martedì 31 ottobre 2006

La colonizzazione consumistica


Streghe di Halloween e nostre identità perdute


Feste, fantasmi e zucche vuote


di Ernesto Galli Della Loggia


 


Perché degli italiani, giovani ma anche meno giovani, decidono a un tratto di mettersi a festeggiare Halloween sì che improvvisamente non solo le città ma anche i borghi più riparati della Penisola (ne sono stato testimone diretto) si riempiono improvvisamente di zucche, di streghe e di folletti? Perché degli italiani, giovani ma anche meno giovani, che probabilmente neppure si ricordano più di che cosa sia la Befana e che ancora più probabilmente non hanno mai saputo cosa siano i fuochi di San Giovanni, decidono invece che fa proprio al caso loro una festa celtica importata dagli irlandesi negli Stati Uniti? Perché tutto ciò che non si presenta con connotati italiani può, in Italia, contare sempre su un'attenzione immediata e spesso su un successo travolgente?


Sì, sarebbe interessante saperlo, cercare di scoprirlo, considerare i possibili motivi. Ma si può essere certi che non accadrà. Cioè che nessuno si prenderà la briga, non dico di rispondere, ma neppure di ragionare intorno a domande che, del resto, nel momento stesso in cui vengono formulate appaiono sterili e quasi prive di senso per primo a chi le formula. Eppoi, chi mai dovrebbe accollarsi l'onere di raccogliere domande difficili come quelle di cui sopra? Chi dovrebbe sentirsi tirato in ballo?


Certo, in Italia, per esempio, esiste - e anzi è stato appena istituito - un ministero della Cultura, ma proprio nell'istituirlo non ci siamo forse affrettati tutti a precisare che, per carità, il ministro della Cultura al massimo deve occuparsi solo di film, di musei, di biblioteche (bontà sua e se proprio vuole) e del paesaggio, cose d'altronde importantissime? Non abbiamo forse tutti sottolineato che il suddetto ministro deve però guardarsi bene dal pensar e che la cultura sia anche qualche cosa di più profondo e di più impalpabile dei musei e delle biblioteche, qualcosa che riguarda, per esempio, l'identità di un popolo, la sua storia, e che anche ciò meriti qualche attenzione e qualche tutela? Non siamo stati, non siamo forse tutti d'accordo che la democrazia italiana non ha bisogno di nessun Giovanni Gentile in sedicesimo?


Esiste certo, poi, anche un ministro della Pubblica istruzione, il quale - si potrebbe credere - forse qualcosa c'entra con ciò che soprattutto i giovani italiani hanno per la mente, con i loro gusti e i loro valori, con i loro atteggiamenti, con il loro eventuale sentirsi più italiani e più americani. Ma sono alcuni decenni, ormai, che lì, nella Fortezza Bastiani di viale Trastevere, si muovono solo fantasmi. Da ultimo il fantasma della scuola politicamente corretta, ottenuta mischiando attentamente un quarto di sperimentazione, un quarto di «Novecento», un quarto di attività extracurricolari e un quarto di «diritti e doveri delle studentesse e degli studenti».


Il problema della nazionalità delle une e degli altri non è problema destinato, in questa scuola, a suscitare un qualche visibile interesse. Come del resto non sembra suscitare l'interesse di nessun altro, per esempio di quelli che si è soliti chiamare gli intellettuali. Sventato così ogni pericolo di condizionamento dall'alto, di richiami a un vieto nazionalismo, di anacronistici pedagogismi autoritari, gli italiani, giovani e meno giovani, possono finalmente essere liberi. Liberi di abbracciare ogni idiozia di moda, di amplificare parossisticamente ogni rito e ogni mito che si presenti con il colore dell'esotico e che, naturalmente, porti un nome inglese.


Liberi di non leggere neppure un libro all'anno, come fanno, di essere sottoposti alla più alta quantità di televisione pro capite e, infine, come è giusto, liberi di rimanere affascinati in un sempre maggior numero (da questo punto di vista il successo di massa di Halloween è davvero simbolico) da streghe, santoni, fatture, culti satanici e altri consimili rappresentanti e cerimonie della dea Ragione. Diciamo la verità, oggi, in Europa, liberi e moderni come noi italiani quanti ce ne sono?


 


Il successo di Halloween è una sfida del secolarismo consumista


Prendi una festa cristiana, rubale il senso e il gioco (sporco) è fatto


di Umberto Folena


 


Prego, don Giovanni Gusmini, si accomodi. Le cediamo volentieri questo spazio. L'articolo lo scriva pure lei, perché noi meglio non potremmo fare. Meglio di lei, don Giovanni, parroco di Selvino, val Seriana, provincia di Bergamo. Esasperato dall'overdose di Halloween, don Giovanni ha scritto che… Ma procediamo con ordine.

Selvino da tre anni è la capitale di Halloween. Centinaia di turisti, manifestazioni a iosa, tre giorni di carnevalata celtica. Direte: che male c'è? Possibile che i cattolici non siano mai contenti di nulla e abbiano sempre da lamentarsi di qualcosa? Possibile che con tutti i problemi ben più seri, dalla fame alla guerra, perdano tempo con un'innocua festicciola che fa tanto divertire i bambini? E fatturando la bazzecola di 260 milioni di euro fa compiere un balzo al Pil? Le scriviamo tutte subito, le controdeduzioni di rito che ci pioveranno in capo stamattina, tanto prevedibili quanto zuppe, loro sì, di moralismo demagogico. In realtà don Giovanni, nel volantino distribuito a messa domenica scorsa, si dimostra un acuto, profondo analista, lui sì senza fette di bresaola sugli occhi. E allora diamogli tutto lo spazio che merita. Don Giovanni, prego si accomodi.


«Dal momento che il nostro paese è diventato largamente famoso per essere teatro di una delle più note feste di Halloween - scrive il nostro valoroso don - penso sia doveroso illustrare alla gente di cosa effettivamente si tratti. E ciò senza nascondere la preoccupazione che una delle più care feste della tradizione cristiana, dedicata alla meditazione nel senso cristiano della morte e della vita eterna, si sia ormai radicalmente trasformata in un carnevale di mostri e fantasmi (…). Il cristianesimo aveva cercato di dare un senso alla morte e alla vita eterna che riflettesse la luce della morte e della resurrezione di Gesù. Oggi pare in atto un processo che sta percorrendo lo stesso sentiero in una direzione esattamente opposta: nel giorno in cui dobbiamo pensare nel silenzio della preghiera alle anime dei nostri cari, popoliamo invece le nostre vie di spettri che invocano fracasso e oscurità».

