore con un bambino affetto da una grave patologia, da 12 a 9. E quest’anno per lui non ci sarà più un insegnante dedicato. Ma quel bambino non è mica guarito nel frattempo”.  

STESSO DISCORSO sul tempo pieno. Il ministro ha detto che nel 2010 ci saranno 877   classi in più. Dimenticando di specificare che si parla di classi a 40 ore mentre il “tempo-lungo” da 31 a 39 ore è pressoché sparito. “Ho fatto un’interrogazione parlamentare al ministro, racconta Manuela Ghizzoni, per chiederle come mai da quando è arrivata al dicastero di viale Trastevere i dati sulle classi di tempo lungo, che una volta erano pubblici, non vengono più pubblicati. Lei ha risposto dicendo che sono di competenza ministeriale e quindi sta a lei decidere come e cosa rendere pubblico. Ma se li nasconde il motivo è chiaro a tutti”. Soprattutto ai genitori e agli studenti che già dall’anno scorso hanno dovuto contribuire di tasca loro all’ampliamento dell’offerta formativa. E sempre più spesso all’acquisto di gessi e carta... 
(3 settembre 2010)




Sciopero della fame: diario del 16° giorno
di Giacomo Russo e Caterina Altamore

 Ieri era il grande giorno: per le 10:30 era prevista la conferenza stampa del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, proprio qui davanti a noi, a Palazzo Chigi. Molto indolenziti per l’ennesima notte in tenda ci siamo dati una sistemata sperando che la giornata ci regalasse un incontro-chiarimento col ministro. E invece niente. Dopo la conferenza sono venuti i giornalisti a dirci che no, la Gelmini non sarebbe scesa, perché strumentalizziamo la nostra situazione, siamo politicizzati. E invece no. Niente di tutto questo. Noi siamo persone autonome, libere, che lottano per una scuola pubblica di qualità e mettiamo la nostra salute a servizio del Paese. Perché crediamo che la società si fondi sull’educazione e siamo certi che il ministro non vorrebbe mandare sua figlia in una scuola poco sicura, imbottigliata in una classe con 30 ragazzi, senza nemmeno la carta igienica. Eppure la nostra scuola oggi è così, e noi non ci stiamo. Non ci stiamo a perdere un lavoro dopo 14 anni di precariato. Però siamo solidali con la Gelmini, perché solo lei poteva mettere la faccia su una “non riforma” come questa spacciandola per tale. Noi vorremmo davvero un ministro che fa una riorganizzazione vera della scuola, perché ce n’è bisogno. Ma non si possono spacciare 8 miliardi di tagli per una riforma “epocale”. Sono venuti a trovarci gli operai dell’Eutelia e molti comuni cittadini che ci hanno portato la loro solidarietà. Poi a un certo punto io (Giacomo) sono stato portato all’ospedale per un altro piccolo malore. Ma dopo una flebo sono di nuovo in piazza. Nonostante la decisione del ministro noi siamo contenti, perché si sta creando una buona mobilitazione. E stasera, finalmente, dormiremo per la prima volta comodi. È arrivato il camper...! 
(3 settembre 2010)



