martedì 28 ottobre 2008

Ora di lettere


Riproduco integralmente, dopo l’approvazione dell’autrice, questa “lettera aperta” al ministro Gelmini. Lo faccio perché è una perla di rara bellezza, scritta da una persona intelligente e ricca di sentimenti, emozioni. Un’insegnante ricca dentro con gran beneficio per i suoi allievi. Una testimonianza non solo attuale, ma anche chiarissima di quale patrimonio si cerca di dsintegrare, non per motivazioni didattiche, ma di spesa. Del resto Maria Stella Cadente è la mera esecutrice, il mandante è Tremonti, uno dei quattro moschettieri tracotanti e devastanti di questo governo (si fa per dire, governo). Gli altri due sono Renatino Brunetta e B., tessera P2 n°1816. Ma Floria1405 dev’essere senz’altro una facinorosa, una cattiva maestra, diffonde concetti eversivi e anacronistici in un Paese che ha elevato a valore l’ignoranza e che, dunque, cosa se ne può fare di una scuola, come quella elementare, per esempio, che funziona?

 


12/10/2008


Caro Ministro Gelmini


(continua la tradizione di "Contaminazioni": scriviamo lettere aperte a destinatari che non le leggeranno mai)


 


Caro Ministro Gelmini,


ieri a San Patrignano la sua espressione era tesa. Una ruga solcava la sua fronte, lo sguardo era serio dietro alle lenti. Si è detta dispiaciuta per le manifestazioni: "Ho visto alcuni insulti - ha commentato - addirittura alcuni episodi di violenza che mi hanno molto rammaricato. Rispetto le opinioni diverse ma credo che oggi il Paese abbia bisogno di uno sforzo comune, di una grande responsabilità per migliorare la scuola". Io credo al suo rammarico, sono sincera. L'hanno piazzata, Dio solo sa per quali meriti o competenze, a capo di uno dei Ministeri più spinosi, probabilmente senza avvertirla delle difficoltà del compito che l'attendeva. Come molti, presumo che lei avesse le sue ideuzze benpensanti sulla crisi della scuola italiana. Poi è arrivata l'estate, e sono arrivate le sue molte apparizioni televisive sugli argomenti più disparati. Nessuno la incalzava seriamente. Sui giornali si discettava amabilmente di grembiulini e divise. Del resto parlavano in pochi e a voce bassa. Deve aver pensato che la faccenda, tutto sommato, fosse semplice. 


Dica la verità. Convinta che  la scuola italiana fosse sostanzialmente quella descritta dai video su YouTube e che i docenti fossero una manica di incapaci ormai privi di qualunque forma di dignità, pagliacci in ginocchio davanti al bullismo di ragazzini esagitati, deve aver pensato che rimettere a posto le cose non fosse un compito poi così gravoso. Lei ha visto troppa televisione, davvero. Ho avuto la netta impressione che non si attendesse la reazione autunnale. Può essere che non se l'aspettasse nemmeno l'opposizione, peraltro, come sempre tiepida e incerta. Gli organi di informazione, poi, continuano a far finta di niente. Lei ha l'aria di una che cada dalle nuvole. Una che non si aspettava di essere contestata, perché in fondo credeva di essere considerata simpatica, rassicurante e diligente


Vede, Ministro, la sua ingenuità mi sorprende. Chiede collaborazione. Chiede responsabilità. Chiede di non andare a protestare in piazza. Insinua che chi protesta sia a favore della conservazione e di interessi corporativi. Non è così. La verità è che i docenti sono stanchi del gioco al massacro che è stato perpetrato alle loro spalle senza mai, sottolineo mai, coinvolgerli davvero nella discussione. Anche in questo caso: quale collaborazione ci può essere se il cosiddetto "decreto Gelmini" viene fatto passare di forza a colpi di fiducia? È sicura di aver misurato per intero l'abisso di insoddisfazione, frustrazione, incertezza in cui versa la scuola? Crede davvero che sventolando sulla faccia degli insegnanti l'ipotetica gratificazione di quattro soldi in più se solo si comportano bene, i professori, in particolar modo quelli più preparati e motivati, si lascino menare per il naso? Crede sul serio che il siparietto del 2 ottobre sull'innovazione tecnologica e sulle fantomatiche LIM ci convinca che stiamo andando in direzione di un fulgido destino pedagogico? Crede che non sappiamo in che cosa consista il nostro lavoro, che non conosciamo e non sappiamo interpretare le valutazioni internazionali, che possiamo davvero credere che insegnare in classi di trenta o più alunni significhi innalzare il livello dell'educazione?


