domenica 30 agosto 2009

Il bouquet della domenica - 4



Stretti tra il Papi e il Vaticano, si aggiungono deliri purtroppo non di stagione, il pacchetto- sicurezza, mentre la mafia lottizza quella Milano un tempo da bere e ora assecondata dall’impotenza istituzionale.


Un bouquet piuttosto corposo, questa volta. Ne sono consapevole, ma ognuno prenda e legga ciò che più gli aggrada.


Apro con lo Scalfari della domenica, fluviale com’è nel suo stile, ma le riflessioni sono accurate. A seguire un editoriale di Valentino Parlato su “il manifesto” dedicato al Papi, due puntate della fortunata rubrica che Maria Novella Oppo tiene su “l’Unità” e poi una meticolosa analisi del famigerato pacchetto-sicurezza. Tanto per restare in tema, infine, un paio di servizi sulla distribuzione delle case popolari a Milano, Lombardia. Territori evidentemente ignoti ai legaioli che se ne guardano bene dal pronunciarsi. Cosa nostra, per intendere loro, direbbero.  


 


 


IL COMMENTO


Le convulse giornate della perdonanza


di EUGENIO SCALFARI


 


Venerdì scorso il Tg1 diretto dall'ineffabile Minzolini, incurante del fatto che le notizie del giorno fossero l'attacco del "Giornale" contro il direttore dell'"Avvenire", lo scontro tra la Cei e la Santa Sede da un lato e il presidente del Consiglio dall'altro e infine la querela di Berlusconi a Repubblica per le 10 domande a lui dirette e rimaste da giugno senza risposta; incurante di queste addirittura ovvie priorità, ha aperto la trasmissione delle ore 20 con l'intervento del ministro Giulio Tremonti al meeting di Comunione e Liberazione.


Farò altrettanto anch'io. Quell'intervento infatti è rivelatore d'un metodo che caratterizza tutta l'azione di questo governo, mirata a sostituire un'onesta analisi dei fatti con una raffigurazione completamente artefatta e calata come una cappa sulla pubblica opinione curando col maggiore scrupolo che essa non percepisca alcun'altra voce alternativa.


Cito il caso Tremonti perché esso ha particolare rilievo: la verità del ministro dell'Economia si scontra infatti con dati ed elementi di fatto che emergono dagli stessi documenti sfornati dal suo ministero, sicché l'improntitudine tocca il culmine: si offre al pubblico una tesi che fa a pugni con i documenti ufficiali puntando sul fatto che il pubblico scorda le cifre o addirittura non le legge rimanendo invece colpito dalle tesi fantasiose che la quasi totalità dei "media" si guardano bene dal commentare.


Dunque Tremonti venerdì a Rimini al meeting di Cl. Si dice che fosse rimasto indispettito per il successo riscosso in quello stesso luogo due giorni prima di lui dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, con il quale ha da tempo pessimi rapporti. Non volendo entrare in diretta polemica con lui si è scagliato contro gli economisti e i banchieri.


Nei confronti dei primi l'accusa è di cretinismo: non si avvidero in tempo utile che stava arrivando una crisi di dimensioni planetarie. Quando se ne avvidero - a crisi ormai esplosa - non chiesero scusa alla pubblica opinione e sdottorarono sulle terapie da applicare mentre avrebbero dovuto tacere almeno per due anni prima di riprendere la parola.


Nei confronti dei banchieri la polemica tremontiana è stata ancor più pesante; non li ha tacciati di cretinismo ma di malafede. Nel momento in cui avrebbero dovuto allentare i cordoni della borsa e aiutare imprese e consumatori a superare la stretta, hanno invece bloccato le erogazioni. "Il governo" ha detto il ministro "ha deciso di non aiutare i banchieri ma di stare vicino alle imprese e ai consumatori".


Così Tremonti, il quale si è spesso auto-lodato di aver avvistato per primo ed unico al mondo l'arrivo della "tempesta perfetta" che avrebbe devastato il mondo intero.


Ho più volte scritto che la primazia vantata da Tremonti non è esistita, ma ammettiamo che le sue capacità previsionali si siano manifestate. Tanto più grave, anzi gravissimo è il fatto che la politica economica da lui impostata fin dal giugno 2008 sia stata l'opposto di quanto la tempesta perfetta in arrivo avrebbe richiesto. Sarebbe stato infatti necessario accumulare tutte le risorse disponibili per fronteggiare l'emergenza, per sostenere la domanda interna, per finanziare le imprese e i redditi da lavoro.


Tremonti fece l'esatto contrario. Abolì l'Ici sulle prime case dei proprietari abbienti (sui proprietari meno abbienti l'abolizione di quell'imposta l'aveva già effettuata il governo Prodi). Si accollò l'onere della liquidazione di Alitalia. Versò per ragioni politico-clientelari fondi importanti ad alcuni Comuni e Province che rischiavano di fallire. Dilapidò risorse consistenti per "aiutini" a pioggia.


In cifre: le prime tre operazioni costarono oltre 10 miliardi di euro; la pioggia degli aiutini ebbe come effetto un aumento del 5 per cento della spesa corrente ordinaria per un totale di 35 miliardi. Ho chiesto più volte che il ministro elencasse la destinazione di questo sperpero ma questo governo non risponde alle domande scomode; resta comunque il fatto.


Ne deduco che il ministro preveggente fece una politica opposta a quello che la preveggenza avrebbe dovuto suggerirgli. Se gli economisti sono cretini che dire di chi, avendo diagnosticato correttamente, applicò una terapia sciagurata?


