mercoledì 31 ottobre 2007

Chiuso per ponte









 


    Ponte-blog: riaprirò lunedì 5 novembre.



Lacrime e sangue


007-10-27 13:44 Forleo ritira il 'Premio Borsellino' e piange. Il giudice, combattere contro denigrazione magistrati (ANSA) - PESCARA, 27 OTT - Il giudice Clementina Forleo ha ricevuto, tra le lacrime, il 'Premio Borsellino per l'impegno sociale e civile'.E ha spiegato la crisi di pianto dicendo di essere 'scossa per i tentativi di delegittimazione ricevuti oggi da un giornale nazionale che ancora tenta di delegittimarmi dando di me l'immagine di un fiume in piena, di una pazza'. Forleo ha concluso: 'In questo momento c'e' bisogno di combattere contro bassi tentativi di denigrazione del magistrato'.


Mala tempora currunt per la giustizia. Le lacrime di Clementina Forleo mi hanno colpito, cosi come la sua l’orgogliosa determinazione e il suo coraggio. Gli scenari che si stanno delineando non preludono a nulla di buono. I “poteri forti” denunciati all’unisono da De Magistris, Forleo e Ingroia, nell’ultima puntata di “Annozero”, sono ancora una volta all’opera. Un drammatico film già visto.


Casualmente e aggiungerei anche, provvidenzialmente, ho ritrovato lo straordinario discorso tenuto da Paolo Borsellino durante una manifestazione promossa un mese dopo (se non ricordo male) l’uccisione di Giovanni Falcone, di sua moglie e della scorta. L’orazione del giudice Borsellino, oltre che di elevato spessore morale, procura una forte commozione: si stava avvicinando il 19 luglio 1992, quando un’auto-bomba, collocata in Via D’Amelio, lo avrebbe annientato assieme agli agenti di scorta.


“Io sono venuto questa sera soprattutto per ascoltare. Purtroppo ragioni di lavoro mi hanno costretto ad arrivare in ritardo e forse mi costringeranno ad allontanarmi prima che questa riunione finisca. Sono venuto soprattutto per ascoltare perché ritengo che mai come in questo momento sia necessario che io ricordi a me stesso e ricordi a voi che sono un magistrato. E poiché sono un magistrato devo essere anche cosciente che il mio primo dovere non è quello di utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze partecipando a convegni e dibattiti ma quello di utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze nel mio lavoro. In questo momento inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto, non voglio dire più di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che purtroppo vedo fare in questi giorni per ristabilire chi era più amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto comunque più o meno di altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all'autorità giudiziaria, che è l'unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell'evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell'immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita. Quindi io questa sera debbo astenermi rigidamente - e mi dispiace, se deluderò qualcuno di voi - dal riferire circostanze che probabilmente molti di voi si aspettano che io riferisca, a cominciare da quelle che in questi giorni sono arrivate sui giornali e che riguardano i cosiddetti diari di Giovanni Falcone.Per prima cosa ne parlerò all'autorità giudiziaria, poi - se è il caso - ne parlerò in pubblico. Posso dire soltanto, e qui mi fermo affrontando l'argomento, e per evitare che si possano anche su questo punto innestare speculazioni fuorvianti, che questi appunti che sono stati pubblicati dalla stampa, sul "Sole 24 Ore" dalla giornalista - in questo momento non mi ricordo come si chiama... - Milella, li avevo letti in vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone, perché non vorrei che su questo un giorno potessero essere avanzati dei dubbi. Ho letto giorni fa, ho ascoltato alla televisione - in questo momento i miei ricordi non sono precisi - un'affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione di Caponnetto. Con questo non intendo dire che so il perché dell'evento criminoso avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento che possa aiutare a ricostruirlo, e come ho detto ne riferirò all'autorità giudiziaria; non voglio dire che cominciò a morire nel gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale epilogo di questo processo di morte.Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest'uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l'anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell'articolo di Leonardo Sciascia sul "Corriere della Sera" che bollava me come un professionista dell'antimafia, l'amico Orlando come professionista della politica, dell'antimafia nella politica. Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. C'eravamo tutti resi conto che c'era questo pericolo e a lungo sperammo che Antonino Caponnetto potesse restare ancora a passare gli ultimi due anni della sua vita professionale a Palermo. Ma quest'uomo, Caponnetto, il quale rischiava, perché anziano, perché conduceva una vita sicuramente non sopportabile da nessuno già da anni, il quale rischiava di morire a Palermo, temevamo che non avrebbe superato lo stress fisico cui da anni si sottoponeva. E a un certo punto fummo noi stessi, Falcone in testa, pure estremamente convinti del pericolo che si correva così convincendolo, lo convincemmo riottoso, molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Si aprì la corsa alla successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli. Giovanni Falcone, dimostrando l'altissimo senso delle istituzioni che egli aveva e la sua volontà di continuare comunque a fare il lavoro che aveva inventato e nel quale ci aveva tutti trascinato, cominciò a lavorare con Antonino Meli nella convinzione che, nonostante lo schiaffo datogli dal Consiglio superiore della magistratura, egli avrebbe potuto continuare il suo lavoro. E continuò a crederlo nonostante io, che ormai mi trovavo in un osservatorio abbastanza privilegiato, perché ero stato trasferito a Marsala e quindi guardavo abbastanza dall'esterno questa situazione, mi fossi reso conto subito che nel volgere di pochi mesi Giovanni Falcone sarebbe stato distrutto. E ciò che più mi addolorava era il fatto che Giovanni Falcone sarebbe allora morto professionalmente nel silenzio e senza che nessuno se ne accorgesse. Questa fu la ragione per cui io, nel corso della presentazione del libro La mafia d'Agrigento, denunciai quello che stava accadendo a Palermo con un intervento che venne subito commentato da Leoluca Orlando, allora presente, dicendo che quella sera l'aria ci stava pesando addosso per quello che era stato detto. Leoluca Orlando ha ricordato cosa avvenne subito dopo: per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio. L'opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell'agosto 1988, l'opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant'è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. La protervia del consigliere istruttore, l'intervento nefasto della Cassazione cominciato allora e continuato fino a ieri (perché, nonostante quello che è successo in Sicilia, la Corte di cassazione continua sostanzialmente ad affermare che la mafia non esiste) continuarono a fare morire Giovanni Falcone. E Giovanni Falcone, uomo che sentì sempre di essere uomo delle istituzioni, con un profondissimo senso dello Stato, nonostante questo, continuò incessantemente a lavorare. Approdò alla procura della Repubblica di Palermo dove, a un certo punto ritenne, e le motivazioni le riservo a quella parte di espressione delle mie convinzioni che deve in questo momento essere indirizzata verso altri ascoltatori, ritenne a un certo momento di non poter più continuare ad operare al meglio. Giovanni Falcone è andato al ministero di Grazia e Giustizia, e questo lo posso dire sì prima di essere ascoltato dal giudice, non perché aspirasse a trovarsi a Roma in un posto privilegiato, non perché si era innamorato dei socialisti, non perché si era innamorato di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto della sua vita ritenne, da uomo delle istituzioni, di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante e nelle sue convinzioni decisivo, con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa. Dopo aver appreso dalla radio della sua nomina a Roma (in quei tempi ci vedevamo un po' più raramente perché io ero molto impegnato professionalmente a Marsala e venivo raramente a Palermo), una volta Giovanni Falcone alla presenza del collega Leonardo Guarnotta e di Ayala tirò fuori, non so come si chiama, l'ordinamento interno del ministero di Grazia e Giustizia, e scorrendo i singoli punti di non so quale articolo di questo ordinamento cominciò fin da allora, fin dal primo giorno, cominciò ad illustrare quel che lì egli poteva fare e che riteneva di poter fare per la lotta alla criminalità mafiosa. Certo anch'io talvolta ho assistito con un certo disagio a quella che è la vita, o alcune manifestazioni della vita e dell'attività di un magistrato improvvisamente sbalzato in una struttura gerarchica diversa da quelle che sono le strutture, anch'esse gerarchiche ma in altro senso, previste dall'ordinamento giudiziario. Si trattava di un lavoro nuovo, di una situazione nuova, di vicinanze nuove, ma Giovanni Falcone è andato lì solo per questo. Con la mente a Palermo, perché sin dal primo momento mi illustrò quello che riteneva di poter e di voler fare lui per Palermo. E in fin dei conti, se vogliamo fare un bilancio di questa sua permanenza al ministero di Grazia e Giustizia, il bilancio anche se contestato, anche se criticato, è un bilancio che riguarda soprattutto la creazione di strutture che, a torto o a ragione, lui pensava che potessero funzionare specialmente con riferimento alla lotta alla criminalità organizzata e al lavoro che aveva fatto a Palermo. Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle esperienze del pool antimafia che erano nate artigianalmente senza che la legge le prevedesse e senza che la legge, anche nei momenti di maggiore successo, le sostenesse. Questo, a torto o a ragione, ma comunque sicuramente nei suoi intenti, era la superprocura, sulla quale anch'io ho espresso nell'immediatezza delle perplessità, firmando la lettera sostanzialmente critica sulla superprocura predisposta dal collega Marcello Maddalena, ma mai neanche un istante ho dubitato che questo strumento sulla cui creazione Giovanni Falcone aveva lavorato servisse nei suoi intenti, nelle sue idee, a torto o a ragione, per ritornare, soprattutto, per consentirgli di ritornare a fare il magistrato, come egli voleva. Il suo intento era questo e l'organizzazione mafiosa - non voglio esprimere opinioni circa il fatto se si è trattato di mafia e soltanto di mafia, ma di mafia si è trattato comunque - e l'organizzazione mafiosa, quando ha preparato ed attuato l'attentato del 23 maggio, l'ha preparato ed attuato proprio nel momento in cui, a mio parere, si erano concretizzate tutte le condizioni perché Giovanni Falcone, nonostante la violenta opposizione di buona parte del Consiglio superiore della magistratura, era ormai a un passo, secondo le notizie che io conoscevo, che gli avevo comunicato e che egli sapeva e che ritengo fossero conosciute anche al di fuori del Consiglio, al di fuori del Palazzo, dico, era ormai a un passo dal diventare il direttore nazionale antimafia. Ecco perché, forse, ripensandoci, quando Caponnetto dice cominciò a morire nel gennaio del 1988 aveva proprio ragione anche con riferimento all'esito di questa lotta che egli fece soprattutto per potere continuare a lavorare. Poi possono essere avanzate tutte le critiche, se avanzate in buona fede e se avanzate riconoscendo questo intento di Giovanni Falcone, si può anche dire che si prestò alla creazione di uno strumento che poteva mettere in pericolo l'indipendenza della magistratura, si può anche dire che per creare questo strumento egli si avvicinò troppo al potere politico, ma quello che non si può contestare è che Giovanni Falcone in questa sua breve, brevissima esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto tornare a fare il magistrato. Ed è questo che gli è stato impedito, perché è questo che faceva paura”.