Don Giovanni Gusmini, con la saggezza del pastore che vive accanto alla sua gente, dentro la storia, dentro i tempi, e non in un salotto laical-chic, ha capito il gioco vero, il gioco profondo, il gioco sporco del secolarismo. Togli a un popolo i suoi simboli svuotandoli di significato, e lo avrai in pugno. Poiché lo scopo della consumerist society è ridurre tutto a consumo, e l'unico suo valore è il denaro, spremiamo Ognissanti trasformandolo in una carnevalata-bis. Così quel poco di sacro e pietoso (da pietas) che ancora riempie i cuori degli italiani, conservandoli persone pensanti e non consumatori burattini, a poco a poco potrebbe finalmente svanire.

Se il vicesindaco di Selvino casca dal pero e si mostra assai contrariato, va capito: lui conta le palanche, i dané, non ha certo tempo per inezie come i sentimenti e la religione, i valori e la tradizione. Ah, questa Chiesa che con le sue ossessioni impoverisce la comunità! Intanto però qualche segnale di rinsavimento giunge, e non solo da qualche parroco assennato. Il cimitero del Villaggio Operaio di Crespi d'Adda - sempre nel Bergamasco - da anni per Halloween viene preso d'assalto da satanisti giocherelloni e altri curiosi in cerca di emozioni forti. Bambinate su cui sorvolare? Non esattamente, se la polizia comunale ha deciso di presidiare dalle 22 alle 5 il cimitero. Che l'Unesco ha dichiarato Patrimonio dell'Umanità. Ecco, a noi pare che in gioco ci sia per l'appunto l'umanità.



Eccoci, ci risiamo con Halloween e con le considerazioni che l’accompagnano.


Gli americani hanno questa loro festa che, partendo dalla macabra ritualità di Samhain, mescola alcune tradizioni irlandesi, qualche scheggia culturale raccattata  qua e là e la pretestuosa voglia di divertirsi, fin sopra le righe. 


Quello che più sconcerta e irrita è la raffinata campagna pubblicitaria che in Italia, da alcuni anni a questa parte (con la complicità del mondo scolastico volente o meno), si è insinuata dovunque (anche nelle vetrine più “sciccose” occhieggiano zucche e cappelli da strega) facendo leva sull’immaginario collettivo per imporre dall’alto questa ricorrenza che non appartiene alle nostre tradizioni culturali.


Si è avviato un perverso meccanismo pubblicitario  per generare il bisogno di fare cose macabre e zuccherose il 31 ottobre, sulla scia della colonizzazione di film e telefilm americani, cominciando nello stesso tempo a spargere la voce che tutti ne avrebbero fatte (di queste cose) e, soprattutto, che tutti si sarebbero aspettati che ogni singola persona ne avrebbe fatte, in un processo osmotico delirante.


La società consumistica ha necessità che si creino sempre nuovi consumi, pena la sua estinzione (che peraltro non avverrà in questo modo) e dunque questa festa capita a proposito. La sua fabbricazione artificiale è da manuale, facilitata da una popolazione di tv-dipendenti, però ultimi per uso del Web e lettura di libri e giornali (percentuali da brividi queste ultime).


Tra l’altro, osservo come tutti questi riti e questi gesti si siano sovrapposti, scolorendole, a quelle che un tempo neppure troppo lontano erano specificità del carnevale (il nostro carnevale), una celebrazione che, a parte le enclave dove rappresenta una rilevante risorsa turistica, ha perduto col passare degli anni il senso gioioso e spensierato, coinvolgendo sempre meno la popolazione. Col paradossale risultato finale, non certo esaltante, che pur avendo in casa una festa in cui poterci travestire e celebrare la fugacità delle nostre esistenze (chi vuol esser lieto, sia:di doman non c'è certezza), l'abbiamo fatta declinare illudendoci che la nostra presunta  società evoluta e globalizzata non avesse più bisogno, almeno ufficialmente, di maschere, per poi recuperare, esaltandole, altre maschere quali scheletri, streghe e zucche che non avrebbero titolo di appartenere alla nostra storia.  


I due pezzi che ho trovato si prestano, poi, ad ulteriori considerazioni.


Il primo è un classico, nel senso che anche l’anno scorso l’avevo postato. Si tratta di un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera il 2 novembre 1998 scritto con lungimiranza. Il secondo è, invece, un commento, che mi trova sorprendentemente d’accordo, anche se per motivi diversi, nello stigmatizzare questo rito, pubblicato su Avvenire, quotidiano cattolico, il 31 ottobre 2006. 


 

lunedì 30 ottobre 2006

Donna Stupidità


L'intervista.


La Gardini: "È stato terribile


È un maschio, vada nel bagno dei maschi"


"Mi sono sentita stuprata


dovrebbe farsi operare"


di ANTONELLO CAPORALE


 


"AVEVO appena aperto la porta, e oddio..."


Oddio cosa?


"Vedo quello lì che esce dal bagno".


No!


"Sìììììì, guardi è stato terribile. Mi sono sentita mancare".


Mancare quanto?


"Sfibrata"


Addirittura sfibrata.


"Violentata".


Violentata?


"Stuprata. Ecco, stuprata".


Sono le quattro del pomeriggio ed Elisabetta Gardini seduta su una panca nel cortile di Montecitorio sta raccontando l'evento. I toni sono decisamente alterati e purtroppo gli sguardi dei vicini tutti per noi.


Onorevole, adesso deve rilassarsi.


"Mi avevano detto che i problemi con l'onorevole Guadagno...".


... Vladimir Luxuria.


"Io lo chiamo come lo chiama il presidente della Camera: onorevole Guadagno Vladimiro".


Calma, lo chiami pure come crede.


"Dio, Dio!".


Bisogna mantenere i nervi saldi in momenti delicati come questi.


"Ero convinta che avessero trovato una soluzione".


Quale soluzione?


"Ma che ne so! Mi dicono che in alcune palestre hanno messo i bagni per quelli come lui. Questo Palazzo è pieno di bagni, gliene trovino uno per lui".


La percezione che Luxuria ha del proprio corpo è tutta femminile.


"Si faccia tagliare il pisello. Se lo tagli e allora venga pure nel bagno delle donne. Perché non lo fa?".


Onorevole Gardini.


"Ta-glia-te-looooo!".