Quanto ai banchieri: il governo Berlusconi-Tremonti si è più volte vantato di avere ottenuto, nei primissimi incontri parigini avvenuti dopo lo scoppio della crisi, interventi di garanzia a sostegno di eventuali "default" bancari. In Italia tali interventi non furono necessari (altrove in Europa ci furono in misura massiccia) perché le nostre banche erano più solide che altrove, situazione riconosciuta ed elogiata dallo stesso ministro quando ancora i suoi rapporti con Draghi erano passabili. Se ci fu un blocco nei crediti interbancari, questo fu dovuto ai dissesti bancari internazionali. Se c'è tuttora scarsa erogazione creditizia ciò si deve al fatto che i banchieri guardano attentamente al merito del credito e debbono farlo.


Tremonti sostiene che i soldi delle banche riguardano le banche mentre quelli del Tesoro riguardano i contribuenti. Ma su un punto sbaglia di grosso: il credito elargito dalle banche è di proprietà dei depositanti che sono quantitativamente addirittura maggiori dei contribuenti.


Concludo dicendo che il nostro ministro dell'Economia ha detto al meeting di Cl un cumulo di sciocchezze assumendo per l'occasione un "look" da profeta biblico che francamente non gli si addice. Ha riscosso molti applausi, ma il pubblico del meeting di Cl applaude convintamente tutti: Tremonti e Draghi, Tony Blair e Bersani, Passera e Tronchetti Provera, il diavolo e l'acqua santa e naturalmente Andreotti. Chi varca quei cancelli si "include" e questo è più che sufficiente per batter le mani. Ecco una questione sulla quale bisognerà ritornare.


* * *


Torniamo ai fatti rilevanti di questi giorni: l'aggressione del "Giornale" all'"Avvenire", il rapporto tra il premier e le gerarchie ecclesiastiche, la querela di Berlusconi contro le domande di Repubblica. Sul nostro giornale sono già intervenuti in molti, da Ezio Mauro a D'Avanzo, a Sofri, a Mancuso, al documento firmato da Cordero, Rodotà e Zagrebelsky sul quale si sta riversando un plebiscito di consensi che mentre scrivo hanno già superato le cinquantamila firme.


Poiché concordo con quanto già stato scritto in proposito mi restano poche osservazioni da aggiungere.

Che Vittorio Feltri sia un giornalista dedito a quello che i francesi chiamano "chantage" o killeraggio che dir si voglia lo sappiamo da un pezzo. Quella è la sua specialità, l'ha praticata in tutti i giornali che ha diretto. Proprio per questa sua caratteristica fui molto sorpreso quando appresi tre anni fa che la pseudofondazione che gestisce un premio intitolato al nome di Mario Pannunzio lo avesse insignito di quella medaglia che in nulla poteva ricordare la personalità del fondatore del "Il Mondo".


I telegiornali e buona parte dei giornali hanno parlato in questi giorni del "giornale di Feltri" omettendo una notizia non secondaria e non sempre presente alla mente dei lettori: il "giornale di Feltri" è il "Giornale" che fu fondato da Indro Montanelli, per molti anni di proprietà di Silvio Berlusconi e poi da lui trasferito prudentemente al suo fratello.


Lo stesso Feltri ha scritto che dopo aver ricevuto la nomina da Paolo Berlusconi si è recato a Palazzo Chigi dove ha avuto un colloquio di un'ora con il presidente del Consiglio. Una visita di cortesia? Di solito un direttore di un giornale appena nominato non va in visita di cortesia dal presidente del Consiglio. Semmai, se proprio sente il bisogno di un atto di riguardo verso le istituzioni, va a presentarsi al Capo dello Stato. E poi un'ora di cortesie è francamente un po' lunga.

Lo stesso Feltri non ha fatto misteri che il colloquio ha toccato molti argomenti e del resto la sua nomina, che ha avuto esecuzione immediata, si inquadra nella strategia che i "berluscones", con l'avvocato Ghedini in testa, hanno battezzato la controffensiva d'autunno.


Cominciata con Minzolini al Tg1 è continuata con l'arrivo di Feltri al "Giornale" e si dovrebbe concludere tra pochi giorni con la normalizzazione di Rete Tre e l'espianto di Fazio, Littizzetto, Gabanelli e Dandini.


La parola espianto è appropriata a questo tipo di strategia: si vuole infatti fare terra bruciata per ogni voce di dissenso. Non solo: si vogliono mettere alla guida del sistema mediatico persone di provata aggressività senza se e senza ma quando la proprietà del mezzo risale direttamente al "compound" berlusconiano, oppure di amichevole neutralità se la proprietà sia di terzi anch'essi amichevolmente neutrali.


Berlusconi avrà certamente illustrato a Feltri la strategia della controffensiva e i bersagli da colpire. Aveva letto l'attacco contro il direttore dell'"Avvenire" prima della sua pubblicazione? Sapeva che sarebbe uscito venerdì? Lo escludo. Feltri è molto geloso della sua autonomia operativa e non è uomo da far leggere i suoi articoli al suo editore. Ma che il direttore di "Avvenire" fosse nel mirino è sicuro. Berlusconi si è dissociato e Feltri ieri ha chiosato che aveva fatto benissimo a dissociarsi da lui. "Glielo avrei suggerito se mi avesse chiesto un parere".


Si dice che la gerarchia vaticana avrebbe sollecitato il suo licenziamento, ma Berlusconi, se anche lo volesse, non lo farà. L'ha fatto con Mentana, ma Mentana non è un giornalista killer. Farlo con Feltri sarebbe assai pericoloso.


Una parola sulle dichiarazioni di dissenso da Feltri fatte ieri da tutti i colonnelli del centrodestra, da Lupi a Gasparri, a Quagliariello, a Rotondi. Berlusconi si è dissociato? I colonnelli si allineano. E' sempre stato così nella casa del Popolo della Libertà. Tremonti, pudicamente, ha parlato d'altro.


E la Perdonanza?