Forse c’è un’altra strada
di Michele Boldrin*

La nuova sceneggiata è servita. Da un lato i precari della scuola che fanno lo sciopero della fame e un sindacato che vuole solo mantenere lo status quo. Dall’altra un ministro che si vanta dei propri tagli senza capire (i suoi consiglieri non glie l’hanno evidentemente spiegato) che il problema è come è organizzata e gestita la scuola italiana. In mezzo i media che, anziché documentare le colpe d’una parte e dell’altra (e la necessità di una svolta), alimentano la polemica. Ulteriore fotografia, se ce ne fosse bisogno, di una classe dirigente uniformemente inetta. È chiaro a chiunque non abbia fette di salame ideologico sugli occhi che l’ennesima apertura caotica dell’anno scolastico è il frutto di scelte miopi e accomodanti di questo governo e di molti che l'hanno preceduto. Oltre che di politiche sindacali improntate al più bieco corporativismo e alla massimizzazione della spesa, invece che alla sua efficienza e produttività. Così come è chiaro (fuorché alla Gelmini e a Tremonti) che la soluzione non consiste in miopi tagli orizzontali, ed è chiaro (fuorché ai sindacati) anche che non è spendere di più e impedire i cambiamenti nell' organizzazione del lavoro.  Eppure, se l’obiettivo fosse far funzionare meglio la scuola italiana, il problema si potrebbe risolvere. Ecco gli ingredienti in ordine sparso...
Decentralizzare per davvero le decisioni di assunzione e impiego del personale lasciando completa autonomia contrattuale ai provveditorati. Trasformare ogni scuola in una cooperativa d’insegnanti a cui lo Stato dà in concessione a tempo indeterminato (a un prezzo che copra l’ammortamento) le strutture fisiche. Chi assumere (e a che condizioni), chi promuovere, premiare o licenziare, lo decide la cooperativa. O, al massimo, il provveditore. E che il migliore, se vuole, venda i propri servizi a un prezzo (regolato) maggiore. Gli insegnanti di qualità costano, come i luminari della medicina. E i soldi? Buoni scuola uguali per tutti gli studenti, finanziati con le imposte e spendibili nella scuola di propria scelta. Ciò che conta è il finanziamento pubblico dell’istruzione, fattore di progresso economico e uguaglianza sociale, non la sua gestione diretta. Che, come l’esperienza dimostra, porta spesso a inefficienze e assurdità. E i programmi? E la qualità dell’insegnamento?   Ci pensa il ministero. Programmi minimi e uniformi a livello nazionale, con aggiunte volontarie locali e qualità dell’insegnamento testata con esami nazionali (basta con regioni dove le lodi si regalano). A questo si dovrebbe dedicare il ministero che, con questa riforma federalista, si svuoterebbe di migliaia di inutili funzionari, liberando risorse per chi l’insegnamento lo produce davvero. Ossia gli insegnanti capaci e volenterosi, in collaborazione con alunni e famiglie.   
*Washington University in Saint Louis

(3 Settembre 2010)





L'analisi



I call center delle cattedre


 di CHIARA SARACENO
 


La scuola non può continuare a funzionare facendo conto largamente su insegnanti precari, il cui contratto è rinnovato annualmente (quando va bene), senza nessuna garanzia non solo per la continuità del rapporto di lavoro ma anche per la continuità didattica.
E per la possibilità di sviluppare progetti formativi di medio-lungo periodo. Se le cifre presentate ieri dal ministro Gelmini  -  200.000 precari a fronte di 700.000 con cattedra di ruolo  -  sono giuste, segnalano un sistema organizzativo che affida il proprio funzionamento per quasi un terzo a rapporti di lavoro, ma anche e soprattutto formativi, senza continuità.  È peggiore di quanto avviene nell'industria e si avvicina alla situazione dei call center. Salvo che ciò che produce la scuola non sono automobili o lavatrici, e neppure servizi di informazione. E gli studenti non sono pezzi da assemblare su una catena di montaggio, o clienti cui dare qualche informazione preconfezionata o da smistare ad un altro numero. 