Senta, Ministro. Io ho quarantasette anni e insegno da quando ne avevo ventidue. Sono entrata di ruolo quando avevo venticinque anni e per concorso (mi scusi la punzecchiatura: non sono andata a cercarmi la sede più facile per passare l'esame). I miei primi alunni hanno quasi la mia età. Figlia di una maestra elementare, ho respirato aria di scuola da quando sono nata. Durante gli anni, ho sempre studiato, letto, mi sono sforzata di aggiornarmi, per lo più a mie spese. Ma non voglio fare di me stessa un ritratto agiografico: non sono "santa Prof". Sono una che ha sempre considerato il suo mestiere un privilegio e non per le lunghe vacanze estive o perché si lavora poco: è che insegnare mi piace, mi piace proprio, mi tiene sveglia, è una sfida continua alla mia capacità di cambiare, innovarmi, esplorare insieme ai miei ragazzi strade impensate, le strade della cultura e del pensiero. Di sbagli ne ho fatti tanti, è ovvio, e qualche volta ho saputo riparare, spesso non ne sono stata capace. Lei pensa che la prospettiva di qualche euro in più possa farmi effetto? O possa fare effetto a tutti coloro (e sono tanti) che comunque hanno sempre compiuto il loro dovere nei limiti delle loro attitudini e capacità? O sia capace di trasformare un incompetente fannullone (perché sì, esistono, e chi lo nega?) in un mago della didattica?


Lasci che sia io, Ministro, a darle un consiglio. Studi, si informi, si aggiorni. Lasci perdere i grembiulini e le trasmissioni televisive dove la gratificano con un mazzo di fiori e la canzoncina di Vasco Rossi, com'è successo domenica scorsa. Venga a parlare con gli insegnanti e gli studenti, quelli veri, non quelli addomesticati dal conformismo e dai luoghi comuni. Affronti la piazza, anche se non le è amica. Ascolti le nostre ragioni. Si svincoli dalla pericolosa tutela di Tremonti e Brunetta. Dimostri la sua buona fede e il suo carattere, se li ha davvero. Accetti il confronto e sia disposta a difendere davvero la scuola nei fatti e non a parole (quelle nobili parole che ha speso nel discorso di inaugurazione dell'anno scolastico).


Perché noi di belle parole non ne possiamo più. E non le faremo sconti”. 


Dal blog: www.contaminazioni.splinder.com



Mi piace quest’Onda montante che sta crescendo e si dirige verso il Palazzo per giornate, le prossime, che saranno decisive. Ma anche pericolose. A futura memoria ecco le sovversive dichiarazioni rilasciate da Francesco Cossiga, a QN Quotidiano Nazionale "GIORNO/RESTO/NAZIONE" di giovedì 23 ottobre 2008


INTERVISTA A COSSIGA «Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei»


di ANDREA CANGINI


ROMA - PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d’essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia».


Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».


Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».


Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».


Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».


Nel senso che...


«Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».


Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».


Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».


E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.


«Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».


Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale». E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».


Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.


«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».


Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente...


«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all`inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro.


La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».




































































































































sabato 25 ottobre 2008

La pubblica distruzione

Vauro su "il manifesto" del 23 ottobre 2008








Riprendo da MicroMega e pubblico integralmente. Un po’ lungo, ma da leggere, diffondere e conservare. Con le smentite a raffica che vanno così di moda, l’incontrovertibilità dei numeri ha una precisa utilità. Anche a futura memoria. Sono scesi ad un livello infimo, altro che sondaggi imbarazzanti!.


Le bugie del ministro Gelmini


Un attacco feroce che non ha precedenti nella storia della Repubblica, sta per cambiare le sorti dei nostri ragazzi, e tutto ciò fra l'indifferenza e l'arroganza di un ministro che all' opinione pubblica racconta le "sue" verità, basate su un’ interpretazione distorta e non veritiera di dati statistici.