* * *


Come si sa la Perdonanza fu istituita da Celestino V, il solo papa che si sia dimesso nella millenaria storia della Chiesa, come una sorta di pre-Giubileo che fu poi istituzionalizzato dal suo successore Bonifacio VIII.


I potenti dell'epoca avevano molti modi e molti mezzi per farsi perdonare i peccati, ma i poveri ne avevano pochi e le pene erano molto pesanti. La Perdonanza fu una sorta di indulgenza di massa che aveva come condizione la pubblica confessione dei peccati gravi, tra i quali l'omicidio, la bestemmia, l'adulterio, la violazione dei sacramenti. Confessione pubblica e perdono. Una volta l'anno. Di qui partirono poi le indulgenze ed il loro traffico che tre secoli dopo aveva generato una sistematica simonia da cui nacque la scissione di Martin Lutero.


E' difficile immaginare in che modo si sarebbe svolta l'altro ieri la festa della Perdonanza con la presenza del Segretario di Stato vaticano inviato dal Papa in sua vece e con accanto il presidente del Consiglio a cena e nella processione dei "perdonati". Diciamo la verità: il killeraggio di Feltri contro Boffo ha risparmiato al cardinal Bertone una situazione che definire imbarazzante è dir poco anche perché era stata da lui stesso negoziata e voluta.


Dopo l'attacco di Feltri quella situazione era diventata impossibile, ma non facciamoci illusioni: la Chiesa vuole includere tutto ciò che può portar beneficio alle anime dei fedeli e al corpo della Chiesa.


Se Berlusconi si pentisse davvero, confessasse i suoi peccati pubblicamente, si ravvedesse, la Chiesa sarebbe contenta. Ma se lo facesse sarebbe come aver risposto alle 10 domande di Repubblica. Quindi non lo farà.


Nessun beneficio per l'anima sua, ma resta il tema dei benefici per il corpo della Chiesa. Lì c'è molto grasso da dare e il premier è prontissimo a darlo.


In realtà il prezzo sarà pagato dalla democrazia italiana, dalla laicità dello Stato e dai cittadini se il paese non trarrà da tutto quanto è accaduto di vergognoso ed infimo un soprassalto di dignità.


la Repubblica (30 agosto 2009)


 


 


EDITORIALE   |   di Valentino Parlato


IL CAVALIERE SENZA TESTA


L'autunno non è ancora cominciato e lo stato della politica italiana è già un disastro, con sicuro danno per i cittadini italiani. Un disastro con alcuni paradossi: il primo che il manifesto stia dalla parte della gerarchia cattolica; il secondo che il Cavalier Silvio si sia convertito al culto della Chiesa Padana. Viene il dubbio che l'astinenza dalle escort, cui l'avrebbe obbligato la stampa di tutto il mondo, gli abbia dato alla testa. Capita.


Il punto è che dopo le critiche della Chiesa a Berlusconi, quest'ultimo aveva pensato a una riconciliazione con un pranzo con il cardinal Bertone, ma il cardinal Bertone ha mandato al diavolo il cavaliere dicendo che le spese del pranzo sarebbe stato meglio spenderle per opere di bene. Certo le cannonate sparate dal giornale di famiglia devono aver fatto traboccare il vaso. Vittorio Feltri direttore del Giornale e indomito combattente accusa Dino Boffo direttore de l'Avvenire di omosessualità (che in verità non sarebbe un reato) e di molestie alla moglie di un suo amico. Siamo indubbiamente nell'alta politica.


Nei 45 anni di vita repubblicana credo che mai fossimo arrivati a questo punto e non so bene come il Presidente Giorgio Napolitano riuscirà a metterci una pezza. Ma c'è più di una ragione per sperare che di qui al prossimo 2 giugno l'Italia sia guarita, o almeno convalescente, dal berlusconismo, che oggi la infetta con una diffusione incredibile. Anche Fini si rende conto che in questo modo non si può andare avanti. E poi, massimo del tragico ridicolo, la querela di Berlusconi alle 10 domande di Repubblica, per danni morali valutati in un milione di euro, cioè il valore effettivo del prestigio dell'attuale presidente del consiglio: chi non è pronto a fare una colletta anche di dieci milioni di euro purché si tolga dalle palle?


L'opposizione (salvo alcune forze o debolezze extraparlamentari) è convinta che la grande stagione, quando si parlava di socialismo e addirittura di comunismo, è tramontata per sempre. Non ci sono più grandi obiettivi: si agitano solo per vincere il congresso. Ma sarebbe ora che cominciassero a pensare di battere Berlusconi al più presto, già ai primi dell'autunno. È possibile, e certo più importante che vincere il congresso.


Ps. La tardiva dissociazione di Berlusconi dalle accuse omofobiche del Giornale con la dichiarazione che «la vita privata è uguale per tutti» è una chiara rivendicazione e, insieme, la conferma che non sa più dove mettere i piedi.


il manifesto (29 agosto 2009)


 


 


Fronte del video


di Maria Novella Oppo


Guarda chi scarica i barili


Il ministro Maroni dà la colpa a Malta se le legge assassina voluta dal suo partito provoca decine di morti. Il ministro Frattini dà la colpa all’Europa che dovrebbe accogliere gli immigrati respinti dalla politica razzista del suo governo. E ora i tg ci informano che, secondo il ministro (figurarsi) della giustizia, se le galere italiane fanno orrore, la colpa è degli immigrati che le riempiono. Comunque, una cosa è chiara: il governo Berlusconi è composto da incoscienti che non sanno a chi dare la responsabilità di quello che combinano. Mentre i leghisti continuano a imperversare proponendo norme sempre più feroci e contrarie all’interesse nazionale. E sembra quasi che Fini sia un eroe solo perché dice cose civili. Infelice il Paese che ha bisogno di eroi, ma ancora più infelice il Paese in cui è considerato un eroe chi è costretto ogni tanto a ricordare che poveri e richiedenti asilo sono esseri umani.