sabato 27 ottobre 2007

Delenda Birmania


Ieri sera la classica copertina del TgLa7 ha colpito nel segno. Scritta da Antonello Piroso con indignazione, senza cedimenti al sensazionalismo, esprime anche il senso di sconforto di fronte alle bestialità che la dittatura della Birmania sta esprimendo in grande stile dopo la rivolta dei monaci, una rivolta soffocata nel sangue. Sono più che mai convinto che siano necessarie non solo un’informazione accurata e costante su quanto accade in quel Paese, ma anche iniziative più concrete della solidarietà che dura lo spazio di una mattino, magari suggestionata dal senso di appagamento buonista.


Non a caso, nel precedente post, suggerivo l’idea che non sarebbe una cattiva idea iniziare il boicottaggio di quelle ditte italiane che trafficano con il regime dei generali, per poi estenderlo alla Cina, grande madre della Birmania. L’Olimpiade di Pechino del prossimo anno costituirà una cassa di risonanza enorme per la potenza asiatica, naturalmente in ambito sportivo nessuno si è posto il problema, ma iniziare una campagna perché i Giochi olimpici non vedano la partecipazione della compagine italiana, per esempio, risulterebbe interessante e riscuoterebbe tutto il mio plauso. Chissà se la blogosfera riuscirà in questo intento? Magari a provarci…


“Questa copertina è nera perchè listata a lutto.


Ci sono solo dolore, angoscia e rabbia davanti alle immagini durissime - sconvolgenti per quanto sono raccapriccianti - che arrivano dalla ex Birmania, e che per rispetto della dignità umana abbiamo scelto di non mostrarvi.


"Le foto della vergogna" le chiama AsiaNews, l'agenzia del Pime, il Pontificio Istituto Missioni Estere che ha deciso di diffondere su Internet le immagini di un monaco assassinato prese in segreto in un obitorio e fatte pervenire a Roma.

La fonte anonima che le ha recapitate ha lanciato anche un appello: "Il mondo sappia che c'è bisogno di molto più che una semplice condanna di questi bastardi della giunta".

Davvero, le parole vengono meno pensando ai molti altri che hanno subito lo stesso destino.

Non è un sospetto, è una certezza: centinaia di morti, oltre sei mila arrestati.


Per questo, non c'è solo la vergogna delle immagini strazianti, perchè la vergogna riguarda tutti.

La giunta militare, che diffonde in tutto il mondo le immagini del suo maldestro tentativo di "riconciliarsi" con i monaci buddisti, costringendoli ad accettare doni. Ma siccome le autorità dei monasteri hanno proibito ai loro bonzi di farlo, i militari hanno inscenato una farsa, con falsi monaci, per una falsa riconciliazione.


Vergogna per noi, che al di là di qualche sussulto di scandalo verso le violenze dei militari, abbiamo pensato che in fondo si trattava solo della soppressione di alcune manifestazioni, quando invece si tratta di un sistema che schiavizza e annienta una popolazione di quasi 50 milioni di persone.


Vergogna per l'Onu e la comunità internazionale, che non trova strumenti efficaci per garantire la democrazia a un popolo che l'ha scelta da tempo, anche perchè impoverito dal dominio e dal commercio della giunta con Cina, India e Thailandia”.


TgLa7 (26 ottobre 2007)



E da Asianews, l’agenzia del Pime citata, ho tratto questo pezzo che introduce la visione delle foto che decido di non pubblicare. Ribadisco ancora che si tratta di due foto truculente, la seconda in particolare è impressionante, talché non può che crescere il disgusto per quel regime e per chi lo appoggia. Anche il business dovrebbe per una volta, almeno, sprofondare nella vergogna.

MYANMAR

LE FOTO ORRIBILI DELLA VERGOGNA


“Carissimi, le parole vengono meno. Queste foto di un monaco assassinato sono state prese in segreto in un obitorio. Pensate quanti molti altri hanno subito lo stesso destino. Vi prego, diffondete queste fotografie a più gente possibile, perché il mondo sappia che c’è bisogno di molto più che la semplice condanna di questi bastardi [della giunta]”.


Con queste parole di dolore e d’ira, attraverso esuli birmani, ci sono giunte le due foto che abbiamo deciso di pubblicare con un avvertimento: sono foto molto crude e violente, forse non adatte a tutti i lettori.