È un po' imbarazzante parlare con lei.


"E' stata una cosa schifosa. Fisiologica, non psicologica".


Promette che non se la prende?


"Prometto".


Sembra isterica.


"Disgustata. Ho avuto persino delle difficoltà di ordine fisico a trattenermi in quel bagno".


Vabbè.


"Sono grintosa, ecco".


E poi dicono che il suo cattivo carattere porti Silvio Berlusconi a immaginare per la sua collega Mara Carfagna, più silente ed accomodante, il ruolo di portavoce di Forza Italia che oggi è invece suo.


"Io e Mara siamo amiche".


Amiche amiche?.


"Chi lo dice?"


Alla Camera gira questa voce. Sarà spuntata dal solito covo di serpi.


"Covo di serpi, sì".


Purtroppo.


"Sono gli uomini che vogliono metterci l'una contro l'altra. Questo fanno: aizzano e aspettano che ci scanniamo".


Anche se le può apparire ingiurioso, si aggiunge dell'altro. E cioè che la sua scenata sia un tentativo di far dimenticare la magra figura rimediata al microfono delle Iene.


"Cosa?".


Cos'è la Consob? Ricorda? Non rispose.


"Ma se è stato Guadagno a provocare tutto questo can can! Un’alluvione (n.d.r. l’apostrofo l’ho aggiunto io e non per civetteria) di dichiarazioni, di prese di posizioni, di telefonate. Ancora non riesco a terminare la lettera di protesta che voglio inviare ai deputati questori. Già lo so, i giornali scriveranno a suo favore. Voi giornalisti siete moderni, noi della destra i retrogradi e i razzisti".


Lei si è appunto augurata un busto ortopedico che tenesse dritta la schiena dei giornalisti.


"Non nego che l'immagine sia stata un po' forte".


Ce ne fosse gente con la sua grinta!


"Però voi dovete essere più obiettivi. Lui è maschio? Vada nel bagno dei maschi!".


Vabbè.


"Sono piena di passione per questo lavoro. La politica mi prende tutta".


Si vede.


"Sono spigolosa".


Donna di carattere.


"Forte".


Anche molto corteggiata.


"Sempre tantissimo in vita mia. Ieri come oggi".


Ora però prevalentemente tra i colleghi del centrodestra.


"No, anche quelli del centrosinistra sono galanti".


La sua grinta un po' li mette in soggezione. Si nota che tengono una prudente distanza.


"In effetti è una cosa appena accennata".


Ecco.


"E questo Volontè che dice: "Dio ha fatto l'uomo, la donna e altro". Altro che, secondo lei?".


Non saprei più.


"Altro cos'è? E perché nel bagno delle donne?".


 


repubblica.it (28 ottobre 2006)


 


Non a caso colloco questo post dopo il precedente, proprio per evidenziare il contrasto. Altro non aggiungo. Sarebbero solo espressioni da carrettiere, non propriamente il mio genere.


 

venerdì 27 ottobre 2006

Le violentate


C’è un’altra interessante rubrica su “l’Unità” che s’intitola: “Fronte del video”, curata quotidianamente da Maria Novella Oppo la quale così scriveva il 24 ottobre scorso.


Emergenza stupri


“La tv non dice tutta la verità, ma la imita piuttosto bene e negli ultimi giorni ci ha mostrato alcune incredibili gaffe di politici. Anzitutto il russo Putin ha elogiato le performance del presidente israeliano nel campo della violenza contro le donne. Certo, scherzava e credeva di non essere registrato, ma si rivolgeva agli altri politici presenti, coi quali intendeva creare un simpatico clima da caserma. I tg ci hanno mostrato poi il gesto disinvolto dello spagnolo Aznar, che ha infilato una penna nella scollatura di una giornalista, senza degnarla di una risposta. E infine c´è il caso di Bossi, che sul palco di Vicenza ha dato sfogo al maschilismo di sempre, ma in maniera ormai così patetica, che la tv lo ha oscurato più per pietà nei suoi confronti che per riguardo verso le donne. In conclusione, questi tre eminenti politici non hanno vergogna di mostrarsi così scandalosamente antifemministi. E, se questo è il clima, non è strano che ci sia una emergenza stupri, di cui la tv è uno specchio e lo speciale di Diario un documentato atto d´accusa”.


Impeccabile e ovviamente condivisibile in pieno. Quanto allo speciale di “Diario” mi sento di consigliarlo con piacere. Lo si trova ancora in edicola, essendo un bimestrale. Anche “L’espresso” n°42 si occupa dell’odioso crimine con un interessante reportage. Ne traggo alcune parti, poi la versione integrale la posterò qui, pur riportando il link.


“Silvia Mantovani un colpo era riuscita a pararlo, col palmo della mano. Aveva anche cercato di buttarsi verso il lato del passeggero, ma era stata incastrata dalla cintura di sicurezza che diligentemente indossava. All'assassino aveva infatti abbassato il finestrino, lato guida. Perché l'assassino lo conosceva. Si chiama Aldo Cagna, 28 anni, suo coetaneo, ed era, fino a quattro anni prima, il suo fidanzato. Lo aveva anche denunciato per lesioni, in passato, perché l'aveva picchiata durante una festa. Quella sera, la sera del 12 settembre, l'ultima sera per Silvia, lui l'aspetta all'uscita della Columbus di Martorano (Parma) dove la ragazza lavora per mantenersi gli studi in medicina. Silvia entra nella sua Dedra grigia, lui la rincorre con la sua Panda, la sperona, la costringe a fermarsi. Scende si avvicina, Silvia abbassa il finestrino come per dirgli di farla finita... Dieci colpi di coltello tra volto e torace, uno mortale al cuore. Una furia che si placa solo quando il corpo di lei si affloscia. Aldo fugge, vaga nella campagna finché lo trova la polizia.


Stella Palermo, 25 anni, di Albenga (Savona) si sentiva sicura nella sua casa in zona residenziale. C'era anche la mamma la sera del 4 luglio scorso quando Fabio D'Errico, 32 anni, contitolare di una piccola azienda di riparazioni di computer, si è presentato per l'ennesimo "chiarimento". I familiari di lei lo avevano diffidato dall'avvicinarsi, gli avevano chiesto di stare alla larga: facilmente trascende durante i litigi. Ed ecco l'ultima discussione, lui che prende il taglierino e, sotto gli occhi della madre, colpisce Stella a ripetizione al collo, prima di fuggire. Lo troveranno a Torino vicino alla casa del padre.