Alle famiglie viene detto che i ragazzi trascorrono troppo tempo sui banchi di scuola, che ci sono troppi insegnanti e troppi bidelli a fronte di risultati modesti, che la scuola non può essere considerata uno stipendificio e un ammortizzatore sociale, deridendo una categoria, quella dei docenti, che opera con impegno e spirito di abnegazione al servizio dello stato e della società. Il tutto attraverso una campagna mediatica condotta ad hoc, volta a far credere ai cittadini che i problemi della scuola si risolvono con voti in pagella e grembiulini, tacendo invece su quello che è l’unica, vera volontà del governo: fare cassa a discapito della qualità dell'insegnamento offerto agli alunni senza tenere conto delle esigenze delle famiglie. Infatti…


Non è vero come afferma il ministro che i dipendenti del MIUR siano 1.300.000, ma 1.125.975 (Dati MPI – la scuola in cifre).


Non è vero che il 97% del bilancio del MIUR viene speso in stipendi, ma il dato reale è il 78,8% (dati OCSE – studio Education at a glance), in linea con gli altri paesi. E’ vero invece che il MIUR si limita SOLO a pagare gli stipendi, investendo appena il 2,8% del P.I.L., rispetto al 3,80 % di media dei paesi europei. (dati OCSE – Education at a glance).


Non è vero che la spesa per la scuola è continuamente cresciuta negli ultimi anni, infatti la quota di spesa complessiva è scesa dal 12,6 del '90 al 10,6 del 2005 (dati ISTAT). Ciò è dovuto ai continui tagli operati dai vari governi in questo settore. E ancora: se tra il 1995 e il 2005 gli investimenti nella scuola dei paesi europei sono aumentati del 41%, in Italia l’incremento è rimasto contenuto al 12%. (dati OCSE – education at a glance).

Non è vero che i docenti aumentano mentre gli alunni diminuiscono. Dall'anno scolastico 2001/02 fino all'anno scolastico 2007/08 gli alunni sono costantemente cresciuti mentre i docenti sono calati del 4,5% (dati MPI – la scuola in cifre).


Non è vero che è opportuno che il bambino abbia un solo punto di riferimento nella scuola primaria. Infatti, associazioni pedagogiche di spicco come il SIPED, SIRD, CIRSE, e SIREF sono nettamente contrarie al ritorno di questa figura, connotandola in modo negativo e anacronistico.


Non è vero che i risultati della scuola italiana siano pessimi: gli allievi delle scuole secondarie di secondo grado di Veneto, Lombardia e Piemonte hanno raggiunto nei test risultati molto vicini a quelli degli allievi della Finlandia, additata dal ministro come esempio per il paese. Inoltre, le famiglie italiane hanno mostrato un gradimento nei confronti della scuola pubblica dell’ 80% (dati OCSE – education at a glance), superiore alla media europea (78%)


Non è vero che i docenti del sud sono meno preparati dei colleghi che operano al nord e necessitano di apposito aggiornamento, poiché nelle strutture scolastiche del nord operano e ottengono brillanti risultati moltissimi docenti provenienti dal sud, il cui “ritardo” è pertanto da individuare in fattori sociali, economici e strutturali che il ministro dovrebbe conoscere e contribuire ad eliminare.


Ecco invece quello che, sulla base delle disposizioni ministeriali e degli effetti della legge 112/08 e dell’approvando DL 137/08, il ministro dovrebbe dire alle famiglie:

1. Molti docenti di ruolo saranno individuati come soprannumerari e saranno pertanto costretti a cambiare sede, il che significa che la continuità didattica non sarà garantita e che i ragazzi potrebbero dover cambiare insegnante anno dopo anno.


2. Le scuole aventi un numero di allievi inferiore a 100, ubicate nei piccoli centri, saranno chiuse, il che comporterà un enorme disagio per gli alunni (costretti ad intraprendere ben presto una vita da pendolari), per le famiglie e per i Comuni, a carico dei quali verrebbero a gravare le spese per i servizi legati al trasporto degli alunni pendolari.

3. L'orario di insegnamento nella scuola primaria sarà ridotto a 24 ore settimanali, insufficienti a garantire il rispetto dei tempi di apprendimento propri di ciascun alunno.

Non ci saranno più né pluralità dei docenti né compresenze, il che significa che non sussisteranno le condizioni per permettere attività di recupero per alunni con difficoltà di apprendimento, gite d'istruzione, visite guidate e una didattica aperta al territorio.