Se gli studenti italiani rendono meno in media della maggioranza dei loro coetanei degli altri Paesi, forse è anche per questo: sono più  esposti ad un turnover sistematico di docenti, a loro volta poco incentivati ad investire nel conoscere meglio i propri studenti, nel trovare formule di insegnamento efficaci. Perché un anno sono in un posto, l'anno dopo, se va bene, in un altro. Ha ragione quindi la ministra a dire che la situazione non è più tollerabile. Ma ha torto sia nelle cause che individua per questo rapporto abnorme tra precari e regolari, sia nella soluzione che ha trovato, ovvero mandarli a casa con un'operazione di licenziamento (di fatto, anche se formalmente si chiama mancato rinnovo) di proporzioni enormi, che coinvolge, tra l'altro, soprattutto donne.
Se la massa degli insegnanti precari è cresciuta a dismisura, non è innanzitutto, come invece sostiene Gelmini, perché si è fatto un uso clientelare e assistenziale delle supplenze. Piuttosto, analogamente a quanto avviene nell'industria, i vari governi che si sono succeduti hanno trovato comodo, anche con la complicità dei sindacati, utilizzare le supplenze come tappabuchi organizzativi, anziché procedere ad una seria programmazione del reclutamento e della mobilità degli insegnanti. Per cominciare a sciogliere questi nodi occorre innanzitutto distinguere i due aspetti della questione: quello dell'organizzazione scolastica e in particolare dell’ offerta formativa, e quello dei lavoratori che dopo anni di precariato di colpo si trovano senza lavoro.
A sentire le parole della Ministra, sembra che la riduzione del numero degli insegnanti avrà l'effetto miracoloso di rafforzare la qualità dell'insegnamento. Se è vero che la situazione precedente era lontana dall'essere soddisfacente, non è chiaro tuttavia come la riduzione tout court degli insegnanti possa di per sé produrre effetti positivi. Insieme alla razionalizzazione delle risorse e alla riduzione degli sprechi, occorre procedere a una verifica sistematica dei problemi formativi e delle loro cause.
Ad esempio, i risultati del test INVALSI confermano la necessità di un fortissimo investimento nei servizi educativi il più precocemente possibile e per un tempo scuola di qualità ampio, per contrastare handicap sociali e ambientali. Invece le regioni meridionali sono quelle in cui ci sono meno nidi di infanzia, in cui le scuole materne sono spesso ancora a tempo parziale e il tempo pieno alle elementari è pochissimo diffuso. Analogamente, i più alti tassi di fallimento scolastico negli istituti tecnico-professionali (frequentati di norma dai figli delle classi sociali più modeste) rispetto ai licei dovrebbero indurre non solo a un rimaneggiamento delle materie, come è avvenuto con la riforma delle superiori, ma ad una politica di sostegno ai processi di apprendimento.
Tutto ciò non risolverebbe automaticamente la questione dei precari che rischiano di perdere il loro posto di lavoro, anche se in parte ne conterrebbe il numero, avviando un percorso di regolarizzazione che li faccia uscire, appunto, dalla precarietà. Tuttavia, se non tutti possono essere assorbiti, il ministero, lo Stato, non può lavarsene le mani come se non fosse un problema da esso stesso creato. L'accesso a un incarico annuale non è un diritto. È, dovrebbe essere, un diritto, un sostegno al reddito decente e l'accesso a opportunità di ricollocamento.
È vero che ci sono problemi di bilancio. Altri Paesi tuttavia, pur con performance scolastiche migliori, hanno tagliato su molte cose, ma hanno aumentato le risorse per la scuola, intendendole come investimento nel futuro. Da noi invece si taglieranno un po' di stipendi per pagare la carta igienica. 
(3 settembre 2010)