Norma Rado Mazzotti, 63 anni, stava spiegando a Primo Destro, 68 anni, che non ne voleva più sapere di lui, domenica 8 ottobre. Stavano in macchina nella campagna di Massanzago (Padova). Non c'era ragione che Primo volesse sentire: ha estratto un coltello, l'ha colpita, solo ferita. Lei perdeva sangue, ma riusciva a correre. Lui è sceso, l'ha raggiunta e ha affondato l'arma per 20 volte. Ha gettato il coltello nel torrente Muson. Ha guidato fino alla stazione dei carabinieri, si è pettinato i capelli bianchi e al militare in guardiola ha detto: "Ho ammazzato una donna. Volevo suicidarmi, ma lei si è messa a gridare e ho perso la testa".


Ancora con la cronaca.


Ha 10 anni, violentata in un ristorante


La piccola era a pranzo con i genitori. Arrestato un cameriere di Cagliari


Secondo l’accusa emersa da mesi di indagini, il cameriere di un ristorante di Cagliari avrebbe sottoposto a violenze sessuali una bambina di 10 anni nel giardino del locale, forse mentre gli stessi genitori erano a tavola. L’uomo è stato arrestato dagli agenti della mobile con l’accusa di violenza sessuale aggravata ai danni di un minore, si tratta di Roberto Meloni ora agli arresti domiciliari.

 La vicenda è coperta da stretto riserbo anche per l’indispensabile tutela della piccola coinvolta. Le indagini sono cominciate in agosto: la bambina, secondo quanto trapela dalla questura cagliaritana, non avrebbe raccontato subito dell’accaduto ai genitori, ma a un’amichetta. Dall’amica la vicenda è arrivata alle orecchie dei genitori di lei i quali hanno ritenuto di informare il papà e la mamma della piccola che certo non parlava con facilità di quanto le era accaduto.

(24 ottobre 2006)
 



I drammi consumati fra le mura domestiche e finiti in Tribunale.


Un croupier accusato di aver stuprato la convivente


Violenza sessuale, nonno patteggia


Le nipotine lo hanno denunciato 10 anni dopo gli abusi


 Storie di ordinaria violenza sessuale, troppo spesso tra le mura domestiche: un «nonno» acquisito che patteggia la pena per aver più volte molestato le due nipotine della moglie quando non avevano neppure 10 anni; lo zio che abusa in ogni modo per mesi del nipote minorato (anche lui finendo per patteggiare la condanna); un giovane uomo accusato di aver violentato l’amante dopo un litigio e per questo rinviato a giudizio. Tre vicende brutali che ieri si sono susseguite in un giorno qualsiasi di lavoro davanti ai giudici per le udienze preliminari del Tribunale.


(20 ottobre 2006)


 


L’aggressore, con precedenti per droga e atti osceni, subito rintracciato dai carabinieri


Tenta lo stupro in pieno centro storico, arrestato


La vittima, un’universitaria del Chietino, è riuscita a richiamare gente gridando


Ha rischiato di essere violentata in pieno centro, quasi a mezzogiorno. Il suo aggressore è stato subito messo in fuga dall’accorrere dei passanti, richiamati dalle urla della vittima, e arrestato poco dopo dai carabinieri.


L’aggressore è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine: Massimo Di Felice, 39 anni, divorziato, nullafacente, con precedenti - era finito anche in carcere - per droga e atti osceni. Di Felice, intorno alle 11.50 di ieri, ha adocchiato l’universitaria, una ragazza di 20 anni, che camminava in corso Cerulli. All’imbocco di via Antica Cattedrale, la stradina medievale che dal corso porta in piazza Sant’Anna, l’ha trascinata di peso nella rientranza di un portone e ha cominciato a palpeggiarla sui seni e sul pube, tenendola ferma a forza. La ragazza, sconvolta, non è riuscita a gridare aiuto per alcuni, lunghissimi secondi. Quando c’è riuscita, alcune persone sono andate a vedere cosa stava succedendo e Di Felice è scappato di corsa.


(18 ottobre 2006)


 


Questo, poi, è l’estratto di un’intervista di Chiara Valentini allo psicoanalista Umberto Galimberti, uno dei pochi rimasti a scrivere cose intelligenti. Anche l’intera intervista l’ho editata qui.


Eppure non si è mai parlato tanto come in questi anni di parità fra uomini e donne, di condivisione. Tutte parole al vento?


"Non si tiene abbastanza conto della disumanizzazione che l'età della tecnica ha portato nel mondo del lavoro. C'è un'accelerazione sempre più forte verso regole di efficienza spasmodica, di competitività che chiedono alle persone di soffocare ogni emozione, di comprimere se stesse, di essere anaffettive e produttive in ogni istante della vita lavorativa. Ma questo provoca una scissione radicale nei confronti del privato, della vita familiare. Se fuori puoi essere solo perfetto e controllato, è a casa, è nei rapporti con la tua compagna che scarichi rabbie e frustrazioni. La famiglia diventa il luogo della massima violenza, la cloaca delle emozioni trattenute. Gli appartamenti sono luoghi appartati, dove può succedere qualunque cosa. Come raccontano le cronache".


Però anche le donne, negli ultimi trent'anni, sono entrate in massa nel mondo del lavoro. Perché allora sono quasi solo gli uomini a esercitare la violenza?

"Sono convinto che le più grandi rivoluzioni della storia hanno a che fare l'emancipazione femminile. D'altra parte la donna era tenuta sottomessa da sempre proprio perché se ne temeva il potere. Ma anche le donne di oggi, se si esclude l'élite di quelle in carriera che imitano modelli maschili, mi sembrano molto meno integrate dei maschi, capaci di esprimere ancora se stesse, le proprie complessità. E questo spaventa in modo crescente gli uomini".


Dietro questa aggressività, che almeno in Italia si comincia ad analizzare solo adesso, si può immaginare anche la paura dei maschi per le nuove libertà femminili?

"Non credo che questa libertà sia ancora pienamente acquisita, almeno sul piano della psiche. Ma gli uomini lo pensano, avvertono che stanno perdendo quella situazione tranquillizzante che era il possesso. Non possono più dire 'la mia donna' con quel tono speciale, non possono impedirle di andarsene per il mondo, di incontrare tanti altri uomini, tanti potenziali rivali che lo fanno sentire precario. Lo spiega bene Proust, quando ne 'La prigioniera' dice che avere a disposizione Albertine in casa non gli dà particolari gioie, se non quella di sottrarla agli altri".