5. Il tempo pieno non sarà garantito a tutti, perchè solo le scuole del nord sono dotate delle infrastrutture necessarie, il che porterà ad accentuare il divario culturale fra il nord ed il sud del paese, penalizzando fortemente quest'ultimo, dove il tasso di abbandono scolastico risulta essere più alto.


6. Gli unici insegnanti specialisti saranno i docenti di religione, visto che gli insegnanti specialistici di lingua inglese nella scuola primaria saranno riassorbiti su posto comune (articolo 1 comma 128, legge 311/2004) e tutti gli altri saranno obbligati ad abilitarsi all'insegnamento dell'inglese attraverso corsi di 150-200 ore, il che sfacciatamente contraddice quanto sbandierato dallo stesso governo Berlusconi nelle sua precedente legislatura, ovvero l'importanza delle tre "I", tra cui appunto l'insegnamento dell'inglese.


7.A causa dei tagli operati con la legge 112/08, molti alunni non avranno più l’insegnante di sostegno, finora risorsa per la classe intera oltre che strumento formidabile di integrazione sociale e garante del diritto allo studio per gli alunni diversamente abili i quali, in tal modo, verranno ghettizzati, con conseguenze disastrose sul piano sociale e didattico.

8. La riduzione del numero di indirizzi nella scuola secondaria di 2° grado non terrà conto del fatto che gli Istituti professionali sono ben diversi dagli Istituti tecnici, hanno finalità diverse e non sono doppioni. Inoltre, l’accorpamento delle classi di concorso sarebbe molto deleteria soprattutto per chi insegna materie tecniche e professionalizzanti e per gli allievi che si troveranno insegnanti che dovranno necessariamente ricominciare a studiare per materie che non hanno mai insegnato;


9. La contrazione dell'orario scolastico, così come prevista dal piano programmatico presentato dal ministro, andrà à discapito delle materie tecniche, ossia proprio quelle che formano l'allievo nell'indirizzo prescelto;


10. la riduzione del 30% degli insegnanti di laboratorio impoverirà l’offerta formativa degli istituti professionali, oltre a rendere meno sicure le esercitazioni nei laboratori.

Inoltre il ministro sostiene che parte dei soldi risparmiati servirà a rendere più sicure le scuole, ma anche stavolta si tratta di un'affermazione priva di fondamento visto che l'edilizia scolastica compete ai comuni (legge 11 gennaio 1996, n. 23, articolo 9 comma 1), così come non corrisponde a verità il fatto che i docenti di ruolo vedranno aumentato il loro stipendio: secondo il ministro, infatti, solo i più "meritevoli" e solo a partire dal 2012 saranno premiati con 50 miseri euro a testa: un’elemosina in cambio della richiesta ai docenti di svendere la scuola pubblica !


Forum Precariscuola


(1 ottobre 2008)

giovedì 23 ottobre 2008

Licenza di mentire



Roma | 23 ottobre 2008

Gelmini: "Da domani si dialoga". Berlusconi: "Mai pensato alla polizia"

"Non ho mai detto nè pensato che servisse mandare la polizia nelle scuole. I titoli dei giornali che ho potuto scorrere sono lontani dalla realtà". Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, da Pechino torna sulle polemiche suscitate dalle sue parole di ieri. (…)

http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsid=87456

The Cure

Dal blog: Diario di viaggio.







Trottolini amorosi





Questo post di Sante, che riporto integralmente, foto compresa, è una tappa tra le più esilaranti del suo Diario di viaggio. Un’altra persona interessante, un altro blog – peraltro già inseriti tra i preferiti – da consultare. A seguire una clip che trovo irresistibile.

Tutto a favore dell’okkupazione e della libertà, quella vera e non quella barattata come tale dalla cricca dell’ometto P2, tessera n°1816.