l’Unità (28 agosto 2009)


 


Fronte del video


di Maria Novella Oppo


La politica il letto e la chiesa


Personalmente, per principio diffidiamo di tutto quello che dice Maurizio Gasparri. Perciò, se Gasparri si mostra in tv scandalizzato per il killeraggio di Feltri, vuol dire che in realtà ne è compiaciuto, ma si allinea al capo, che si è politicamente dissociato dal suo stesso quotidiano. Tra parentesi: ormai, pure Berlusconi si dimentica di far finta che Il Giornale sia di suo fratello, al quale nessuno si sogna di attribuire la vergogna di certi lavoretti «giornalistici». Non parliamo delle ridicole invenzioni contro Prodi o altri noti comunisti, ma della maniera in cui è stato sbattuto in prima pagina il mostro, ovvero la signora Berlusconi, quando ha indicato nel marito l’uomo che frequenta minorenni, non distingue la politica dal suo letto e non sta neppure tanto bene. Del resto, chi è capace di denudare in pubblico la propria moglie, è capace di tutto, anche di preparare dossier spionistici per ricattare la Chiesa e il suo Dio.


l’Unità (30 agosto 2009)


 


STORIE   


l'analisi - ERRORI E ORRORI DEL PACCHETTO SICUREZZA


TOLLERANZA ZERO


di Sergio Moccia


 


La legge 94, del 15 luglio 2009, è un capolavoro di xenofobia e incongruenze. È sciatta e farraginosa, formata da soli 3 articoli suddivisi in una miriadi di commi e subarticolazioni. È dispendiosa, costerà tagli per 166 milioni. È piena di assurdità, scrivere sui muri diventa più grave del falso in bilancio


Considerando i prevedibili effetti della legge n.94 in chiave di carcerizzazione e di internamenti nei centri d'identificazione.


Sia da un punto di vista formale, sia da un punto di vista dei contenuti, l'ennesimo «pacchetto sicurezza» (legge 15 luglio 2009, n.94) sconta in maniera preoccupante per le ragioni di uno stato di diritto, il suo essere opera di una convulsa attività legislativa di tipo emergenziale, espressiva più di emozioni, poco accreditabili sul piano della stessa civiltà, che non di una razionale politica criminale.


Sotto il profilo formale, la tecnica di redazione è connotata da farragine e sciatteria: siamo lontanissimi dall'esigenza di chiarezza che, secondo la fondamentale lezione illuministica sulla legalità, deve contrassegnare, nello stato di diritto, la normativa penale: essa pretende, di regola, per le violazioni alle sue disposizioni anche il sacrificio della libertà individuale. Ed invece, nel pacchetto sicurezza farragine e sciatteria sono la regola: si consideri solo che la legge 94/09 è formata da tre soli articoli - privi di rubrica, cioè di un titolo illustrativo dei contenuti - che risultano suddivisi, rispettivamente, il primo in trentadue commi, il secondo in trenta commi ed il terzo in ben sessantasei commi; inoltre, la gran parte delle norme contiene ulteriori subarticolazioni, con defatiganti rinvii, anche plurimi, ad altre norme, e con frequenti interpolazioni di queste ultime. In queste disposizioni risultano allineate in modo confuso o, addirittura, intrecciate ipotesi di reato, circostanze aggravanti, cause di maggiore o minore punibilità e tutta una gamma variegata di norme non penali che, tuttavia, finiscono con l'incidere drammaticamente sui diritti fondamentali delle persone, come le norme in tema di centri di identificazione ed espulsione.


Se c'è una lettura difficile anche per un penalista esperto - figuriamoci per il semplice consociato, il destinatario delle norme - è certo quella di questi tre articoli: impegna realmente per ore!


Furia cieca


Dal punto di vista dei contenuti, la caratteristica del complesso malassortito delle tante disposizioni è data dal loro essere espressione di bisogni, spessissimo indotti, di rassicurazione dell'opinione pubblica, soprattutto in rapporto ad immigrazione ed ordre dans la rue, con un occhio alla mafia ed entrambi gli occhi serrati rispetto alla criminalità del ceto politico-amministrativo, imprenditoriale e finanziario.


I rimedi adottati sono riassumibili nello slogan: più repressione, più carcere, più controllo, di polizia e non. Sulla scia di precedenti, improvvidi provvedimenti normativi si mette in scena una coazione a ripetere repressiva, che, connotata da inquietante populismo, criminalizza e rinchiude gli outsiders, oppure li scheda (registro nazionale dei vagabondi, art.3 co.39) e li vessa in vario modo (vedi la tassa da 80 a 200 euro sul permesso di soggiorno, oppure il sistema a punti, con perdita del permesso per lo straniero che non raggiunge certi «obiettivi» previsti dall'«accordo di integrazione», art.1 co.25), per assecondare senza scrupoli le pulsioni xenofobe di una minoranza tanto rumorosa quanto incivile. Si arriva così allo stato di polizia: controllo ossessivo - anche attraverso sorveglianti «parapoliziali», le ronde -, marchi sui vagabondi e campi di internamento.


Una legge costosa


Considerando i prevedibili effetti della legge n.94 in chiave di carcerizzazione e di internamenti nei centri d'identificazione ed espulsione (Cie), appare manifesto che il governo ed il legislatore si comportano in modo ciecamente repressivo ed irresponsabile, dato l'insostenibile sovraffollamento carcerario; e tutto ciò avviene deliberatamente e platealmente a spese di ben più efficaci ed auspicabili interventi in chiave di sviluppo economico-sociale, anche all'estero, dal momento che, come illustra la tabella 1 allegata alla legge, per costruire nuovi Cie si stabiliscono tagli ai fondi ministeriali che gravano soprattutto sul ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, per quasi 90 milioni di euro in tre anni (!), e poi sul ministero degli affari esteri, per circa 49 milioni, e su quello dell'economia e delle finanze, per più di 14 milioni, su un totale di tagli di 166 milioni.