Come gli ultimi episodi di cronaca riportati e anche un recente sondaggio realizzato da Telefono Rosa conferma, la violenza sessuale avviene in massima parte tra le mura domestiche. Gli unici a non essersene ancora accorti sono i cattolici e le loro guide che straparlano di famiglia e dell’attentato che, a quest’istituzione, deriverebbe dai Pacs. Galimberti è chiarissimo, le cifre e le conclusioni del sondaggio illuminanti. Ci tornerò ancora sull’argomento, proprio esaminato sotto l’ottica “familiare”. Ma quanto scritto è già ampiamente sufficiente.


La notizia positiva in coda, non a caso. Come riferiva repubblica.it il 23 ottobre, è stato messo a punto da Barbara Pollastrini, ministro per le Pari opportunità, un disegno di legge che, stando alle indiscrezioni, conterrà un inasprimento delle pene per i reati a sfondo sessuale, con un innalzamento delle pene minime per lo stupro e la soppressione, nei casi più gravi, delle attenuanti generiche in modo che la concessione delle stesse non riduca drasticamente il periodo di reclusione. Verranno inoltre introdotti nel codice penale i reati di molestie e minacce persecutorie (il cosiddetto stalking)”. Quest’ultima circostanza mi pare meritevole di essere sottolineata, perché coglie una tendenza, purtroppo sempre più diffusa, subita e neppure ritenuta una colpa da una parte dell’universo maschile, quello che dà voce alla pancia e non alla testa.


 


Fonti: La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, il Centro. L’espresso, repubblica.it


Riferimento grafico


 

lunedì 23 ottobre 2006

Il talento dell'ignoranza


Non stupiscono i consensi in caduta libera del governo Prodi. Secondo un recente sondaggio Ipr Martketing per Repubblica.it la fiducia nell'esecutivo è scesa  dal 63% al 45%, nel periodo che va da luglio a ottobre. Pochi mesi sono stati sufficienti per registrare un calo anche di credibilità. Magari era pure messa in conto la fine dell'idillio, certo però non in queste proporzioni. A determinarla anche una Finanziaria piuttosto pasticciata e pasticciona, priva soprattutto di un progetto ben definito e che, come molte leggi, nasconde tra le pieghe aspetti inquietanti e preoccupanti.


Ecco, per esempio, cosa scrive "il manifesto" (17 ottobre) sul capitolo scuola.



Assalto alla scuola

La finanziaria prevede tagli all'istruzione per 4,5 miliardi e 50.000 posti. I tecnici della Camera: la sentenza Ue sulla detraibilità Iva delle auto aziendali la farà salire a 40 miliardi

Francesco Piccioni



Il diavolo si nasconde nei dettagli. E proprio andando a spulciare nei meandri della «Relazione tecnica» che accompagna la legge finanziaria per il 2007 si scoprono alcuni dei (molti) rovesciamenti di segno tra annunci pubblici del governo e atti concreti. E si scopre che il Prodi «europeo» - quello che si fa intervistare da Repubblica al termine del vertice con Zapatero - è decisamente più sincero del Prodi «italiano», che quotidianamente ci tranquillizza con le sue dichiarazioni al cloroformio.

«Non abbiamo dato niente ai sindacati» - spiegava dalla Spagna - «onestamente, i più favoriti dal progetto di legge di bilancio sono la Confindustria, gli imprenditori». C'è poco da aggiungere: è proprio così. Ne avevamo avuto qualcosa più di un sospetto quando abbiamo titolato «Presi per il cuneo», ma è dalla «relazione tecnica» che arriva la conferma più clamorosa. Per la scuola si prevede un taglio degli organici di quasi 50.000 posti in tre anni, per un risparmio complessivo di circa 4,5 miliardi di euro.

Il lavorio di forbici previsto è complesso. Si parte dall'innalzamento dello 0,4% medio nel «rapporto alunni/classi». In pratica si punta ad aumentare il numero degli alunni presenti in ciascuna classe, con punte più elevate nelle elementari e nelle medie superiori. Tenuto conto che negli istituti superiori le prime classi sono già intorno alla media dei 30 ragazzi, si può immaginare cosa può accadere. Da questa «pensata» dovrebbero risultare in «esubero» 7.682 classi, per un totale di 19.032 insegnanti e 7.050 non docenti «risparmiati» (sono definiti proprio così).

Si prevede - ma non viene naturalmente messo nero su bianco - un peggioramento drastico della didattica. I 185.000 ripetenti annui sono sembrati decisamente troppi e «antieconomici»: si prevede di ridurli di un 10%. E come? Non certo tramite l'individualizzazione dell'insegnamento», visto che si deve peggiorare il rapporto docenti/alunni. Si dovrà perciò «promuovere di più», a prescindere dalla qualità della preparazione, per poter raggiungere il target di soli 166mila ripetenti. Inutile dire che una simile manovra cozza frontalmente contro la sbandierata necessità di accrescere lo standard medio di preparazione degli studenti italiani.

Nella stessa direzione vanno la riduzione delle ore di lezione nei professionali, quella degli insegnanti di inglese nella scuola primaria, la «riconversione» (industriale?) degli insegnanti «soprannumerari» e di quelli «di sostegno» (per «diversamente abili» e «casi difficili»).

La ratio è esclusivamente economica: sfoltire i ranghi per ridurre i costi. Anche il ringiovanimento della classe docente, tramite l'inserimento in ruolo di 150.000 precari - uno degli annunci che avevano sollevato più entusiasmo nei sindacati - si muove nella stessa direzione: i giovani costano meno degli anziani. Tra l'altro, fatti due conti, i neoassunti potrebbero essere soltanto la metà, perché il governo prevede che nei prossimi tre anni andranno in pensione rispettivamente 23, 24 e 27mila docenti. Come sia conciliabile questa «cura dimagrante» con l'innalzamento dell'obbligo scolastico ai sedici anni resta un mistero. Di certo c'è solo che anche l'entità delle assunzioni sarà «da verificare annualmente, di intesa col ministero dell'Economia». Ossia col placet di Tommaso Padoa Schioppa"...