Affari di Stato


 


silvio. "Lo sai che da quando sei Ministra sei bellissima Mariastella?"



ms. "Silvio come sei galante... . Devo dire che sei stato davvero gentile... Ma bastava un attico in San Babila o a Prati ... Un ministero mi pare perfin troppo..."



silvio. "Per te nulla è troppo. MI hai restituito la perduta giovinezza. Non devo più usare due pastiglie di Viagra. Una basta e mi avanza. Tal risultato è impagabile mia cara. Sei un portento di donna".



ms. "Divento rossa se dici così Silvio ... . per così poco poi.. ho solo seguito l'istitnto. Ma ora che sono Ministra cosa pensi che dovrei fare? Ho eseguito alla lettera gli ordini che mi ha dato il tuo amico Tremonti, ma mi sembra che siano tutti arrabbiati con me... E ciò mi preoccupa assai... "



silvio. "Non ti curar di loro luce dei miei occhi, ci penserà Maroni a riportare ordine e disciplina. Piuttosto... questa sera sono libero. Ti mando l'autista verso le nove. Ceniamo da me. Poi ... giochiamo un po' alla supplente e al ragazzino ripetente?"



ms.
"Ma Silvio! ... sei incorreggibile... ma posso dirti di no? Ehm.. Vuoi che ti sculacci forte come l'ultima volta?".



sivio.
"Certo che sì signorina maestra, anche oggi non ho fatto i compiti... dovrai punirmi...".

























mercoledì 22 ottobre 2008

Lo circonda l'amore




È un’onda che si è sollevata impetuosa e sta travolgendo tutto e (quasi) tutti. Si tratta della reazione immediata ed emotiva seguita all’appello di sei premi Nobel a favore di Roberto Saviano. Un appello che pubblico anche qui, coerentemente con la firma apposta circa 60 mila firme fa. In soli due giorni ce ne sono state oltre 140 mila. L’impatto è semplicemente strepitoso. E domani si ricomincia.


Dopo l’appello ci sono due video: nel primo un’intervista a Roberto Saviano, mentre il secondo rappresenta uno dei motivi di vergogna di questo Paese. Il personaggio che vi appare, seppure per meno di due minuti, non è voce isolata purtroppo, ma il disgusto è totale nei suoi confronti e in coloro che approvano.


È questa una stortura della democrazia. Perché Saviano deve essere costretto ad andarsene, mentre emiliovespa-brunofede continua a restare abusivamente, tra l’altro, su Rete4?




L'appello dei premi Nobel "Lottiamo per Saviano"


 


Roberto Saviano è minacciato di morte dalla camorra, per aver denunciato le sue azioni criminali in un libro - Gomorra - tradotto e letto in tutto il mondo.


 


È minacciata la sua libertà, la sua autonomia di scrittore, la possibilità di incontrare la sua famiglia, di avere una vita sociale, di prendere parte alla vita pubblica, di muoversi nel suo Paese.


 


Un giovane scrittore, colpevole di aver indagato il crimine organizzato svelando le sue tecniche e la sua struttura, è costretto a una vita clandestina, nascosta, mentre i capi della camorra dal carcere continuano a inviare messaggi di morte, intimandogli di non scrivere sul suo giornale, Repubblica, e di tacere.


 


Lo Stato deve fare ogni sforzo per proteggerlo e per sconfiggere la camorra. Ma il caso Saviano non è soltanto un problema di polizia. È un problema di democrazia. La libertà nella sicurezza di Saviano riguarda noi tutti, come cittadini.


 


Con questa firma vogliamo farcene carico, impegnando noi stessi mentre chiamiamo lo Stato alla sua responsabilità, perché è intollerabile che tutto questo possa accadere in Europa e nel 2008.



DARIO FO


MIKHAIL GORBACIOV


GUNTHER GRASS


RITA LEVI MONTALCINI


ORHAN PAMUK


DESMOND TUTU


 


la Repubblica (20 ottobre 2008)


 







lunedì 20 ottobre 2008

Notizie incenerite

Un video per salutare la domenica e introdursi nella nuova settimana. Una di quelle notizie che non si devono conoscere troppo, ma la Rete ha maglie larghe, anche se non è piacevole apprendere ciò che il filmato racconta.








venerdì 17 ottobre 2008

La patacca liberista








Il pezzo di Curzio Maltese, apparso oggi sul magazine de “la Repubblica”, va solo letto, assimilato e diffuso. Perfetto anche nella sintesi che gli spazi più ridotti di una rubrica impongono. In altre parole: da incorniciare. Senza null’altro aggiungere.