Ma esse sono le foto della vergogna:


1) Vergogna della giunta, che proprio oggi diffonde alle telecamere di tutto il mondo il suo goffo tentativo di “riconciliarsi” con i monaci buddisti, costringendoli ad accettare doni. Ma siccome le autorità dei monasteri hanno proibito ai loro bonzi di farlo, i militari hanno inscenato una farsa, con falsi monaci, per una falsa riconciliazione. La giunta cerca di far “comprendere” alle autorità buddiste la “necessità” della repressione. Ma queste foto accusano ogni buona intenzione ed esigono domanda di perdono e un cambiamento radicale nel Paese. Secondo fonti diplomatiche, questa nuova repressione del governo militare del Myanmar – che si definisce socialista e laico, ma cerca l’appoggio dei monaci per continuare il suo dominio – è costata a vita a centinaia di persone e l’arresto di oltre 6 mila.


2) Vergogna per noi, che al di là di qualche sussulto di scandalo verso le violenze dei militari, abbiamo pensato che in fondo si tratta solo della soppressione di alcune manifestazioni, quando invece si tratta di un sistema che uccide, ammazza, schiavizza una popolazione di quasi 50 milioni di persone.


3) Vergogna per l’Onu e la comunità internazionale, che non trova strumenti efficaci per garantire la democrazia a un popolo che l’ha scelta da tempo. Il problema è che si tratta con la giunta solo con il minuetto diplomatico, mentre occorre dare voce alla società civile mondiale per affrontare quella che è un’emergenza umanitaria. Occorre che la Croce Rossa internazionale possa andare in Myanmar a visitare le prigioni; che l’Ufficio Onu del lavoro visiti gli schiavi dei lavori forzati; che le Ong possano svolgere un lavoro a favore della popolazione impoverita dal dominio e dal commercio della giunta con Cina, India e Thailandia.


ATTENZIONE: LE FOTO SONO MOLTO CRUDE E FORSE NON ADATTE A TUTTO IL PUBBLICO.


Per vedere le foto cliccare qui.

venerdì 26 ottobre 2007

Boicottaggio: Why not?


Si sono svolte nei giorni scorsi, in 12 città nel mondo, manifestazioni di solidarietà al Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, e a tutti i prigionieri politici detenuti in Birmania. 12 come gli anni di arresti domiciliari della leader dell'opposizione. Nella circostanza, le sei donne premiate con il Nobel per la Pace - Jody Williams, Shirin Ebadi, Wangari Maathai, Rigoberta Menchu Tum, Betty Williams e Mairead Corrigan Maguire - hanno lanciato un appello per la sua liberazione.


Un mese fa i monaci buddisti sono scesi in piazza per protestare contro l'aumento dei prezzi e per chiedere l'avvio di un processo di riconciliazione. La giunta militare birmana ha risposto con la violenza, uccidendo 10 persone e arrestandone un altro migliaio, stando alle cifre ufficiali. Però secondo attendibili fonti dell’opposizione democratica, quelle governative di paesi terzi e molti dissidenti, il bilancio sarebbe molto più pesante. Secondo la Bbc circa 10mila persone, tra cui molti bonzi, sono state arrestate dalle forze militari capeggiate dal generale Than Shwe e altre centinaia sono state uccise. (l’Unità, 24 ottobre 2007).


Un rapporto della Cisl, reso noto nei primi giorni del mese, ha meritoriamente posto al centro dell’attenzione una questione assai concreta, vale a dire il business di molte aziende nazionali con il regime sanguinario di quel Paese, a conferma che pecunia non olet a qualunque latitudine e in qualsiasi epoca.


Ora, al di là di appelli e mobilitazioni, mi pare proprio il caso di rendere manifesta la totale riprovazione verso la Birmania boicottando quelle imprese che commerciano con il dittatore. Così come sarebbe il caso di adottare il medesimo atteggiamento nei confronti della Cina (come instancabilmente suggerisce la cara harmonia) che si appresta ad autocelebrarsi con la prossima edizione dei Giochi olimpici. Intanto questo è l’articolo (e la lista rosso-sangue) pubblicato dall’Unità il 7 ottobre.


120 milioni di euro, il giro d’affari delle ditte italiane in Birmania


Un rapporto della Cisl elenca le 350 aziende che fanno import-export. La Oviesse sospende le forniture provenienti dal Paese.


di Umberto De Giovannangeli


Un giro d’affari che nel 2007 ha superato i 120 milioni di euro. È la dimensione del rapporto economico tra aziende italiane e la Giunta golpista della Birmania. Un quadro inquietante: è quello che emerge da un documentato rapporto presentato nei giorni scorsi dalla Cisl; nei giorni in cui il mondo democratico inorridiva di fronte alla brutale repressione condotta da uno dei regimi più feroci al mondo contro il movimento di protesta non violento che rivendicava, e continua a farlo nonostante morti, feriti, arresti di massa, diritti, libertà, giustizia.

Quello ricostruito dal rapporto della Cisl è un giro di affari che, per quanto concerne le importazioni, investe 350 aziende italiane. Le attività riguardano il teak, abbigliamento e pietre preziose. Alcuni esempi. La Bulgarelli Gioielli Spa (385mila euro); la Fincantieri-Cantieri Navali Spa (poco meno di 100mila euro). Ancora: l’ipermercato Auchan Spa (426mila euro); la Bellotti Spa (importatrice del pregiatissimo legno birmano per un valore di oltre 7 milioni di euro). Non basta. C’è la Van Cleef & Arpel Logistics Spa (prodotti di lusso) con 4,8 milioni di euro, l’Italia Srl (4,3 milioni di euro), la Margaritelli Italia Spa (legno per casa e infrastrutture) con 935mila. Sul versante esportazioni, la Danieli Officine Spa raggiunge la ragguardevole cifra di oltre 55 milioni di euro di prodotti industriali esportati.


Tra i nomi illustri nel poco edificante import-export con i golpisti birmani c’è anche Oviesse, con un giro di affari nel campo dell’abbigliamento che raggiunge i 2,5 milioni di euro di importazione. A Oviesse (Gruppo Coin) va riconosciuto comunque il merito di aver sospeso il ricorso a forniture provenienti dalla Birmania «fino a quando non sarà ripristinato il rispetto dei diritti civili». «Abbiamo assunto questa decisione - sottolinea l’amministratore delegato del


va riconosciuto comunque il merito di aver sospeso il ricorso a forniture provenienti dalla Birmania «fino a quando non sarà ripristinato il rispetto dei diritti civili». «Abbiamo assunto questa decisione - sottolinea l’amministratore delegato del Gruppo Coin Stefano Beraldo - perché condividiamo la richiesta che sale dalla società civile di dare un segnale che induca il governo di quel Paese a ripristinare al più presto i diritti civili».


Un salutare ripensamento che ha coinvolto anche l’agenzia di viaggi Astoi-Fiavet che ha deciso di sospendere tutti i suoi viaggi in Birmania. Una linea che è stata seguita anche dai tour operator del Gruppo Alpitour (Francorosso e Viaggidea) che hanno sospeso tutti i voli a partire dal 28 settembre. Lo stesso hanno fatto la Albatros Yatching Vacanze e Dodotravel Ma non tutti hanno ripensato i propri rapporti con la Birmania insanguinata: Gastaldi, Viaggi nel mappamondo, Rallo Luxury Travel, Sentieri di nuove esperienze, Columbia Turismo, Hotelplan, Viaggi dell’Elefante, Dimensione Turismo, il Tucano Viaggi, Mistral e Settemari: tutte queste importanti agenzie turistiche continuano a vendere pacchetti «tutto compreso» per viaggi da sogno nel «paradiso birmano». Non solo turismo, Teak e rubini. Perché le relazioni economiche e commerciali riguardano anche aziende come la Avio Spazio Difesa che, insieme alla Avio Spa, hanno fatturato quest’anno circa 1milione400mila euro. Il rapporto della Cisl non indica cosa queste aziende abbiano venduto ai golpisti birmani. Ciò che è certo è che la Avio è specializzata nella produzione di motori e componenti militari. Tra le aziende monitorate dal rapporto vi sono anche Foppapedretti e Margaritelli: aziende specializzate, tra le altre cose, nelle certificazioni per la rintracciabilità di prodotti provenienti da foreste gestite secondo ben definiti standard ambientali, economici e sociali. C’è da chiedersi, e tutte le organizzazioni ambientaliste e per la difesa dei diritti umani lo fanno, come la Birmania dei generali rientri in questi standard. Il rapporto della Cisl è di dominio pubblico. La repressione in Birmania non si ferma. La domanda è d’obbligo:

qual è la risposta allo «stop ad ogni commercio con la Giunta golpista» birmana da parte di Confindustria e mondo politico?