Monumento all'inefficacia


Guardando ai singoli contenuti, in materia di immigrazione si staglia il nuovo reato di soggiorno illegale, un vero e proprio monumento di inefficacia, al di là di ogni altra dolorosa considerazione. Nessun extracomunitario illegale potrà mai pagare la prevista ammenda da 5000 a 10000 euro - per la quale viene arbitrariamente esclusa l'applicabilità della comune disciplina dell'oblazione -; né si capisce a cos'altro serva mai questa figura di reato, dal momento che l'autore denunciato può essere immediatamente espulso o internato nel Cie, il che poteva già avvenire in via amministrativa secondo la disciplina vigente. Dal punto di vista funzionale era sostanzialmente equivalente il reato di inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato - sanzionato, a seconda dei casi, con la reclusione da un anno a quattro o a cinque anni (o da sei mesi ad un anno in caso di permesso scaduto) - che viene «ritoccato» rispetto alla disciplina risultante dal pacchetto sicurezza dell'anno scorso (d.l. n.92, conv. in l.n.125/08). E come il reato di inottemperanza, anche la nuova fattispecie si presenta priva di legittimazione in uno stato di diritto conforme ai principi costituzionali del sistema penale.

Infatti, si può legittimamente punire una persona solo se abbia leso o messo in pericolo un bene giuridico, in altri termini un tangibile interesse o diritto di una o più persone; non si può sanzionare penalmente taluno per la mera disobbedienza ai comandi dell'autorità (nullum crimen sine iniuria). Ora, l'extracomunitario senza permesso di soggiorno, o che non si allontana, con ciò solo non fa male proprio a nessuno; ritenere che solo per il fatto di essere sans papier sia pericoloso è espressione di pura xenofobia.


Ma ciò, evidentemente, non importa ai pretesi fautori del pragmatismo efficientista e della tolleranza zero, come non importa loro che l'unico vero effetto della nuova disciplina possa essere quello di far scoppiare i Cie, in attesa che si realizzino quelli nuovi, moltiplicando così i campi di internamento disseminati nel territorio nazionale. Va considerato infatti che, in ultima analisi, il reato di ingresso illegale ha come vera sanzione l'internamento nel Cie, ossia, al di là delle etichette, una pena detentiva fino a sei mesi.


In questo contesto si segnalano anche altre gravi discriminazioni e stranezze, come l'aumento da sei mesi ad un anno dell'arresto previsto (oltre all'ammenda) per lo straniero che rifiuta di esibire i documenti, art.1 co.22 lettera h, mentre il cittadino che realizza un fatto analogo è punibile solo con l'arresto fino ad un mese (e un'ammenda dieci volte inferiore), art.651 c.p.; o le modifiche alla norma incriminatrice del dare alloggio o cedere anche in locazione un immobile ad uno straniero originariamente o successivamente divenuto irregolare, laddove è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni, a fronte dell'ammenda prevista per lo straniero irregolare. Una incongruenza veramente singolare.


Ma forse è nell'art.3 e negli altri contenuti «stravaganti» del pacchetto sicurezza che più traspare la sua natura emergenziale; nuove incriminazioni e soprattutto aumenti di pena del tutto superflui assecondano in ordine sparso, al di fuori di una visione sistematica coerente, le ansie repressive spesso indotte dai mass-media. Qualche esempio: innanzitutto, il restyling del reato di oltraggio, un omaggio allo strisciante neofascismo, oggi tanto in voga. Si pensi inoltre alla gran messe di aggravanti introdotte con la legge n.94: è giusto contrastare fatti di bullismo ed in genere fatti contro la persona in danno di minori, ma allo scopo non serve, ed anzi è miopemente arbitrario, prevedere un'aggravante se il fatto è commesso «all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione», art.3 co.20: perché, in discoteca è meno grave o meno pericoloso? E per strada?


Considerazioni analoghe potrebbero svolgersi per le nuove aggravanti del furto e della rapina, di cui all'art.3 co.26-27, consistenti, rispettivamente, nella commissione «all'interno di mezzi di pubblico trasporto» - non è aggravata, però, la rapina appena scesi alla fermata in periferia... - oppure al momento in cui la vittima preleva denaro o l'ha «appena» prelevato: una sorta di istigazione indiretta a seguire la vittima, per rapinarla dopo, lontano dalle guardie e dalle telecamere... Non parliamo poi dell'aggravante - da un terzo alla metà della pena - prevista per la guida in stato di ebbrezza o stupefazione se commessi dalle 22 alle 7; sinceramente credevamo fosse più grave e/o pericoloso guidare ubriachi in pieno giorno, quando e dove c'è più gente in giro.


Il decoro urbano soprattutto


Per finire, si diceva che questo pacchetto sicurezza riduce la sicurezza ad ordre dans la rue; in effetti, il decoro urbano, o la sua fruibilità dalle persone «perbene», sembra ormai essere più importante non solo delle libertà di circolazione e soggiorno degli altri, ma anche della stessa libertà personale. Viene introdotta la pena della reclusione, in alternativa alla multa, per chi imbratta (senza danneggiarli) immobili o mezzi di trasporto. Nei casi di recidiva anche semplice, la pena massima è raddoppiata a due anni di reclusione: più grave del falso in bilancio.