 



contromano


DI CURZIO MALTESE


Scende l’economia, salgono le facce di bronzo


Nelle crisi economiche la retorica è sempre l’unica merce in abbondanza, ma stavolta la faccia di bronzo dei potenti ha stracciato tutti i primati. Nell’ultimo mese da presidente, George W. Bush è passato da liberista a socialista e ha rinnegato la politica, i dogmi e le amicizie di otto anni. Per completare la conversione manca che diventi pacifista. Benedetto XVI ha lanciato l’alto messaggio che «il denaro è nulla». Che cos’è, un’autocritica? L’unica religione che dispone direttamente di un immenso patrimonio immobiliare e finanziario, di uno Stato con diritto di battere moneta, di una banca (lo Ior) fra le più spregiudicate del mondo, spiega ai fedeli che il denaro è un falso valore.


Se commisurare la predica al pulpito non è un problema per il Papa, figurarsi per Berlusconi. Il premier del governo fondato sul conflitto d’interessi si traveste da Savonarola e annuncia che vigilerà sull’etica del capitalismo. E in che modo? Forse cancellando anche il reato di bancarotta, oltre al falso in bilancio?


Nel pomeriggio la maggioranza inserisce nel decreto Alitalia una norma per salvare dalle condanne Tanzi e Geronzi. Pizzicata da Report e Repubblica, la ritira. Non senza altre sceneggiate, Berlusconi che finge di non saperne nulla, Tremonti che minaccia le dimissioni. Ma come, sono i padroni della maggioranza e si fanno trattare da fessi? Tutti giurano ora di volerla fare finita con le bolle finanziarie, con l’economia di carta: si torna all’economia reale. Ma se torniamo all’economia reale, sparisce un quarto del benessere dell’Occidente, del consumismo fondato sui debiti.


Nell’economia reale gli Usa valgono ormai meno di Cina, Germania e Giappone, meno dell’India, l’Italia meno di Brasile e Corea. Bisogna rassegnarsi a diventare più sobri. Ma è una verità con cui non si vincono le elezioni. Meglio festeggiare in villa e mandare messaggi di ottimismo. La retorica serve a mascherare gli interessi reali, come nella questione degli immigrati. L’Italia sopravvive grazie al lavoro degli stranieri. Rimpatriare gli irregolari, limitare gli ingressi dei regolari significherebbe mandare a gambe all’aria un quinto del sistema produttivo. Infatti tutte le leggi sull’immigrazione sono studiate per non essere applicabili. Ma la brava gente, la sera, vuoi sentirsi raccontare dai telegiornali la fiaba crudele della tolleranza zero. E quelli gliela raccontano.


Il Venerdì di Repubblica (17 ottobre 2008)


mercoledì 15 ottobre 2008

Nessuno tocchi Saviano







Svegliarsi una mattina (ieri) e apprendere la notizia che sconcerta e amareggia. Vogliono uccidere Roberto Saviano. Lo vogliono morto entro Natale. Il dettaglio si infila come lama acuminata nella giornata che sta iniziando, perché che la camorra lo voglia sottoterra non sorprende, rientra nell’ordine anomalo delle vicende italiche. In seguito le precisazioni: non solo lo vogliono eliminare, ma dovrà essere un attentato spettacolare. E quella lama si conficca anche nell’animo. Mi accorgo di stringere gli occhi ascoltando la notizia, vedo scorrere le immagini di questo ragazzo che non si capisce perché sia destinato a diventare un eroe di questi tempi maledetti. Come un morto che cammina, così come si sentiva Paolo Borsellino dopo l’uccisione di Falcone. E come a Capaci i Casalesi vogliono intervenire. Ascolto e credo di capire che si sta acquistando esplosivo per piazzarlo sulla Napoli-Roma: una strage entro il 25 dicembre. Trattengo le lacrime. Lo faccio con fatica, perché salgono salgono e io non sono più abituato a piangere. Non voglio piangere per Roberto Saviano: che nessuno lo tocchi!


Poi oggi la terza amarezza e il dolore. Si racconta a “la Repubblica”, nell’articolo che riporto (nella versione on line hanno storpiato il cognome nella didascalia sotto la foto). Si stringe il cuore leggendo il suo sfogo, comprensibilissimo.