l’Unità (7 ottobre 2007)

domenica 21 ottobre 2007

A.A.A. cercasi per affettuosa amicizia


All’ingresso del supermercato faccio incetta di tutte le pubblicazioni gratuite presenti nella rastrelliera, in fondo nel fine settimana qualche momento di relax me lo posso concedere. Non che ci sia molto di memorabile in questi giornali, ma a incuriosirmi sono l’impaginazione, gli spazi pubblicitari, le caratteristiche degli inserzionisti, la qualità dei pezzi scritti, il genere di argomenti trattati. Si tratta, in buona parte, di riviste piene di annunci di ogni genere, molto spesso ripetuti. Però, a voler leggere tra le righe, riescono pure ad offrire una particolare chiave di lettura della società odierna, uno scorcio della varia umanità che si dispiega. Scivolando tra elenchi sterminati di collezionisti, vendo-scambio-compro, antiquariato, casalinghi, auto, moto, ricerca e offerta di lavoro, approdo alla pagina più gustosa: incontri, divisa in “messaggi” e “matrimoniali”. Tutti rigorosamente maschili.


Si potrebbe anche intitolare: la tecnica dell’acchiappo, in cento e una modalità diverse. Ci sorrido sopra, anche se magari dietro l’anonimato offerto da un indirizzo e-mail (tramontato il classico “fermo posta”: un segno dei tempi) possono celarsi persone effettivamente a disagio, che nella relazione con l’altro sesso hanno sempre incontrato difficoltà e patiscono tutto ciò come un marchio di impotenza. Potrebbe anche essere così, eppure dal modo con cui ci si “offre” non emergono imbarazzo o timidezza. Tutt’altro.


C’è chi è molto sbrigativo e non si perde in tanti giri di parole. “4Oenne molto giovanile, carino e sincero, cerca ragazza per una vera e seria relazione”. “Sono un quarantenne e cerco una donna per frequentare locali da ballo e fare un corso di balli latini insieme”. E si sa che corso dopo corso viene magari fuori un bel tango con casquet. Non si capisce poi come mai chi vanta certe doti debba far ricorso all’annuncio di carta: “Ragazzo 3Oenne, moro, alto 1 .83, fisico atletico, serio, simpatico ed allegro, vorrebbe conoscere una ragazza italiana o straniera per amicizia ed eventuali sviluppi sentimentali”. Sarà tutto vero? E poi l’eventuale ragazza italiana o straniera, perché in certe circostanza per il “maschio” basta che respiri e dunque nessun razzismo.


C’è poi colui molto sicuro di sé, che ci tiene a sottolineare un particolare che “abbraccia”, in senso metaforico, tutta l’altra metà del cielo: “Singolo 4Oenne alto vero maschio italiano, cerca donne colte e raffinate per piacevolissimi incontri!!! Gradite laureate universitarie, commesse, straniere, separate. Astenersi curiose perditempo! No tassativo a uomini! Graditi sms, mms, se trovi spento lascia un messaggio ti richiamo!”. Insomma è incoraggiante e non scarta niente. Solo che non capisco, ma chiaramente è un mio limite, perché le donne per “piacevolissimi incontri” debbano essere colte e raffinate. Saranno mica conferenza di filosofia mascherate? E perché poi precludere la possibilità alle “curiose perditempo”? Non è che si tratta di quelle “stonate” che non cantano “si, la, do?”.


Poi arrivano quelli che si sbottonano (sempre virtualmente) di più. E, per la frenesia di raccontarsi, strapazzano non poco l’italiano. “Cerco una donna brasiliana o sudamericana per una nuova amicizia finalizzata ad un rapporto stabile e duraturo sono un agente di commercio nel settore delle scarpe allegro sensibile indipendente economicamente romantico appassionato della musica, ballo vita brasiliana possiamo se ci siamo simpatici e ci piacciamo un po condividere progetti di lavoro insieme e abitare nella mia casa”. Beh, che dire? Facciamogli riprendere fiato. Poi potrebbe essergli utile la donna colta e raffinata di cui sopra. Anche se il sospetto che voglia allargare il commercio di scarpe all’estero esiste. 


Quest’altro sembra essere la stessa persona, o forse è un fratello gemello. Sempre un optional la punteggiatura. Secondaria la grammatica. “Per una storia di amicizia dialogo comprensione fiducia reciproca cerco una donna istintiva curiosa romantica particolare di aspetto raffinato. Sono un’imprenditore sensibile sportivo generoso sicuramente interessante con tanta voglia di conoscere gente diversa da quello che incontro solitamente nel mio quotidiano. Sono di piacevole presenza mi dicono simpatico e intrigante amo la gente la vita la musica i viaggi gli animali. Vorrei dopo iniziale conoscenza poter con te condividere dei progetti futuristici di lavoro della mia attività e ospitarti nella mia confortevole e grande casa no squilli”. In effetti gli squilli a vuoto sono inquietanti. O forse voleva intendere: “no squillo?”. Resterà il dubbio.


Un altro pretendente è assai ambizioso: “Ho 39 anni sono single, posso viaggiare senza problemi. Lei può avere tra i 25 ed i 40 anni, essere sufficientemente carina, abbastanza intelligente, che sappia soprattutto ascoltare, confrontarsi, cercare di comprendere i punti di vista altrui. Gentile, coccolona, fedele, un pò romantica, senza figli. Forse pretendo troppo lo so, ma tentar non nuoce ... Se mi contatti, poi ti parlerò meglio di me. lo ti aspetto!”. Trovo singolari un paio di precisazioni, indeterminate a pensarci bene. M’immagino nei panni della donna che si riconosce nel ritratto, ma è subito lacerata da interrogativi inquietanti: “Di essere carina lo so, ma lo sono “sufficientemente? E sono troppo o abbastanza intelligente? Magari non devo essere superiore a lui…” Chissà? Da qui si vede come ad entrare in depressione si faccia presto. Si tratta di dubbi esistenziali.


Piccole velleità crescono. Badate bene. “Se sei una donna alla ricerca di romanticismo dolcezza tenerezza passione cordialità passionalità cultura hai trovato il tipo che fa per te, ho messo l’annuncio perchè ho poco tempo per fare delle nuove conoscenze ed amicizie ti cerco dolce istintiva aperta di idee educata sono un imprenditore nel settore della moda molto corretto serio affidabile di gradevole presenza estetica e interessante interiormente. Con l’hobby dei viaggi musica ballo natura la gente la psicologia”. Ormai mi chiedo se le virgole vengono vendute un tanto al chilo, oppure se sono aumentate come il pane e la pasta. Però non fanno ingrassare. Le virgole dico.


Arrivano i nostri adesso. Qui non si tratta di banali annunci, ma veri e propri trattati. “Cerco una donna che con me voglia fare un’evoluzione spirituale intesa come conoscenza profonda della potenzialità della nostra mente e sviluppo delle nostre risorse nascoste per poter migliorare la nostra vita e crescere intellettualmente emotivamente psicologicamente spiritualmente. Sono un tipo molto particolare profondo molto sensibile romantico sognatore. Possiamo incontrarci inizialmente per condividere un’amicizia e poi vedremo. Sono appasssionato di sport musica viaggi psicologia arte, filosofia. Se trovate segreteria ascoltate il messaggio”. Risparmierà anche lui sulle virgole, ma non sulle “s”. Da notare l’accortezza di lasciare un apposito messaggio in segreteria.