Il racconto

"Calpestati 14 anni di sacrifici per loro siamo solo dei numeri"
Caterina, in ospedale dopo otto giorni di sciopero della fame: "Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e tre bambini e di andare a Brescia. Ora tutto viene cancellato"
di MARIA NOVELLA DE LUCA

ROMA- "Sono figlia di un agricoltore e ho l'orgoglio di essere diventata maestra elementare. Ai miei tre figli ho insegnato il rispetto e la passione per la scuola, ho lavorato nei quartieri a rischio di Palermo, dove i bambini bisognava andarli a cercare nei vicoli e nei cortili per farli entrare in classe e "rubarli" alla criminalità che li assolda e li sfrutta. Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e i miei tre figli e di andare al Nord, in una scuola di Brescia, vivevo in una stanza d'albergo, cucinavo in un angolino, dei 1300 euro di stipendio non rimaneva nulla, ma non importa, ripartirei domani... E adesso questi 14 anni di precariato vengono cancellati, calpestati da un ministro che si rifiuta anche di incontrarci. Sì, lo so, corro un grave rischio a continuare lo sciopero della fame, soffro del morbo di Crohn e i medici sono stati chiari. Ma qui in gioco c'è il futuro di migliaia di famiglie, dei nostri figli e della scuola pubblica. Come può questo governo essere così cieco e sordo?"
Distesa su una barella del Pronto Soccorso dell'ospedale "San Giovanni" di Roma, Caterina Altamore, 37 anni, insegnante precaria di Roccamena provincia di Palermo, all'ottavo giorno di digiuno, racconta la sua battaglia, la durezza delle ultime settimane, il presidio davanti a Palazzo Chigi, "in tenda, con i topi che si infilavano dappertutto, le notti improvvisamente diventate fredde" fino alla delusione di ieri, dopo il rifiuto secco della Gelmini, "no, non incontrerò i precari". Un muro. Una barriera. "Per loro siamo numeri, roba da niente", mormora. E aggiunge: "Il ministro dice che siamo politicizzati? La sfido a dire qual è la mia tessera".
Poi nel pomeriggio il malore, la corsa in ospedale con il 118,  ma Caterina è una donna forte, decisa, occhi scuri fermi e diretti, mentre attende che la flebo di glucosio le restituisca le forze risponde al telefono, rassicura tutti. La sorella da Palermo, il marito Angelo Moscatelli, i colleghi: "Sto bene, sto bene, adesso torno al presidio, non vi preoccupate...". Anche lì in corsia si accende la solidarietà. Pazienti, infermieri: "Stanno distruggendo la scuola, resistete".
Caterina Altamore ringrazia, sorride, anche se il foglio di dimissioni non lascia dubbi: "Deve riprendere ad alimentarsi il prima possibile" scrivono i medici. Ma Caterina, ormai il simbolo di questa protesta durissima che sta saldando Nord e Sud contro i tagli che hanno espulso dal mercato del lavoro migliaia di insegnanti, va avanti. "Lo faccio per i miei figli, a cui ho comunicato l'orgoglio per lo studio e per il sapere, e infatti hanno la media del 10. Ma lo faccio per i ragazzi di tutta Italia, a cui questi tagli travestiti da riforma stanno togliendo il diritto costituzionale ad avere una scuola pubblica che funzioni, e non con classi di 40 alunni e le aule fatiscenti. Lo faccio per quei bimbi del "Capo" di Palermo, quelli che avevo in classe, e che senza tempo pieno resteranno per strada, in attesa di diventare soldati della mafia. E per noi, vite da precari, disposti a tutto pur di fare gli insegnanti, anche appunto a lasciare i miei tre bambini in Sicilia e andare in Lombardia".
Nuovi migranti tra i migranti, e in gran parte donne, aggiunge Caterina. "Perché non è vero che la gente del Sud non si muove, non si sposta. A Brescia l'esperienza è stata bella e importante, lì ci sono ricchezza, strutture, ma il taglio di fondi sta demolendo anche quel mondo. Un anno di viaggi e di valige, di nostalgia, e meno male che a casa c'erano mia madre e mia suocera...". La famiglia appunto. Un punto fermo per Caterina, cattolica praticante, che si è sposata a 21 anni, e poi con Angelo ha fatto tre figli. "Ma non ho mai saltato una supplenza, ogni volta che mi è stato dato un incarico l'ho portato fino in fondo, e ancora oggi ho lo stesso entusiasmo, credo davvero che le cose possano cambiare, la gente se ne sta accorgendo, certo la cosa assurda è che per parlare di scuola pubblica ci voglia il gesto estremo dello sciopero della fame".
Dimessa dall'ospedale Caterina torna al presidio davanti a Palazzo Chigi. Il referto sotto il braccio. L'avvertenza di smettere il digiuno e di bere il più possibile. Il morbo di Crohn è una malattia grave, provoca ulcere e lesioni interne. "Senza lavoro per me sarà anche più difficile curarmi, la Sanità in Sicilia è così distrutta che spesso devo utilizzare le strutture private e una colonoscopia costa anche mille euro". Un velo di tristezza, di preoccupazione. Ma è un attimo. Caterina torna allegra. "Meno male che da ieri sera è arrivato il camper della Cgil. Ora la notte sarà meno dura". Ad aspettarla lì, come ormai da giorni, gli altri colleghi con cui condivide lo sciopero della fame, Giacomo Russo e Salvo Altadonna. "Quanto andrò avanti? Fino a che non avremo delle risposte, fino a che le forze me lo permetteranno. I miei figli? Lo sanno e mi sostengono. Mio marito? È preoccupato, ma sa che io non mi fermo. Non posso. Corro un rischio, è vero, ma è una battaglia di civiltà".
(ha collaborato Salvo Intravaia)
(3 settembre 2010)