Non certo esaltante per quegli insegnanti che credono nella scuola, nel suo valore formativo. che non appartengono alla categoria dei "fannulloni" come indica Pietro Ichino sul Corsera e che si troveranno alle prese con casi di coscienza, annegati nel disorientamento e nello sconforto. D'altra parte c'è coerenza nel progetto che si profila: il trionfo dell'ignoranza, valore assoluto, come riecheggia nell'idiota tam tam televisivo. Con buona pace di tutti.




martedì 17 ottobre 2006

L'assedio


La decisione adottata dal comitato per l'ordine pubblico di Caserta

Le minacce al giornalista in seguito al suo libro best seller "Gomorra"


Camorra, attivate misure di sicurezza allo scrittore Roberto Saviano



CASERTA - Il comitato provinciale per l'ordine pubblico di Caserta ha dato il via libera all'adozione urgente di misure di protezione nei confronti del giornalista Roberto Saviano, autore del libro "Gomorra", romanzo inchiesta sulla malavita campana con il quale ha ottenuto il premio 'Viareggio'.


Lo scrittore, recentemente, è oggetto di pressanti minacce dalla camorra. In particolare esponenti di primo piano dei clan campani come Michele Zagaria, Antonio Iovine e Francesco Schiavone (più conosciuto con il soprannome di Sandokan) hanno mal tollerato il successo di "Gomorra", che ha imposto i loro traffici all'attenzione nazionale.


A denunciare i rischi corsi da Saviano era stato nei giorni scorsi l'Espresso, con cui il giornalista-scrittore collabora, rivelando come la camorra si è infuriata anche per "la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, nella Casal di Principe che negli anni '90 aveva il record di omicidi".


repubblica.it  16 ottobre 2006


 


Quello che più spaventa, in questa sconcertante e triste vicenda, è l’isolamento ambientale puntualmente scattato con i commercianti (spero non tutti) che hanno pregato, o forse “consigliato” Saviano, di non recarsi più a fare spesa nei loro negozi. Così costoro, oltre ad essere una categoria ad alta densità di evasione fiscale, si ritrovano pure carenti di spirito civico. E anche vigliacchi. Tocca a Roberto Saviano ciò che anche altri coraggiosi italiani, che non abbassano la testa e che non piegano la schiena, si sono trovati a subire. Molti hanno pure pagato un prezzo altissimo per questa scelta.


Adesso lo Stato latitante, più degli inafferrabili boss mafiosi, garantisce protezione al giornalista-scrittore. Ma può definirsi civile e normale un Paese in cui le zone d’ombra si espandono sempre di più, mentre i misteri s’infittiscono e i mandanti degli omicidi (un anno fa Fortugno) restano impuniti, perché sconosciuti e irraggiungibili?


Per quello che può contare: massima solidarietà a Roberto Saviano.


Ecco, infine, come inizia il suo libro-denuncia, accuratissimo e intenso. È già un pugno nello stomaco fin dalle prime righe.





Il porto




“Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. Come se stesse galleggiando nell’aria, lo sprider, il meccanismo che aggancia il container alla gru, non riusciva a domare il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e iniziarono a piovere decine di corpi. Sembravano manichini. Ma a terra le teste si spaccavano come fossero crani veri. Ed erano crani. Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l’uno sull’altro. In fila, stipati come aringhe in scatola. Erano i cinesi che non muoiono mai. Gli eterni che si passano i documenti l’uno con l’altro. Ecco dove erano finiti. I corpi che le fantasie più spinte immaginavano cucinati nei ristoranti, sotterrati negli orti d’intorno alle fabbriche, gettati nella bocca del Vesuvio. Erano lì. Ne cadevano a decine dal container, con il nome appuntato su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo. Avevano tutti messo da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano trattenere una percentuale dal salario, in cambio avevano garantito un viaggio di ritorno, una volta morti. Uno spazio in un container e un buco in qualche pezzo di terra cinese. Quando il gruista del porto mi raccontò la cosa, si mise le mani in faccia e continuava a guardarmi attraverso lo spazio tra le dita. Come se quella maschera di mani gli concedesse più coraggio per raccontare Aveva visto cadere corpi e non aveva avuto bisogno neanche di lanciare l’allarme, di avvertire qualcuno. Aveva soltanto fatto toccare terra al container, e decine di persone comparse dal nulla avevano rimesso dentro tutti e con una pompa ripulito i resti. Era così che andavano le cose. Non riusciva ancora a crederci, sperava fosse un’allucinazione dovuta agli eccessivi straordinari. Chiuse le dita coprendosi completamente il volto e continuò a parlare piagnucolando, ma non riuscivo più a capirlo”.


Roberto Saviano “Gomorra”, Mondadori 2006 (pagg. 11 e 12).


 


giovedì 12 ottobre 2006

Marcuse: l'ultima intervista


Ogni promessa è debito e così ecco l’intervista a Marcuse che avevo preannunciato. Non so se l’osservazione appartenga al rimpianto per il passato, ma mi pare che molti anni fa le pagine culturali (e non solo) de “la Repubblica” fossero più ricche nell’austero bianco e nero, con scarso uso delle foto, rispetto a quelle odierne dove paillettes e lustrini, colore, banalità e gadget fanno tanto contenente e poco contenuto. Non sempre, s’intende.


 


L'ultima intervista rilasciata dal filosofo in Germania qualche giorno prima della morte


"Non dite di no alla poesia”


di JEAN MARABINI


 


MONACO — «In un mondo che è caduto nel prosaico, bi­sogna prima di tutto reintrodurre la dimensione estetica», dice Marcuse sorridendo. Siamo a Monaco seduti al tavolo di una birreria, qualche giorno prima della morte del filosofo. Marcuse è molto stanco per il cambiamento di fuso orario tra Los Angeles e l'Europa. È venu­to qui per battersi, ancora una volta, per la scarcera­zione di Rudolph Bahro, il contestatore della Germania orientale attualmente in pri­gione. Qualche settimana fa Marcuse ha preso la parola - io gli ero vicino - a San Diego, in California, nel cor­so di una grande riunione di studenti per appoggiare gli immigranti messicani che vo­gliono ottenere il rispetto dei loro diritti ignorati dalle mi­lizie sudiste: le quali hanno rimpiazzato il razzismo anti-indiano, antisemita, antinero, con l’ultimo razzismo di attualità nel palese di Lincoln, il razzismo antichicanos.