“Sognare non rende felici: vivi un amore vero senza più attendere! Celibe 45enne posizionato, affidabile conoscerebbe dolcissima motivata ad un rapporto costruttivo”. “Discreta presenza, colto 39enne, buon carattere, affidabile, cerca ragazza dolce, amabile, intelligente, possibilmente che non abbia figli, desiderosa di iniziare una storia seria e importante” Qui si rompono gli indugi senza esitazione.


Ma il meglio l’ho riservato alla fine.  Ecco che c’è chi dispensa lezioni di vita, improvvisandosi guru. “Occorre lottare perchè chi si ferma è perduto! La delusione porta allo scoraggiamento, al morale basso, alla voglia di rassegnarsi. Ma grazie a Dio, passata la “sbornia” della delusione, ci “rigeneriamo” e siamo pronti a rilottare. Con il buonsenso si va avanti passetto dopo passetto. E se il problema non si risolvesse, la nostra sofferenza ci avvicina al prossimo, anche lui sofferente, all’umiltà. Mal comune mezzo gaudio. Il lavoro premia sempre e ci accorgiamo delle grandi possibilità di sofferenza psico-fisica che abbiamo. 42enne medio alto”. Sbalordito da tanta saggezza. Quel “passetto dopo passetto” è la notevole variante al “passo dopo passo”. “Chi si ferma è perduto!” è un rigurgito del passato (tornato però attuale), ma la donna che leggerà sarà avida di conoscere il tipo e lottare insieme a lui.


Tocchi di lirismo puro ed emozionante. Abbastanza sconclusionato, ma in compenso si autodefinisce “ uno splendente sole”, che poi va pure a rubare la luna. Insomma: cosa si vuole di più? Questo ce la mette proprio tutta. “lo seguo la tua vita, la tocco con le dita, vorrei far parte sempre dei pensieri tuoi. Vorrei restarti accanto, in ogni tuo momento e poi guardare il mondo attraverso gli occhi tuoi. lo vivo solo quando tu sei qui vicino a me, che cosa vuoi di più, la luna ruberei, lo sai che non ha senso la mia vita senza te ... “Innamorati noi” con sentimento: dolcissimo ragazzo 35enne, veramente carino, serio, molto passionale, ironico, ballerino di ballo latino, sani principi morali, ti aspetto a “braccia aperte” graditi mms. No anonime (riattacco). No tassativo: squilli idioti, depresse, non interessate ed intenzionate, donne che non sanno ballare. Ok straniera. Non chiudiamo la porta del nostro cuore, lasciamo entrare una piccola luce, potrebbe presto diventare uno splendente sole”.


Ho lasciato alla fine due annunci che definisco geniali, soprattutto l’ultimo che poi pare essere la prosecuzione di quello che lo precede. “Neosessantenne, amo la natura intimità turismo culturale nei centri minori. Condividerei progetto di vita non frenetica avida distratta rinnovando affettività emozioni dietro l’angolo del prossimo ieri. fermo posta centro”. L’età gli fa rispolverare il nostalgico “fermo posta”, ma dispone pure di e-mail che lascia nel messaggio successivo. Insomma pre e post informatico. Ma anche spiritoso, il che – e lo scrivo seriamente – è un gran vantaggio in un’età di confine tra la maturità avanzata e la vecchiaia, con rischiosi passaggi a vuoto. “Andato il cavallo, sbiadito l’azzurro (1947) principe con castello, senza corte, estroso disponibile formerebbe regno anche altrove con signora nobile (d’animo) amante natura. Se come me credi che il mondo sia qualcosa di magico e che può essere cambiato in ogni istante, scrivimi, forse sono la tua metà”. E conclusione migliore non ci potrebbe essere.

Sì, è stata proprio una bella giornata.

martedì 16 ottobre 2007

Danzando tra i fili d’erba di un prato


15 ottobre 1967, una domenica. A Torino fu il giorno in cui la “farfalla granata” smise di volare per sempre. Il suo nome era Gigi Meroni. A quel tempo il calcio era una cosa seria, cioè un gioco e la giornata festiva aveva celebrato il quarto turno di campionato. La tragedia si consumò a poche ore dalle partite che, nel pomeriggio avevano consegnato all’archivio 22 gol complessivi, uno 0-0 e una vittoria in trasferta (della Spal a Brescia) per una classifica dove la Roma (2-1 alla Fiorentina) si ritrovava solitaria capolista a 7 punti, uno in più di Bologna e Juventus che avevano concluso senza reti il loro confronto e uno in più anche del Milan (alla fine vincitore del torneo con quattro giornate di anticipo) che quel giorno aveva superato facilmente il Mantova (poi retrocesso in serie B) per 3-1 (3-0 il primo tempo). Nel capoluogo piemontese i granata si erano imposti alla Sampdoria per 4-2, risalendo al quinto posto in graduatoria. Si era giocato in “una Torino di classico stampo autunnale, di mezzo ottobre, con le foglie dei platani che si staccano dai rami appesantiti dalla nebbia, dall’acquerugiola, e finiscono sulle rotaie dei tram. Corso Umberto, Corso Ferraris, Corso Vinzaglio, dalle parti della Crocetta che era, ed è, ma soprattutto era, il più classico dei quartieri residenziali. Di sera i lampioni dell’illuminazione pubblica stendono ombre lunghe su chi transita, l’asfalto umido riflette mille luci, i fanalini di chi va, i fari di chi sopraggiunge. Un auto. Un uomo che attraversa la strada.” Quella sera del 15 ottobre 1967, dopo la partita contro la Sampdoria, Meroni fu convinto dal suo grande amico Poletti, terzino roccioso e giocatore nella stessa squadra, ad abbandonare il ritiro post-partita prima del suo termine.


Dirigendosi verso il bar che di solito frequentava, attraversò avventatamente, nei pressi del civico 46, il corso Re Umberto: percorse la prima metà della carreggiata, fermandosi in mezzo alla strada cercando un momento buono per passare nell'intenso traffico. Dalla sua destra arrivò rapidamente un'auto troppo vicina. Meroni e Poletti fecero un passo indietro. Poletti fu urtato di striscio da una Fiat 124 Coupè proveniente dal lato opposto, e Meroni invece fu colpito in pieno alla gamba sinistra; fu sollevato in aria dall'impatto e cadde a terra dall'altra parte della carreggiata, per poi venire travolto da una Lancia Aprilia, che ne agganciò il corpo trascinandolo per 50 metri, mentre la Fiat 124 Coupè si fermava a bordo strada. Meroni morì poche ore dopo, alle 22.40, all'ospedale Mauriziano, dove venne portato da un passante, tal Giuseppe Messina, poiché l'ambulanza rimase imbottigliata nel traffico post-partita. Arrivò al nosocomio con le gambe e il bacino fratturati, e con un grave trauma cranico.


La Fiat era guidata da Attilio Romero, un diciannovenne neopatentato, di buona famiglia e figlio di un medico agiato, tifosissimo del Torino e grande fan di Meroni di cui aveva copiato anche la capigliatura e con cui aveva una lieve somiglianza fisica. Romero, che al momento dell'incidente stava tornando dopo aver visto la partita torinese, sarebbe nel 2000 diventato presidente del Torino e nel 2005 l'avrebbe portato al fallimento.


Capelli lunghi, calzettoni arrotolati, la funambolica ala destra del Torino rappresentò un mito per i giovani di allora. Classico genio e sregolatezza fu la gioia dei tifosi e la disperazione degli allenatori. Eccellente agonista, capace di inventare gol impossibili e di devastare le difese avversarie con finte e slalom ubriacanti. Nel Torino disputò 122 partite (103 in campionato, 7 in Coppa Italia e 12 nelle coppe europee) realizzando 25 gol (22 in campionato e 3 nelle competizioni internazionali) alcuni dei quali da autentica cineteca calcistica. Con il Torino lega il suo nome alla Coppa Italia 1968. Gioca 6 volte (2 gol) con l'Italia A e in due occasioni (1 rete) con gli azzurrini della B. Il suo ultimo gol in maglia granata lo segnò, su rigore, al Brescia (superato per 2-0) il 1° ottobre 1967.


Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo italiano scrisse nel suo necrologio. “Era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti”. “Gigi non era soltanto carne, muscoli e nervi. Era genialità, coraggio, comprensione, altruismo” con queste parole lo celebrò dall’altare, nel giorno del suo funerale, a cui parteciparono 20mila persone, don Francesco Ferraudo. E la sua compagna Cristina Understadt, una ragazza che caricava i fucili ad aria compressa nei luna park, un amore scandaloso per quei tempi visto che la ragazza abbandonò il marito per seguire Meroni, lo ricorda con intenso e immutato affetto.Ci innamorammo dei nostri occhi, subito", è uno: bellissimo. Un altro: "Gigi era sempre pronto ad ascoltare tutti. Anche se era stanco, si sedeva e faceva un gesto. Forza, racconta. Regalava i premi partita agli orfanotrofi e ai ricoveri per anziani. Non lo diceva a nessuno, in compenso c'era sempre chi lo giudicava per i vestiti. Tutti i giorni mi regalava una rosa rossa. Tutti i 15 ottobre sette rose rosse mie, sulla sua tomba a Como. Sette come il suo numero”.


Così conclude Nando dalla Chiesa “La farfalla granata”, il commovente libro che racconta la storia del calciatore morto a 24 anni. “Solo i compagni di scuola sono immortali, nelle precise forme estetiche e mentali nelle quali li abbiamo conosciuti.


A Gigi Meroni, farfalla granata, è toccato in sorte di essere, per la grande, numerosa e inquieta generazione dei ragazzi che lo applaudirono, come un compagno di scuola. Un prodigio meraviglioso, a pensarci. Proprio lui che ha lasciato la scuola dopo la terza media, lui che non è potuto andare alle feste di classe degli anni cinquanta e sessanta, è diventato in realtà il compagno di scuola di centinaia di migliaia di adolescenti carichi di vita e di speranza. Un privilegio grandissimo, bisogna ammetterlo. Forse il più grande dei privilegi. Gli antichi greci erano convinti che coloro che morivano giovani fossero cari agli dei. Magari per il loro coraggio. O per il loro altruismo. O per la musa (la fantasia) che ispirava il loro genio. A Gigi Meroni, calciatore-artista vissuto il tempo di una farfalla, qualcuno sembra avere voluto bene per davvero”.  


Quel 15 ottobre di 40 anni fa accadde pure dell’altro: Fidel Castro annunciò la morte di Ernesto Che Guevara e così a migliaia di chilometri di distanza il mito politico si fuse con il mito calcistico. Il triste decesso comune rese entrambi immortali.


*Il corsivo è di Franco Piccinelli, tratto dalla “Storia del Calcio Italiano giornata per giornata”, volume 4, editore Newton Compton, da cui ho attinto la maggior parte dei dati statistici.


Per la ricostruzione dell’incidente mi sono avvalso di Wikipedia.


Il libro “La farfalla granata” è edito da Limina (1995).


 

lunedì 15 ottobre 2007

Il nuovo di oggi, anzi l’antico


Come da copione Walter Veltroni è stato incoronato segretario del Pd. La novità può circoscriversi alla sigla che è già entrata nel circuito mediatico, non certo nelle persone, oppure nella fusione di due partiti. Il Pd, insomma, nasce già vecchio.


Ci fu un Veltroni, l’anno scorso intervistato da Fabio Fazio, asseverare che al termine del secondo mandato di sindaco di Roma avrebbe lasciato la politica, perché c’erano altre cose di cui voleva interessarsi e, come leggendo nel pensiero dei più maliziosi, aggiunse che nonostante lo scetticismo suscitato da questa rivelazione, sarebbe stato irremovibile nella sua decisione. Si tratta per caso della stessa persona salita al trono ieri?


Ci fu ancora un altro Veltroni, molti anni prima, che con parole vibranti denunciò le interruzioni pubblicitarie nel film teletrasmessi: “Non si spezza così un’emozione!” ebbe a dire. Bene, bravo, bis. Ma in seguito si emozionò molto meno, visto che il massacro delle pellicole in tv è ormai placidamente accettato e con virtute perseguito. Un altro fratello gemello oppure si tratta del Veltroni da Fazio (il meritorio Blob lo ha mandato in onda alcune sere fa e pare che sia scomparso dal web, ma non ho verificato)? Oppure è già diventato uno e trino?


Comunque stiano le cose, pubblico l’editoriale di ieri del manifesto, scritto dal direttore del quotidiano comunista. E, visto che condivido la sua analisi, si può anche tirare a indovinare se abbia partecipato alle primarie oppure no. Non è difficile: basta poco.


Un partito unico


Gabriele Polo


Quello che oggi va in scena, tra gazebo, ristoranti e sedi di partito, non è solo un sondaggio demoscopico travestito con i panni della partecipazione, ma è l’atto di nascita di un potentato che piazzandosi al centro dello schieramento politico tenderà a occupare ogni spazio. Libero da radici identitarie e sociali, potrà muoversi come un blob avvolgente, schivando i conflitti sociali e di classe, accordandosi con i poteri industriali e finanziari, ignorando il lavoro subordinato e distribuendo prebende a quello delle «professioni», offrendo un po’ di carità agli esclusi e un po’ di polizia ai recalcitranti.


Sbaglia chi pensa che sarà un fenomeno passeggero: una volta piazzato al potere (e questo è il passaggio incerto, da cui tutto dipenderà) si muoverà seconda la logica del «partito unico» che tutto ingloba in una serie di lobbies che si confronteranno tra loro nella gestione della cosa pubblica. La sua grande forza è incarnare lo spirito del tempo dell’individualismo, stabilizzando il berlusconismo, smussandone le spigolosità populiste e gli eccessi autoritari. E di strutturare in un sistema di potere - su cui in molti si getteranno - l’unica vera cultura politica dell’Italia post-unitaria, quel trasformismo che ha saputo attraversare regimi dispotici, guerre e tentate rivoluzioni sociali. Depretis e Crispi, veri padri di questa patria, ne sarebbero fieri.


Walter Veltroni ne sarà l’incarnazione, l’uomo giusto per mettere l’Italia al passo con l’Europa delle «grandi coalizioni», che tagliano i «lati estremi», amministrano l’esistente, offrono stabilità istituzionale a mercati - al contrario - sempre in subbuglio e movimento. Lo farà facendo di questo paese un’America in tono minore e un po’ stracciona. Ma lo farà, seguendo un modello sperimentato in Campidoglio, utilizzando capacità mediatiche, il consenso dei forti e l’esclusione dei deboli. Avrà più da temere dalle bufere internazionali (economiche e militari) che dagli spifferi interni. Anche perché non si vedono particolari ostacoli, almeno a sinistra.