Vorrei chiedergli di non mollare, di non abbandonare, ma convengo che ha ragione. Questo Paese, per come si sta involvendo non merita che un ragazzo, neppure 30enne, debba essere prigioniero della verità delle sue parole. Non lo merita la classe dirigente di questo Paese da cui vorrei cancellarmi pure io, assai modestamente rispetto a Roberto Saviano, perché lo farei solo per l’insopportabilità della situazione, per il regresso culturale (classi separate per i bambini stranieri), per l’imbarbarimento etico, per l’arroganza, il nulla continuamente esibito, la stupidità (l’ometto B.,tessera P2 n° 1816, che si pavoneggia tra i sondaggi che ne accrescono la popolarità), la grettezza, il razzismo dilagante (perfino con i disegni che rappresentano bimbi neri se la prendono, spruzzandoci il bianco sopra).


È giusto, dunque, che Roberto Saviano possa riprendersi la sua vita e l’unico modo che ha, scavalcando l’ipocrita e pelosa solidarietà che gli arriva proprio da coloro che dovrebbero espellere quel cancro che è la camorra (e la mafia e la ‘ndrangheta), è quello di allontanarsi da un Paese che gli ha voltato le spalle, ormai popolato da tanti emiliovespa e brunofede, tanti servi che emettono latrati e hanno la lingua perennemente secca per leccare e lustrare. Sì, mi fa schifo l’Italia di oggi e, da italiano, vorrei dimettermi. Solo che non posso.


E adesso spazio a Roberto Saviano, mentre mi coccolo il suo libro e ricaccio una lacrima che si sta affacciando, cazzo.


 


 


La denuncia di Saviano: circondato dall'odio per le mie parole


Vado via perché voglio scrivere ed ho bisogno di stare nella realtà


"Io, prigioniero di Gomorra lascio l'Italia per riavere una vita"


di GIUSEPPE D'AVANZO


 


«ANDRO' via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...», dice Roberto Saviano. «Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. 'Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me».


La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d'animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un'imprevedibile popolarità, dall'odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall'invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo.


«Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all'anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, "usarmi". È come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell'attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell'energia sociale che - come un'esplosione, come un sisma - ha imposto all'agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. È la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me. Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.... I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E' una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?».


Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna. Capita anche in queste ore, qui e lì. È poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l'autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l'esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile.


E' poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l'ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l'inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.


«Lo sento addosso come un cattivo odore l'odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l'onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell'infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell'esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell'infame ha scritto il libro. E quest'argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l'intera comunità può liberarsi della malattia che l'affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell'inciviltà e dell'impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. È il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l'informazione. Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro - potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L'ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo - lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest'ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: "Robe', tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là"».


A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia italiana.


La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in un'area d'indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.


la Repubblica (15 ottobre 2008)










Vignetta di Mauro Biani tratta dal sito: http://maurobiani.splinder.com/

lunedì 13 ottobre 2008

Il grande crac



RASSEGNA STAMPA. Lunedì 6 ottobre 2008. la Repubblica “Banche, Germania in trincea”. l’Unità “Unicredit vara piano da 6,6 miliardi”.


Martedì 7. la Repubblica “Borse, il giorno della paura” L’Europa brucia 450 miliardi, Milano perde l’8%. La Ue si spacca.


l’Unità “Borse, peggio dell’11 settembre.


Mercoledì 8. la Repubblica “No della Ue al fondo anticrisi” Fmi: un crac da 1400 miliardi di dollari. Bush: G8 straordinario.


l’Unità “Crac planetario. $ 1.400.000.000.000”


Giovedì 9. la Repubblica “Un fondo per salvare le banche italiane” B.: nessuna fallirà. Bce e Fed tagliano i tassi, ma le Borse crollano ancora.


il manifesto “La banca o la vita”


l’Unità “B.: alle banche ci penso io”


Venerdì 10. la Repubblica “Ancora paura, crolla Wall Street”.


il manifesto “Imbroglio creativo”


Sabato 11. la Repubblica “L’Europa brucia 450 miliardi” B. «Le Borse potrebbero chiudere, ma la Casa Bianca smentisce».


l’Unità “B. gioca col crollo delle borse”


Domenica 12. la Repubblica “Banche, scatta il piano Ue”. Saranno garantiti tutti i prestiti. Tremonti: «Il G8 va allargato».