Guardo Marcuse bere il suo whisky della sera, fumare (troppo) i suoi eterni sigari e mi chiedo se questo vecchio clarmeur dall’eleganza innata, diritto, perfettamente a  suo agio, questo erede di Marx e di Freud, considerato a torto in Francia come un incendiario della società dei con­sumi, pensionato o come un reduce del '68, mi chiedo dunque se l'ultimo dei grandi filosofi tedeschi del diciannovesimo e del ventesimo secolo potrà ancora apparire agli occhi dei giovani dell’anno 2000 come una specie di profeta ispirato, un Voltaire moderno, un Trotsky che prepara la sua rivoluzione permanente. Sempre pronto a volare in aiuto di qualsiasi Calas, ovunque si trovi, in Sudafrica come in Urss...


È ancora marxista?


«Più che mai» risponde «così come sono sempre al­lievo di Freud e di Hegel. Soltanto, bisogna capirsi. Non credo a un crollo prossimo venturo del capitalismo. Pen­so, con l'esperienza formidabile, multiforme e molteplice che viviamo in questo seco­lo, che il capitalismo comin­ci solo ora ad esplorare le sue nuove possibilità nell’America del Sud, in Asia e in altri posti. E' ancora molto solido, anche se... (ride ancora, in modo quasi infantile) la maturità a volte può essere prossima alla decrepitez­za ».


E come va affrontata questa decrepitezza?


«Ritengo che il fenomeno essenziale della nostra epoca sia il fatto che il proletariato marxista è stato sostituito dalla classe media, dai pic­coli borghesi. I quali comin­ciano a ribellarsi dappertut­to contro i grandi monopoli che ormai li schiacciano, pro­prio come il vecchio capitale schiacciava il proletariato ai tempi di Marx. Siamo andati in giro insieme per le strade californiane nel maggio e giu­gno di quest'anno, e abbia­mo assistito alla rivolta dei consumatori contro i trust della benzina. È un fenome­no americano che Marx a modo suo aveva previsto, lui che diceva che negli Stati Uniti tutto si evolve molto rapidamente. Che gli Usa sono il luogo delle grandi rivoluzioni. Quello che aggiungo io è che la rivoluzione moderna consiste in questo: nella ri­volta degli uomini – in cui sono stati indotti dei bisogni - contro il fatto che non li si può più soddisfare. Non sarà facilissimo! ».


E qual è il senso, in tutto ciò, del suo libro sulla dimen­sione estetica?


«È l'eredità che lascio ai giovani di tutto il mondo al­le soglie degli anni terribili che si annunciano. I giovani devono capire (e in America hanno già cominciato a farlo) che bisogna recuperare al più presto i valori estetici che sono stati distrutti, da destra e da sinistra, dal mar­xismo "sovietico" e dal "fascismo". Non è vero che si debbano respingere, a favore di una violenza astratta e feroce, l'amore del mondo e la visione poetica, lirica del mondo, etichettandoli come arte e cultura e spirito dei "reazionari". È un'aberra­zione. Se si è arrivati a questo punto, è perché da un se­colo si è dimenticata la dimensione estetica, la sola che possa assicurare la rivoluzione del ventesimo secolo. La sola che possa galvanizza­re un mondo avido di pensa­re, di amare, di ammirare, e che per taluni è deludente so­lo perché sono stati loro sot­tratti i mezzi per goderla».


la Repubblica 5-6 agosto 1979


martedì 10 ottobre 2006

Aggiungi un posto a tavola


Occorre confessare che si sentiva proprio la mancanza di un altro Stato folle che ama giocare al “piccolo chimico”: benvenuta nel club atomico Corea del Nord. Riceverai tutte le attenzioni del caso e anche i Grandi si accorgeranno che esisti. E se il cibo non basta (veramente non ce n’è proprio da quelle parti) cosa ci può esser di meglio che puntare un razzo fumante alla tempia di qualche sventurato vicino di casa (metti il Giappone per esempio), sempre chiedendo: “per favore ci date questo e poi quest’altro, ecco approfittiamo dei saldi stagionali per rifarci il look”.


Aggiungete un posto a tavola, signori, “fatece largo che arriviamo noi”. Lasciamo il missile fuori dalla porta, ci puliamo le scarpe sullo zerbino con la faccia di Bush, ci laviamo le mani (l’igiene innanzitutto, quando si maneggiano materiali nocivi) e poi scegliamo dal menu. Come, non siete contenti di vederci? In Iran saranno tutti chiacchiere e distintivo, ma noi non si scherza mica. E abbiamo appena cominciato, la fame è arretrata: vogliamo la nostra fetta di torta.


 


Stavo pulendo uno scaffale della mia biblioteca quando mi sono trovato tra le mani “L’uomo a una dimensione” di Herbert Marcuse. Alcuni fogli sono scivolati dalle pagine interne, reperti quasi archeologici: la pagina della cultura de “la Repubblica”. A quel tempo avevo l’abitudine di conservare all’interno dei libri articoli di giornale che ad essi si riferivano. In questo caso si trattava dell’ultima intervista realizzata al filosofo, tedesco di nascita, americano d’adozione, alcuni giorni prima della sua morte, avvenuta il 29 luglio 1979. La proporrò nei prossimi giorni, perché vi sono contenuti spunti interessanti. Qui invece riporto le prime due pagine della sua opera più famosa che mi sono sembrate molto attuali, come se fossero state scritte ieri, mentre il testo è del 1964.


 


L’uomo a una dimensione (Einaudi, Torino, 1967)

Introduzione

La paralisi della Critica: la società senza opposizione


 


“La minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo? Gli sforzi per prevenire una simile catastrofe pongono in ombra la ricerca delle sue cause potenziali nella società industriale contemporanea. Queste cause rimangono non identificate, non chiarite, non soggette ad attacchi del pubblico, poiché si trovano spinte in secondo piano dinanzi alla troppo ovvia minaccia dall’esterno - l’Ovest minacciato dall’Est, l’Est minacciato dall’Ovest. Egualmente ovvio è il bisogno di essere preparati, di vivere sull’orlo della guerra, di far fronte alla sfida. Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione, al perfezionamento dello spreco, ad essere educati per una difesa che deforma i difensori e ciò che essi difendono.


Se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo. La struttura della difesa rende la vita più facile ad un numero crescente di persone ed estende il dominio dell’uomo sulla natura; in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione.

E tuttavia questa società è, nell’insieme, irrazionale. La sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l’esistenza  - individuale, nazionale e internazionale.


Questa repressione, così differente da quella che caratterizzava gli stadi precedenti, meno sviluppati, della nostra società, opera oggi non da una posizione di immaturità naturale e tecnica, ma piuttosto da una posizione di forza. Le capacità (intellettuali e materiali) della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata. La nostra società si distingue in quanto sa domare le forze sociali centrifughe a mezzo della Tecnologia piuttosto che a mezzo del Terrore, sulla duplice base di una efficienza schiacciante e di un più elevato livello di vita.