Lì c’è un vuoto, occupato da frammentazione partitiche che, culturalmente fragili e prive di riferimenti sociali forti, sopravvivono a stento, rischiando la lenta estinzione. E, poi, un’altrettanta frammentata conflittualità sociale che il blob-Pd spingerà a chiudersi in una serie di vertenze, «comprandone» alcune, reprimendone altre. E, poi, non c’è più il panorama sindacale che conoscevamo, perché il lavoro è ricondotto a variabile delle imprese e la Cgil sembra scegliere la strada del sindacato di mercato, con la prospettiva del sindacato non unitario, ma «unico» (a compendio del partito unico). E lì che ci sarebbe molto da fare, da elaborare, da ricostruire. Ma per farlo, evitando la scomparsa della sinistra, bisognerà prendere atto che questa costruzione può avvenire solo essendo liberi dai vincoli delle compatibilità: quelli di mercato e quelli di governo.


il manifesto (14 ottobre 2007)


 

I fioretti di Fioroni


 


 


Girano in rete video allucinanti che riguardano l’ambiente scolastico. Repubblica Tv ne proponeva quattro che mettono i brividi. Mettiamoci pure lo smodato e imbecille esibizionismo generato dall’uso dei cellulari, aggiungiamoci che si tratta di delinquenti (il termine “bulli” è edulcorato), ma il quadro che ne esce fuori, dopo appena un mese dall’inizio delle lezioni, è più che allarmante. Tra le tante domande che sorgono immediate sui ruoli delle diverse componenti sociali, uno si chiederà anche dove sono finite quelle misure di drastica severità diramate dal ministro Fioroni.


Sui provvedimenti è facile affermare che sono rimasti confinati nel limbo delle buone intenzioni (siamo in Italia non a caso). Sporadiche applicazioni, divenute poi timidissime all’inizio dell’anno. Invece il ministro sì che si può rintracciare. È alle prese con attività che il suo autentico spirito democristiano vellica. Lo spirito, per intenderci, che allignerà nel Pd appena nato, un partito che nasce già vecchio. Che poi è curioso: ai sinistr(at)i Ds, prima ex Pci, si è sempre chiesto di ripudiare le origini e questi non se lo sono fatto ripetere due volte, mentre ai democratici cristiani ormai si permette di prendere il largo, magari non più Balena Bianca, ma sempre ingombranti.


È che noi ci moriremo democristiani. La nostra era stata solo un’illusione, durata anche poco.



Fioroni dà i soldi alle private. Oggi studenti in piazza


Simone Verde


Mentre oggi gli studenti delle scuole e delle università scendono in piazza in 130 piazze italiane, ecco il bilancio tut­to positivo della scuola privata, dopo un anno e mezzo di centrosinistra e di ministero Fioroni. A ricordarlo, in una lettera datata 9 settembre 2007 e indirizzata agli istituti parificati, è lo stesso ministro. «Colgo l'occasione del nuovo anno scolastico - scrive - per ag­giungere agli auguri, un primo consun­tivo degli interventi realizzati nel 2007 per le scuole private [...]. Come sapete -si legge ancora in tono di amicale con­fidenza - assumendo le funzioni di questo ministero ho dovuto prendere atto di alcune misure restrittive assun­te nella finanziaria 2006 nelle scuole non statali e cercare di porvi rimedio». Misure restrittive, da ricordare, costitu­ite da tagli del governo Berlusconi che l'attuale ministro ha provveduto a sa­nare. «La legge finanziaria 2007 ha re­cuperato una prima tranche di 100 mi­lioni di euro», mentre con il Consiglio dei ministri del 28 giugno 2007 sono stati aggiunti altri «51.306 milioni di eu­ro in sede di assestamento di bilan­cio». Riassumendo, 151.306.000 euro reperiti dal centro-sinistra, per far me­glio del centro-destra.


Del tutto inconsueto, il tono uti­lizzato dalla circolare: «II 5 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento legislativo che introdu­ce in ordinamento innovazioni di vo­stro sicuro interesse». Cui, promette il ministro, verranno ad aggiungersene altre, in nome del «dialogo continuati­vo e costruttivo intrattenuto con molti di voi». Ed ecco, puntuale, la promes­sa: «Sarà mia cura -sostenere in Parla­mento l'interpretazione già data sul­l'applicazione all'intero sistema del­l'istruzione», tra cui «la direttiva che fis­sa criteri per l'attribuzione di risorse aggiuntive alle scuole del sistema na­zionale d'istruzione». Una direttiva, cioè, che permetterà di versare nuove somme di denaro alle scuole private.


Con l'insieme di queste afferma­zioni, il ministro conferma la sua posi­zione politica e culturale, secondo cui deve esistere un sistema misto pubbli­co-privato, e allo studente va resa disponibile un'offerta formativa mista, grazie all'ingresso di soggetti privati nella scuola statale già permesso dal­l'autonomia, e con ulteriori fondi pub­blici da destinare alla scuola privata. Ma il ministro aggiunge: «Condividere­te con me che forse è improprio se non errato parlare per i temi della scuola non di un sistema misto, come io ritengo e come è disegnato dalla scuola della parità, ma di un meccani­smo di liberalizzazione e di mercato, perché la liberalizzazione e il mercato sostituiscono alla centralità dello stu­dente la centralità del profitto». Una dichiarazione da cui emerge con mag­gior chiarezza cosa il ministro intende per «sistema misto»: no a una scuola aperta al mercato, garante - almeno nelle intenzioni liberiste - di plurali­smo dell'offerta e di qualità; si, invece, a una scuola in cui operino soggetti che non ricercano profitto e che di con­seguenza investono nell'educazione, perseguendo disegni di egemonia cul­turale in concorrenza con lo Stato. Co­me nel caso della Chiesa.


Un'impostazione che sembra tro­vare conferma in un Decreto ministe­riale del 21 maggio 2007, in cui si stabi­lisce la lista delle scuole paritarie che beneficeranno di finanziamenti stata­li: scuole paritarie senza fini di lucro, ovvero, associazioni, fondazioni, enti ecclesiastici di confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato patti, im­prese sociali, enti pubblici, cooperative e cooperative sociali. Una lista che ha subito provocato durissime critiche poiché - sostengono i sindacati, Cgil in testa - includendo le cooperative, si in­coraggiano enti che, assumendo i do­centi in qualità di soci, non ne rispetta­no elementari diritti del lavoro. Ma soprattutto, si favorirebbero associazioni che - proprio come Comunione e Libe­razione al cui Meeting il ministro si è espresso lungamente - stanno entran­do con prepotenza nel mercato della scuola privata, perseguendo un preci­so disegno culturale.


il manifesto (12 ottobre 2007)

domenica 14 ottobre 2007

Il Palazzo d'Inverno

 



Forse apparirà insolito scusarsi per non aver pubblicato un post, ma io lo faccio ugualmente per aver trascurato un interessante articolo di Barbara Spinelli, che avevo messo in archivio con la precisa intenzione di editarlo finendo poi col dimenticarlo. L’ho ritrovato e dopo aver tolto la polvere virtuale lo offro alla pubblica lettura. E' una gioia per l'intelligenza.


Il vero antipolitico? E' il palazzo


BARBARA SPINELLI


Forse la cosa più intelligente su Beppe Grillo l’ha detta Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, lunedì in un incontro televisivo con Romano Prodi. La sua idea è che «finché ci saranno molti politici che vogliono fare a tutti i costi i piacioni, divenendo un po’ comici, è chiaro che i comici tenderanno a far politica». Il che è poi simile a quello che disse un giorno nel 2001 il giornalista-investigatore Travaglio, quando la trasmissione Satyricon parlò di un’ultima intervista di Borsellino ­ girata per Rai News 24 e contenente precisi accenni ai legami tra Berlusconi, Dell’Utri e il mafioso Mangano, stalliere di Berlusconi ­ che i telegiornali Rai ignoravano da mesi: «La Rai invita giornalisti che non parlano ­ così Travaglio ­ dunque è naturale che le domande di politica le facciano i comici satirici». A quell’epoca fu il comico Luttazzi a rompere il silenzio, e subito fu allontanato dalla Rai. Adesso allontanare Grillo non si può, perché tante cose son cambiate intorno a noi. Né la politica né le televisioni né i giornali hanno il potere di estromettere il nuovo mondo della comunicazione e della denuncia che si chiama blogosfera e che include siti come quello di Grillo o di YouTube.