Su tutto questo ed altro ancora, vigileranno le famigerate ronde. Tra tanti rischi di abusi in chiave squadrista, di conflitti con altri gruppi e con le forze dell'ordine, e così via, forse il rischio maggiore consiste nel fatto che la sorveglianza di strada dei «cittadini perbene» possa perpetuare una visione «a senso unico» della sicurezza, orientata ad una certa criminalità o mera illegalità di strada. E così, magari, l'imprenditore che picchia l'operaio rumeno in azienda non viene segnalato, ma potrebbe esserlo l'operaio che, appena uscito in strada, gli imbratta l'auto; così come sarà facile prevedere la segnalazione per il giovane ubriaco che di notte fa troppo chiasso nella movida o in qualche periferia che non quella dei poliziotti che, giunti sul posto, come pure avviene, perdano la testa e lo picchino a sangue.


il manifesto (26 agosto 2009)


 


 


MILANO. 2500 euro per occupare l'alloggio


La mafia si vende case popolari abusive


di Davide Milosa




Qui tutti la chiamano Gabetti perché, come la nota agenzia immobiliare, è in grado di reperire alloggi su richiesta. Nel suo caso, però, si tratta di alloggi da occupare abusivamente, pagando una tangente iniziale di 2.500 euro. Lei è Giovanna Pesco, 57 anni, originaria di Palermo, burattinaia, alla luce del sole, di un lucroso racket di appartamenti popolari in via Padre Luigi Monti a Milano, periferia ovest a due passi dall'ospedale di Niguarda.


Le case in questione sono tutti palazzi gestiti dalla Romeo Service dell'imprenditore Alfredo Romeo, arrestato nel 2008 nell'ambito dell'inchiesta sulla manutenzione del patrimonio pubblico napoletano. A settembre, però, l'intero lotto passerà sotto la gestione congiunta di Aler e Comune di Milano. In attesa di future riqualificazioni, qui in via Padre Luigi Monti si respira un'aria pesante fatta di minacce e aggressioni a chi protesta o «se la canta con gli sbirri». Denunce, esposti, querele negli anni sono scivolate sulle scrivanie dell'amministrazione pubblica senza sortire la minima reazione. Il grido di allarme dei residenti onesti così è stato raccolto da Frediano Manzi presidente dell'Associazione Sos-racket e usura che si è messo al lavoro organizzando un appostamento con relativa intercettazione per incastrare la Gabetti.


Un membro dell'associazione di Manzi ha finto di cercare un alloggio. Un pizzino con nome e cellulare ha fatto il resto. L'incontro, tutto filmato, si è svolto ai tavolini dell'unico bar-latteria della via. I primi fotogrammi immortalano la Gabetti, fisico massiccio, capelli ossigenati e abito scuro, stringere la mano al finto acquirente. Qualche convenevole e poi Giovanna Pesco arriva subito al punto, snocciolando informazioni dettagliate sul racket. «Se ha pazienza - dice la Pesco - deve aspettare un mese». In realtà, qualcosa prima si potrebbe trovare. «Ma - prosegue la donna - all'appartamento hanno messo la porta blindata e chi la deve aprire vuole mille euro». L'organizzazione criminale gestita dalla Pesco e dai suoi parenti dispone così di personale ad hoc per sfondare le porte.


Si prosegue. E la Gabetti, con modi professionali, illustra gli appartamenti. «C'è un bell'alloggio, al secondo piano, appena rifatto». Ma anche qui bisogna aspettare. «La signora ha problemi di salute». Così, al primo ricovero in ospedale, una complice della Gabetti le darà la doppia chiave e il gioco è fatto. Poi la conferma sulla gestione del racket. «Se tu venivi un po' prima - dice la Pesco - . Sai quante ne ho fatte in settimana? Quattro o cinque». E ancora: «Una volta salivo io, ma ora mi aiuta mia figlia e mio genero». Una conduzione familiare piuttosto vantaggiosa. «Perché prima per sfondare una porta mi portavo un ragazzo, ora ci pensa mio genero».

E l'affitto? Chi bisogna pagare? «Dell'affitto non ti preoccupare, non si paga», dice rassicurante la Pesco. Poi conferma che «fino a settembre gestisce la Romeo, quindi passa tutto ad Aler e Comune». C'è da stare tranquilli perché «il Comune non butta mai fuori nessuno». Soprattutto «se si tratta di italiani». Con gli stranieri è diverso. «Quando poi ci sono figli grandi ti sbattono fuori, ma se hai bimbi piccoli è più difficile e comunque se arriva la polizia noi ci uniamo tutti».


Quello che manca ora sono i soldi. Quanto vuole la Pesco? «Facciamo 1.500 - dice lei - . Ma mi raccomando non dirlo in giro perché solitamente io prendo 2.500/3.000». Questa è la situazione. In via Luigi Monti, però, pochi parlano. Chi lo fa pretende l'anonimato. «Nella mia scala - ci dice un signore - abbiamo assistito al passaggio di un alloggio di due locali con servizi a cinque locatari abusivi in pochi mesi». Un altro inquilino racconta che «il custode del civico 16 è stato picchiato da un abusivo legato ai Pesco, per paura non ha sporto denuncia». Metodi che puzzano tremendamente di mafia. «Non a caso - ci dice un altro inquilino - i Pesco non sono una famiglia ma un clan».


Sotto la loro ala ricadono cognomi diversi: Priolo, Cardinale, Pastiglia, Oliviero su tutti. Dove stanno? Il quartier generale è il civico 16. «La casa madre», puntualizza un ragazzo. Qui abita Benedetta Priolo, classe '32, detta la papessa, madre della Gabetti e moglie del defunto Francesco Pesco, soprannominato pupetto, capostipite sospettato di legami mafiosi a Palermo. Il racket è un'idea dei vecchi nonni. La stessa papessa, ancora oggi, lavora dietro le quinte. Aiutata, oltre che da Giovanna, da altri figli. Uno di loro, Salvatore, nel '91 cadde vittima di un agguato: qualcuno gli sparò addosso mentre si trovava fuori dal bar-latteria di via Monti. Nel '92 finì in carcere per droga e armi.