Dove sono finiti i cantori del libero mercato? I profeti della globalizzazione? I paladini dell’economia creativa? Gli oppositori della presenza, opprimente, dello Stato? E coloro che saltavano sui resti del Muro di Berlino, preconizzando un Nuovo Mondo vocato al Capitalismo, generante benessere, ricchi premi e cotillons?


Dove si sono imbucati? In quale tana hanno trovato rifugio? Forse travolti essi stessi da un altro Muro crollato, quello di Wall Street? E, se così fosse, che ci restino allora.


Esiste, io credo, un altro mondo possibile, ma non era certo quello che costoro, tanti farabutti in doppiopetto, volevano imporci. Accusandoci di passatismo e anacronismo. Di essere legati a schemi vecchi e superati, celebrando funerali senza soluzione di continuità, liquidando in un sol colpo l’economia reale, quella fatta da: occupazione, produzione, investimenti e consumi. Privilegiando e incentivando solo gli ultimi, demolendo l’occupazione, facendo terra bruciata e impoverendo sempre di più le persone, quelle ordinarie, normali che i soldi (pochi e maledetti e, spesso, neppure subito) li maneggiano, senza inventarsi un’economia virtuale dove si vende ciò che non si ha e, forse non esiste. Aveva iniziato Mickey Rourke in “9 settimane e ½”, spalancando le porte ad un’epoca, esaltando il lusso di un presunto modello di sviluppo. Acquistava e vendeva soldi.


Pretendere di creare un mondo, escludendo dal centro di esso l’uomo, primo propulsore dello stesso, si è alfine rivelato fatale e drammaticamente nefasto, perché le conseguenze di questa tracimazione di arroganza e superbia, che ha portato categorie sociali ad arricchirsi indecorosamente a danni di altre, maggiormente sfruttate e impoverite, ricadranno sugli stessi che sono stati depredati negli ultimi decenni. Il crollo reale della vera borsa.


Per tale motivo, produce un curioso effetto, quasi di straniamento, leggere il reportage dall’Islanda, inquadrata come “paese perfetto” e adesso paradigma, uno tra i più efficaci, dell’inarrestabile crisi mondiale in pieno svolgimento. Lo aveva pubblicato, a fine giugno, il quotidiano “la Repubblica” nell’inserto domenicale. Ma non solo di questo mi sono ricordato, sotto la pressione delle armi di distruzione economiche.


Quarant’anni fa venne assassinato un giovane e promettente candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Il suo nome era Robert Kennedy e racchiudeva, come Barack Obama oggi, il sogno delle nuove generazioni, non solo di quel Paese. Il 18 marzo 1968, tre mesi prima d’essere assassinato, Bob Kennedy pronunciò un famoso discorso, denunciando al mondo i limiti del PIL, quel PIL che è diventato l’ossessione dei nuovi padroni della terra, parametro di ogni misurazione e valutazione.


Ho trovato due video, il secondo con il sonoro originale e, di seguito, il testo di quel discorso. Sembra scritto ieri. Il suo autore avrebbe aperto nuove frontiere. Lui e l’amico Martin Luther King avevano sogni identici. Entrambi furono uccisi.


 





http://www.youtube.com/watch?v=iLw-WLlM9aw



«Ma anche se agiamo per eliminare la povertà materiale, c’è un altro più grande compito, cioè affrontare la miseria dell’appagamento – scopo e dignità – che ci affligge tutti. Troppo, e troppo a lungo, è sembrato che l’eccellenza personale e i valori comunitari si fossero arresi alla mera accumulazione di beni materiali. Il nostro Prodotto Interno Lordo è oggi oltre gli 8 miliardi di dollari annui Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani. Se tutto questo è vero qui a casa nostra, allora è vero in tutto il mondo. Dall’inizio dei nostri più orgogliosi vanti c’è la promessa di Jefferson, che noi, qui in questo paese, saremmo stati la migliore speranza dell’umanità. E adesso, se guardiamo alla guerra in Vietnam, ci meravigliamo se ancora rispettiamo sufficientemente le opinioni dell’umanità, e se gli altri mantengono un sufficiente rispetto per noi .Oppure se, come l’antica Atene, perderemo la simpatia, e l’aiuto, e infine la nostra stessa sicurezza, a causa dell’egoistico perseguire i nostri esclusivi bersagli e i nostri esclusivi obiettivi».