Qui è una delle novità che si accampano davanti ai poteri costituiti, non solo politici ma anche giornalistici: la blogosfera, i movimenti alla Grillo, i giovani diffidenti che firmano proposte di legge perché sono abituati a rispondere a sondaggi-votazioni su Internet sono nuovi poteri che fanno apparizione in una democrazia non più veramente rappresentativa, né veramente rappresentata.


Politici e giornalisti ne discutono animosamente ma non sembrano comprendere tali fenomeni, e di conseguenza ne sottovalutano la forza. Più precisamente, non vedono i tre ingredienti che hanno dato fiato e potenza al fenomeno Grillo. Primo ingrediente, la complicità che lega il giornalista classico al politico, e che ha chiuso ambedue in una sorta di recinto inaccessibile: il giornalista parla al politico e per il politico, il politico parla al giornalista di se stesso e per se stesso, e nessuno parla della società, che ha l’impressione di non aver più rappresentanti.


Secondo ingrediente: l’esclusione da tale recinto dell’informazione alternativa che sempre più possente cresce attorno a esso e non è più emarginabile. Oggi essa disvela e denuncia le complicità esistenti, non solo in Italia ma in molte democrazie. Terzo ingrediente: la domanda di politica e non di anti-politica che emana da blog e movimenti alternativi. Pochi sembrano capire che Grillo in realtà denuncia l’anti-politica, e non la politica. Pochi sembrano capire che egli invoca la politica. Forse non lo capisce nemmeno lui. Uno dei motivi per cui si discute senza guardare in faccia questi tre elementi è la cecità peculiare dei giornali dell’establishment (i giornali mainstream). Essi vengono processati allo stesso modo in cui sono processati politici e partiti. È sotto processo la loro complicità con i politici, ed è questo nesso che si tende a occultare: il nesso fra marasma della politica e marasma della stampa. Il fenomeno ha cominciato ad amplificarsi in America, tra l’11 settembre 2001 e la guerra in Iraq: fu la blogosfera a raccogliere i documenti che certificavano l’enorme imbroglio concernente le armi di distruzione di massa e i legami di Saddam con Al Qaeda. La menzogna del potere politico fu accettata da giornali indipendenti come il New York Times, che nel frattempo ha chiesto scusa ai lettori perché di copie ne perse molte. Fu quella l’ora in cui l’antipolitica dei blog divenne politica: quando la politica degenerò in antipolitica e fallì, cavalcando sondaggi e paure.


Non serve molto dunque cercar paragoni, evocare l’Uomo Qualunque. La figura del buffone che dice la verità senza esser creduto perché appunto considerato buffone è già nell’Aut-Aut di Kierkegaard. «Accadde, in un teatro, che le quinte presero fuoco. Il Buffone uscì per avvisare il pubblico. Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripetè l’avviso: la gente esultò ancora di più. Così mi figuro che il mondo perirà fra l’esultanza generale degli spiritosi, che crederanno si tratti di uno scherzo».


Quel che Grillo dice non è uno scherzo, perché con toni buffoneschi è proprio l’incendio dell’anti-politica che denuncia: l’incendio delle cose dette e non fatte, l’incendio del politico che pretende governare e in realtà s’azzuffa con l’alleato ed è in permanente campagna elettorale, l’incendio di una stampa che non indaga né spiega, ma fa politica in prima persona, creando o disfacendo governi con sicumera senza precedenti. Né ha torto quando aggiunge: l’anti-politica non sono io, ma è al potere. È a quest’accusa che urge rispondere, non limitandosi a dire al comico: mettiti in politica anche tu, e vedrai come diverrai simile a noi. Difficile che Grillo imbocchi questa via. La sua è piuttosto contro-politica o, come spiega lo studioso Rosanvallon, democrazia negativa: è l’ambizione a rappresentare nuovi poteri di controllo, di vigilanza e denuncia che s’aggiungono alla democrazia rappresentativa e che riempiono il vuoto di partecipazione creatosi fra un’elezione e l’altra (Pierre Rosanvallon, La contro-Democrazia, Parigi 2006).


Questo significa che l’antipolitica nasce prima di Grillo, e non a causa di Mani Pulite ma perché Mani Pulite non è riuscita a eliminare immoralità e cinismi ma li ha anzi dilatati. Il male dell’anti-politica è cominciato con la Lega, per culminare nell’ascesa di Berlusconi e nel patto d’oblio che egli strinse con parte dell’ex-Dc, dell’ex-Psi, dell’ex-Pri (oltre che con la sinistra nella Bicamerale). È un male che ha contaminato parte della stampa e televisione: da anni quest’ultima dedica dibattiti sul pigiama della Franzoni, e mai ne dedica uno sulle carte scomparse dopo gli assassinii di Falcone e Borsellino. Il male è la carriera politica di un magnate televisivo alla cui origine sono denari di misteriosa provenienza, sono le leggi ad personam fatte approvare quando il magnate ha governato, ed è l’omertà su tutto ciò. La sua certezza di non esser colpito dal grillismo è lungi dall’esser fondata. Per questo impressiona l’indignazione che d’un tratto Grillo suscita in molti politici e giornalisti, come se nulla prima di lui fosse accaduto (un’eccezione è Eugenio Scalfari, che critica Grillo senza mai sottovalutare il pericolo Berlusconi). Si dice che alla diffidenza che dilaga si deve replicare con politiche bipartisan su quasi tutte le riforme, senza capire che gli entusiasti di Grillo non chiedono la fine dell’alternanza ma politiche che trasformino le alternanze in alternative.


Degli errori fatti a sinistra si parla molto, e non stupisce: perché tanti fedeli del sito Grillo vengono da quel campo, e perché la sinistra si è fatta dettare l’agenda da Berlusconi anche dopo la vittoria del 2006. Una porzione notevole del proprio tempo la passa mimetizzandosi con la destra su tasse, lavavetri, tolleranza zero, e anch’essa è in permanente campagna elettorale, imitando il leader dell’opposizione. Anche Veltroni sembra impegnato nella conquista della presidenza del Consiglio, più che d’un partito. Se ci son colpe a sinistra è di non aver denunciato quest’antipolitica nata ai vertici della politica ben prima di Grillo, non di averla troppo denunciata. Quel che la sinistra ha mancato di fare è rispondere a domande che riguardano legalità, moralità, giustizia. Altro che «blandire e coccolare il moralismo legalitario», come scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di ieri. Per la terza volta Berlusconi sta per tornare al governo (il potere ce l’ha ancora) e per la terza volta la sinistra sta perdendo l’occasione di varare una legge sul conflitto d’interessi.


Naturalmente tutte le ansie di redenzione hanno un lato oscuro, politico-religioso. E la contro-politica può diventare simile all’anti-politica che denuncia. Può generare populismo, e fantasticare un Popolo compatto, non più diviso in parti (dunque in partiti). Può mettere tutti sullo stesso piano: mafia, gravi corruzioni, e Burlando che evita la multa mostrando il tesserino di parlamentare. Ma questa è l’elettricità della denuncia, come si diceva all’inizio della Rivoluzione francese quando Marat costruì il suo sito di denuncia e sorveglianza: allora era un giornale, si chiamava L’amico del popolo.


È un’elettricità rischiosa, che può spingere il cittadino a farsi delatore. Ed è elettricità che comporta grida, insulti pesanti. Quel che mi piace di meno in Grillo è il suo urlare, che per forza genera tali insulti. L’urlo ­ perfino quello dipinto da Munch ­ è qualcosa che non dà forza al pensiero. Tucholsky fu trattato come un buffone dai benpensanti della repubblica di Weimar, quando fin dal 1931 scrisse che quel che più l’indisponeva in Hitler era il suo urlare. Fu trattato come un buffone anche lui, nonostante avesse visto bene l’incendio, e tanti spiritosi credettero si trattasse di uno scherzo. Grillo ha più risorse di lui. Urlare sempre non gli serve.

La Stampa (23 settembre 2007)


*La foto ritrae il palazzo del Parlamento di Bucarest