Non è finita. I Pesco, infatti, sono malavitosi di prima, seconda, terza e addirittura quarta generazione. Perché se il figlio della Gabetti si è specializzato in rapine ai supermercati, i nipotini più giovani - poco più di dieci anni - estraggono il coltello solo per uno sguardo di traverso. Il quadro è completo. Ora tocca alle forze dell'ordine e alla giunta Moratti.


il manifesto (28 agosto 2009)


 



In via padre Monti quattro generazioni sotto il segno della criminalità


di Davide Milosa


Dopo la denuncia di Sos-racket acquisito dalla questura il video sulla compravendita delle case da parte delle cosche


 


Una, due, tre pedalate e la bici inizia a correre veloce. Luca tiene la testa bassa. La maglietta dell'Inter si gonfia sulla schiena. Cento metri e si ferma davanti a un uomo. Dalla tasca dei bermuda estrae un paio di bustine di roba. Consegna e rimonta in sella. Gli amici lo aspettano al parchetto. Cavallino della droga a soli 13 anni. Tanti ne ha Luca. Lui vive in via Padre Luigi Monti a Milano, quartiere di malavita in mano al clan palermitano dei Pesco: balordi di periferia con aspirazioni da mafiosi che gestiscono spaccio e racket di appartamenti abusivi.

Qui la mala è un sedimento antico di almeno quattro generazioni. Ci sono nonni, padri, figli e poi ci sono i bambini come Luca, Marco, Simone, Paolo, Giorgio (i nomi sono di fantasia), tutti tra i 9 e i 13 anni, che fanno batteria assieme, sognando di diventare, un giorno, dei piccoli boss.

Lo sguardo strafottente già inclina i morbidi lineamenti del volto. Hanno modi violenti. Gesti e parole per tutti. Crescono in strada e imparano molto presto a farsi rispettare. Il loro ritrovo è il parchetto pubblico di via Val Cismon. Qui si danno appuntamento. Giocano a pallone? Affatto.


Preferiscono distruggere i giochi messi dal Comune. Loro rompono e l'amministrazione pubblica paga. E chi prova a mettersi di mezzo lo fa a proprio rischio e pericolo.

Marco, ad esempio, deve compiere dieci anni, ma ha già il piglio del capo. Lui, come gli altri, è in giro dalle otto della mattina fino alle due di notte. In via Luigi Monti lo conoscono in molti. Pochi provano a dirgli qualcosa. Lo ha fatto una signora anziana. «Vieni giù che ti taglio la gola», è stata la risposta di Marco che subito dopo, rivolto a un amico, ha sussurrato. «Passami il coltello». Un altro inquilino si è ritrovato il vetro di casa rotto da una sassata.


Chi, in questa zona, vive onestamente, ha paura anche di loro. Sa che i genitori, pregiudicati e coinvolti in affari illeciti, oltre a spalleggiarli davanti a chi li sgrida, li utilizzano per mandare minacce e intimidire. Pochi giorni fa, Simone, su ordine del padre, ha armeggiato con il coltello nella casella di posta di un inquilino, reo di aver discusso con il genitore.


Dopodiché ci sono i furti: primo gradino per farsi strada nella malavita. E così, i cinque fanno la spola tra via Padre Luigi Monti e la piscina Scarioni. Qui fanno incetta di cellulari, bici e motorini. Tutta roba che i grandi provvedono a ricettare.


E poi c'è la droga. Un ricco affare, orchestrato da una insospettabile signora e gestito dalle auto in sosta con tutto il circo di cavalli e pusher. Uno degli spacciatori, legato al clan Pesco, ha l'abitudine di scendere in strada per vendere la roba con in braccio il figlio di appena quattro anni.

La situazione in cui vivono questi bambini è devastante, l'assenza delle istituzioni fa il resto. In via Monti non c'è un centro sociale o un qualsiasi luogo di aggregazione. Esiste una chiesa e un oratorio. «Ma il sacerdote - racconta un residente - più volte ha chiesto ai genitori di non mandare quei bambini».


Intanto, dopo la denuncia di Frediano Manzi (presidente della Associazione sos-racket e usura) sul racket degli appartamenti la procura di Milano ieri ha aperto un fascicolo. La questura, su input diretto del questore Vincenzo Indolfi, ha acquisito filmato e intercettazione dell'incontro tra Giovanna Pesco e un uomo dell'associazione di Manzi.


il manifesto (29 agosto 2009)









Le prime pagine dei quotidiani sono rispettivamente del:


30 agosto (1), 28 agosto (2), 29 agosto (3), 30 agosto (4), 29 agosto (5), 26 agosto (6), 27 agosto (7), 28 agosto (8).




 



 


 









































































































































































































































































































































venerdì 28 agosto 2009

Ricominciamo

Un angolo di Napoli alle 12:30 del 22 agosto 2009. Il governo del fare... finta di aver fatto!










La ripresa delle normali attività ha ritmi propri, progressivamente ascendenti, senza esagerare. Torno e ritrovo una montagna di argomenti da trattare che avranno il loro giusto spazio in più fasi. Ricomincio con due firme illustri: Giorgio Bocca e Curzio Maltese.


Il primo è stato ricoperto da una copiosa e intollerabile ondata di insulti per un pezzo, scritto su “L’espresso”, in cui si occupava delle poco commendevoli vicende della Benemerita in Sicilia. Ne parlerò in seguito con doverose appendici. Nella rubrica sul Venerdì tratta del disagio di essere connazionali del papi. Un disagio che condivido in pieno.


Per Curzio Maltese, in “contromano”, l’argomento è la Lega che è stata la vera protagonista, naturalmente in negativo, dell’estate italiana (o padana?).


I ragli e i rutti legaioli ci hanno accompagnato per ogni giorno di agosto che Dio ha mandato in terra. Anche per i “fascisti verdi” c’è un bel faldone da postare.