Genitori-cittadini, è l’ora della sveglia
di Marina Boscaino

Dico a voi, genitori, nonni, zii, ragazzi. Cittadini. Lo so, la lettera è “vetero”, come ci hanno fatto credere di idee, principi, valori su cui vorrei riflettere. Svenduti dall’aggressività neoliberista e dal macabro progetto culturale di chi ci governa: come la lettera, roba d’altri tempi. Comodo per plasmare menti e coscienze al pensiero unico: sbarazzare il campo da ogni ostacolo. E far pensare che alcune radici della Repubblica puzzino di stantio.
La Costituzione, ad esempio. Che va invece tutelata da retorico buonismo, inerzia e manipolazione, rivendicando, con orgoglio e passione, il mandato attribuito a noi insegnanti dalla Carta: formare cittadini consapevoli. È sempre più difficile, da questo non-luogo a cui hanno ridotto la scuola. Fuori dai cancelli, i ragazzi si trovano in un mondo che li sollecita esattamente nella direzione opposta: il re per una notte, il tronista, il famoso, lo spiato che ammicca alla telecamera. Maschere (tragiche) dell'ossessione collettiva, prese in prestito dalla videocrazia per sostanziare la realtà.
La scuola è di tutti, ci hanno insegnato. Scuola, sanità e giustizia: ce l’hanno ripetuto. Allora perché in prima pagina solo a colpi di precari in mutande sui tetti o in sciopero della fame?
Perché non bastano la disillusione, la sfiducia nelle istituzioni e nel futuro di tanti quarantenni ai quali un ministro si può permettere di dire: solidarietà, ma voi pagate per tutti? Pagate il conto al sistema che vi ha creato e sfruttato per anni. Io, intanto, appoggio Marchionne. E dismetto qualsiasi responsabilità rispetto all’illegittimità delle procedure che stiamo assumendo e alla crisi sociale innescata dal più grande licenziamento di massa della storia della scuola.
Parole in libertà, suggestive e mediaticamente efficaci, per solleticare il bisogno di certezze di chi si è smarrito. O non si è mai trovato. Alle quali non corrisponde in nessun modo alcuna realtà. Parla rivolgendosi a voi, audience, che fate share. A molti di noi non si rivolge più, se non per bacchettarci, darci dei fannulloni, degli incompetenti, degli assenteisti; minacciarci, se “facciamo politica”: TremonBrunetta-pilotata, come la giovane Ambra da Boncompagni. Non produce pensiero originale, questo ministro della Repubblica. I suoi slogan sono sintesi market oriented di ciò che hanno deciso altrove. Lei ha il compito di metterci la faccia.
E lo fa in maniera impudica, perché inconsapevole: millantando potenziamenti di materie in una scuola superiore in cui si taglia tutto, dagli orari alla carta igienica; di legalità, mentre viola norme democratiche per portare a casa la “riforma” (il taglio di 8 miliardi) che il ministro dell'Economia le ha commissionato; di diritti, costringendo bambini e ragazzi in scuole non bonificate da Eternit, in cui vengono stipate aule a dispetto di qualsiasi norma di sicurezza, in cui viene calpestata, elusa, umiliata la legge per il sostegno alla diversabilità, che tutta l’Europa   ci invidia. Ma di cui incultura politica e insensibilità sociale sviliscono la portata. Vi parla di uguaglianza, restaurando una scuola di classe, che divarichi destini e immobilizzi origini sociali. Creando ghetti sempre più segregati, per i figli di un dio minore: di colore, di religione, di nascita differenti dai futuri quadri, immaginati in un triste progetto di società; non troppo colti, purché provvisti di potere d’acquisto, consumatori acritici, prodotto della dismissione della grande idea di una scuola inclusiva ed emancipante che ha animato le intenzioni dei costituenti.
D’accordo, potrebbe non toccare ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri alunni: noi saremo abbastanza forti da tutelarli. Ma ai miei Lorenzo e Margherita, che iniziano rispettivamente la scuola secondaria di II e di I grado proprio nell’anno 0 della “riforma epocale” e a tutti i miei alunni, anche i meno sensibili, non mi stancherò di cercare di far capire che la democrazia si basa sulla difesa dei diritti collettivi e dell’interesse generale. E che il privilegio di una buona partenza non esenta dal dovere della partecipazione e dalla testimonianza dell’indignazione. Perché silenzio è uguale a morte.
(3 settembre 2010)

*La vignetta Tremonti burattinaio è di Marilena Nardi da "il Fatto Quotidiano" del 3 settembre 2010.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/02/una-conferenza-per-rispondere-ai-precariil-gioco-delle-tre-carte-del-ministro-gelmini/55988/
 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/25/la-mannaia-della-riforma-gelmini/52723/
 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/03/il-curriculum-della-gelmini/56192/
 
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9ebe7085-2886-4823-9ba0-4f57a4a7cf85-tg3.html?p=0  (precario più anziano -   3 settembre)
 
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-5851d2ae-d0b9-4fe6-b3be-7e145b881039-tg3.html?p=0 
 





 



giovedì 2 settembre 2010

Links in progress


Potrebbe essere definito il festival dei links, ma vi faccio ricorso per alimentare il blog, quando si ha la necessità di raccogliere le idee, per svilupparle in seguito.
Sto ancora attraversando la fase del post vacanze e la gestione del tempo risente della mancata sincronizzazione. Analogo discorso per l’aggiornamento con i blog altrui.
Gli argomenti comunque non mancano, semmai ce ne sono fin troppi. Ciascuno, come sempre, sceglierà ciò che più gli aggrada.
 