E poi il razzismo, Napoli… Anticipi della nuova stagione di questo blog. 


 








fatti nostri


di GIORGIO BOCCA


 








Il disagio di dover vivere nell’Italia di Papi



Che cosa sono il disagio del vivere, l’insoddisfazione del vivere contemporanei? Direi una solitudine, mai così disperante prima, nell’età della fatica e della servitù. Capire di essere soli, senza pastori o maestri, senza padri. Tutto ciò che in un passato recente era ancora protettivo, solidale, fraterno, di cui fidarsi, in cui riconoscersi, è diventato un casuale compagno di viaggio.


Un partito oggi cosa è? Chi di noi vive ancora l’appartenenza a un partito politico come una scelta di vita, di avvenire, di solidarietà profonda, di fedeltà indiscutibile e magari di inimicizie totali, come furono l’antifascismo, l’anticomunismo. Che cosa è un giornale oggi di differente da quello di ieri, dell’altro ieri? «L’ha detto il giornale» ci dicevamo ed era come dire: sta nelle sacre scritture, nel decalogo, nelle verità rivelate. Molti il giornale lo portavano nella tasca della giacca come un distintivo: io leggo l’Unità comunista, leggo il Secolo fascista, leggo il Giornale di Montanelli, vi piaccia o meno. Oggi più spesso ci diciamo: l’ho letto da qualche parte, l’ho visto in tv. Ricorre il centocinquantesimo anno dell’Unità d’Italia e una tv ha chiesto ai suoi spettatori se la faccenda li interessi o se sia il caso o no di commemorare, di celebrare.


La maggioranza ha risposto che non gliene frega niente, che l’Unità d’Italia la interessa meno del prezzo della benzina, del contributo per la rottamazione. E la politica, la politica di casa nostra cos’ è? Una faccenda di ladrocini, di astuzie da galoppini elettorali. E quella estera: incomprensibili ferocie di talibani e di marines, se la vedano loro. C’è di mezzo anche la crisi economica, che nessuno sa bene cosa sia e quando finirà ma che è stata l’equivalente di una decimazione. Senza dire che, dal giorno di Nagasaki e di Hiroshima, può esserci nel cielo il ronzio di quella fortezza volante che sgancia la bomba e il pilota del Nebraska o del Wyoming si volta appena a guardare il fungo che sale nel cielo.


E anche queste storie nostrane della figlia di Berlusconi che non apprezza che suo padre vada con escort e minorenni e poi pensa all’eredità e corregge il tiro? Fingiamo di indignarci, ma quelle storie sono alla misura di questo tempo mediocre: raccontarci di come è fatto Papi non è una gran noia? Forse non è così, forse tempi di passioni forti stanno preparandosi nei cieli imperscrutabili della storia, ma oggi questa solitudine nella generale mediocrità ci sta addosso come una foschia che spegne i colori del mondo.


IL VENERDÌ DI REPUBBLICA  


21 AG0ST0 2009


 








contromano


di  CURZIO MALTESE


 








La Lega che scambia Zanzotto per un canto d’osteria



Prima o poi le Iene aspetteranno fuori da Montecitorio qualcuno dei leghisti che ci molestano con gli esami obbligatori di dialetto per interrogarlo sulle poesie del Porta o le commedie del Goldoni. Così, per farsi due risate. Peraltro, poiché vivono e lavorano a Roma, bisognerebbe anche valutare la competenza linguistica locale, invitarli a recitare un sonetto del Belli.


Sempre imbarazzante vedere i deputati lumbard che si distaccano dagli orizzonti angusti delle sagre paesane per avventurarsi nel vasto e periglioso mondo della cultura. La Lega ha poco o nulla da spartire con le grandi tradizioni metropolitane del Nord, per esempio con la Milano che ha prodotto Beccarla e Cattaneo, Manzoni e Gadda, guardando sempre all’Europa, a Parigi e Londra, Barcellona e Mosca. La dimensione leghista è municipale, arroccata nella fascia pedemontana, nutrita di rimasugli di civiltà contadina, tale da produrre al massimo alcune varietà di polenta e il cui sguardo cosmopolita non si spinge oltre Bellinzona.


Si riempiono dunque la bocca di una cultura dialettale che non conoscono, scambiano Zanzotto per i canti da osteria o da curva dell’Atalanta. Anche l’idea che esistano dialetti del Nord, Centro e Sud è una bella fesseria. Scommetto che Elvis Calderoli è in grado di capire il senso di Dicitincello vuie ma non saprebbe tradurre una poesia in friulano di Pasolini. In ogni caso molto meno del marocchino che anni fa vinse a sorpresa il concorso di poesia friulana indetto in nome del grande Pier Paolo e presieduta dalla nipote del poeta e curatrice delle opere, Graziella Chiarcossi.


Se c’è un patrimonio universale in Italia sono proprio i dialetti. La canzone e il teatro napoletani sono un pezzo di autentica identità collettiva. Il più grande interprete di Goldoni è Toni Servillo, nato ad Afragola. Nella scuola di mio figlio l’unico bambino che recita a memoria un sonetto di Trilussa è di origini africane. La questione è che quel che la Lega vuole distruggere non è il Sud e neppure l’Italia unita, ma la grandezza culturale di questo Paese. Massì, mettiamolo l’esame di cultura dialettale, agli stessi leghisti. Facciamo un test a quelli delle ronde e vediamo se, oltre che nell’outlet e nella birreria, si sono per caso imbattuti nella vita in un esempio concreto di quella identità nazionale che sono chiamati a difendere. Per provare anche a loro stessi che non sono soltanto dei poveri pirla (non si offendano, in milanese significa uno che gira a vuoto).


IL VENERDÌ DI REPUBBLICA  


21 AG0ST0 2009