Sfogliando le ultime edizioni de “la Repubblica” mi hanno colpito:
 

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/12/il-lato-oscuro-della-famiglia.html  Chiara Saraceno
 

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/08/11/news/commento_merlo-6213405/index.html?ref=search  Francesco Merlo
 

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/30/news/circo_gheddafi-6613118/index.html?ref=search  Francesco Merlo
 
 
http://www.repubblica.it/economia/2010/07/29/news/rischi_lingotto-5912486/index.html?ref=search  Luciano Gallino
 

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/31/news/il_ministro_che_manca_da_119_giorni-6642685/index.html?ref=search  Massimo Giannini
 
Poi, curiosando qua e là, nella giornata odierna:
 
Inaugurazione e tappeto rosso contestato Gianni Letta

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.repubblica.it%2Fspeciali%2Fcinema%2Fvenezia%2F2010%2F09%2F01%2Fnews%2Fred_carpet-6686278%2F%3Fref%3DHRER2-1&h=31b58 
 
- Scuola: maestra precaria digiuna e dorme in auto in Friuli

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.ansa.it%2Fweb%2Fnotizie%2Frubriche%2Fcronaca%2F2010%2F09%2F01%2Fvisualizza_new.html_1788094669.html&h=31b58
 
- Scuola, davanti al Provveditorato di Milano lo sciopero della fame dei precari

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fmilano.repubblica.it%2Fcronaca%2F2010%2F09%2F01%2Fnews%2Fxxx_xxx-6679811%2F%3Fref%3DHREC1-1&h=31b58
 
 - Gheddafi se ne torna a casa, B. gli ha già nominato un esattore per le sue richieste di soldi all'Ue. L'esattore di Tripoli sarà Frattini per 5 miliardi di euro l’anno.

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.unita.it%2Fnews%2Fitalia%2F102984%2Ffrattini_piazzista_di_tripoli_porta_in_europa_il_ricatto_libico&h=31b58-
 
- La FIOM querela la Gelmini per frasi offensive contro i lavoratori e il sindacato

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.giornalettismo.com%2Farchives%2F79000%2Ffiom-querela-gelmini%2F&h=31b58
 
- Carrefour, rientro negato per 64 lavoratori nonostante la decisione del giudice del Lavoro.
http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.rassegna.it%2Farticoli%2F2010%2F08%2F30%2F65908%2Fcarrefour-rientro-negato-per-64-lavoratori&h=31b58
 
Non prendono la paga da mesi e fanno la spesa gratis: la protesta dei dipendenti Carrefour di Assago
http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.blitzquotidiano.it%2Fcronaca-italia%2Fcarrefour-assago-dipendenti-senza-stipendio-spesa-gratis-526010%2F&h=31b58
 
- 1 SETTEMBRE: 500.000 POSTI DI LAVORO A RISCHIO

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.cnim.it%2Fcnimnm%2Fmanutenzione%2Fman-news.aspx%3Farticleid%3D1066%26zoneid%3D1&h=31b58
 
  - Quattro mesi senza ministro allo Sviluppo Economico: dai finiani ai sindacati, è bufera su Berlusconi

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.blitzquotidiano.it%2Fpolitica-italiana%2Fquattro-mesi-sviluppo-economico-interim-bufera-berlusconi-527335%2F&h=31b58
 
- L’Aquila, torna l’allarme terremoto. Il geologo Giuliani su Facebook: “Possibili nuove scosse”

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.blitzquotidiano.it%2Fcronaca-italia%2Fterremoto-laquila-giampaolo-giuliani-facebook-allarme-nuove-scosse-526081%2F&h=31b58
 
- Santoro scrive a Masi: “Adesso basta, fate partire Annozero”

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.giornalettismo.com%2Farchives%2F79041%2Fsantoro-masi-lettera-annozero%2F&h=31b58
 
- Vaticano: si dimette Marchetto, difensore rom e immigrati richiesta avanzata un anno fa, sue posizioni spesso "scomode"

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.ansa.it%2Fweb%2Fnotizie%2Frubriche%2Fpolitica%2F2010%2F09%2F01%2Fvisualizza_new.html_1788004462.html&h=31b58
 
 - Al leghista piace l'auto blu
http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fespresso.repubblica.it%2Fdettaglio%2Fal-leghista-piace-lauto-blu%2F2133432&h=31b58