Indagare quali sono le radici di questo sviluppo ed esaminare le loro alternative storiche rientra negli scopi di una teoria critica della società contemporanea, teoria che analizza la società alla luce delle capacità che essa usa o non usa, o di cui abusa, per migliorare la condizione umana. Ma quali sono i criteri di una critica del genere?


In essa hanno certamente parte dei giudizi di valore. Il modo vigente di organizzare una società è posto a confronto con altri modi possibili, che si ritiene offrano migliori opportunità per alleviare la lotta dell’uomo per l’esistenza; una specifica pratica storica è posta a confronto con le sue alternative storiche. Sin dall’inizio ogni teoria critica della società si trova così dinanzi al problema dell’obbiettività storica”..., (pagg.7 e 8).


 

lunedì 9 ottobre 2006

L'immondezzaio televisivo


È Claudio Cappon il direttore generale del servizio pubblico televisivo. A Venezia, nel corso della 58esima edizione del Prix Italia, 28 settembre scorso, si è esibito così.


«La Rai deve fare servizio di qualità, e questo significa investire per il miglioramento dei prodotti, nella formazione e nell’innovazione tecnologica».


«La Rai è in Europa l’azienda televisiva pubblica con il livello più alto di risorse commerciali. A tutto agosto, la raccolta pubblicitaria ha superato il 4% di incremento, andando oltre la media di mercato. Ma il 50% delle nostre risorse è rappresentato dal canone, a cui fanno capo tutti gli investimenti che riguardano il servizio pubblico, e che ora servono per adeguarci ai cambiamenti dello scenario televisivo. Il mancato aumento del canone 2005-2006 ci ha procurato una carenza annua di circa 70 milioni di euro, ma noi abbiamo una necessità fissata dal contratto di servizio. Un servizio che costa più di quanto siano le risorse pubbliche, e che noi integriamo con la raccolta pubblicitaria. Io dico che dovremmo piuttosto raddoppiare il canone e dimezzare la pubblicità».


Sollecitato sul problema dei bassi ascolti ottenuti da alcuni programmi, come “Miss Italia” o il reality “Wild West”, Cappon ha spiegato: «Credo sia presto per stabilire che il gusto del pubblico è irrimediabilmente cambiato. Però il dubbio c’è, di sicuro si registra un’erosione dei mercati un tempo protetti. Al momento dobbiamo impegnarci a fare buoni programmi, poi rifletteremo sul cambiamento strutturale».


Poi uno accende il televisore, un sabato sera, durante la cena e dal video (Blob) tracima il guano e un fetore mefitico si diffonde. La trasmissione di Rai Tre ha il merito di mostrare il meglio del peggio, secondo una graduatoria delirante. Così s’intrecciano una Simona Ventura che vorrebbe dare “mazzate” ad una signora anziana, tra l’eccitazione e le urla del pubblico, con il di lei ex marito che si fa palpare il culo da alcune assatanate convocate dalla kapò De Filippi. E mentre naufragano buon gusto e decenza, in un altro programma la telecamera inquadra dal basso, ovviamente, una sedicente “bonazza”, con le gambe accavallate che deve dar prova di stupidità estrema e inverosimile. Mentre il pubblico sghignazza e ride, certamente selezionato tra le persone più dementi. Poi vengono vomitati, bercianti, Sgarbi e la Mussolini, al ritmo di bip, pretestuosa foglia di fico a coprire le vergogne. Il linguaggio del peggior bar di Caracas è certo da educande, se confrontato ai disgustosi dialoghi che volano in quello studio televisivo. Non solo Rai, ma di tutto e di più.


 


 

venerdì 6 ottobre 2006

Cosa nostra o cosa loro?


Strepitosa puntata (con una riserva: la telefonata del capitano Ultimo lasciata in sospeso) di “Annozero” ieri sera, sia per la tensione civile e morale che per le testimonianze in studio, all’interno di un eccellente reportage realizzato dai giornalisti Stefano Bianchi e Alberto Nerazzini, già autori del discusso e fastidiosissimo (per le persone coinvolte) documentario “La mafia è bianca”.  


Prendendo spunto dalla fiction di pochi giorni prima su Giovanni Falcone, congelata a maggio dai vertici Rai, perché si era in periodo elettortale, decisione cervellotica e ridicola, si è tornati a parlare di Cosa nostra in tv, dopo un silenzio vergognoso e complice.


Ma sotto il brand “11 settembre” adesso tira più il generico “pericolo terrorismo”, che partorisce bufale senza soluzione di continuità e poi non tocca interessi concreti. Mentre la mafia è di una pervasità diabolica e perversa. D’altra parte, se si delega ad una fiction il compito di parlare di argomenti “scomodi” e imbarazzanti, siamo proprio messi male. Facendo intendere che ciò che viene rappresentato è pur sempre finzione, anche se racconta fatti realmente accaduti. È come voler mettere un filtro, anestetizzare le coscienze, confondendo idee e prospettive. Liquidando, infine, il fenomeno come parto di menti ossessionate e relegandolo ad una lontananza. Un’isola. La Sicilia. Cosa loro e non anche nostra.


 


In questo pezzo si ricostruisce una delle vicende raccontate ieri sera. Straziante la testimonianza dell’ex prefetto Sodano. Chi l’ha vista non dimenticherà tanto facilmente.


COPPA AMERICA/L’INCHIESTA DI TRAPANI


È cominciata la Mafia’s Cup


Un appalto conteso tra un’impresa statale e una dei boss. L’ex prefetto denuncia pressioni del sottosegretario


di Marco Lillo


L’espresso 8 dicembre 2005


 


Alla mafia quel prefetto proprio non piaceva. Il boss di Trapani, Ciccio Pace, lo dice chiaro al suo braccio destro nel 2001: «Il prefetto Sodano è tinto e se ne deve andare». Sodano era «tinto”, cattivo, perché osteggiava gli appetiti della mafia sulle forniture di calcestruzzo. Quattro anni dopo quell’intercettazione, giovedì 24 novembre, il boss Pace è stato arrestato insieme a cinque imprenditori dalla squadra Mobile di Trapani diretta da Giuseppe Linares. Nel frattempo, le imprese mafiose sono riuscite ad accaparrarsi una parte importante della colata di cemento per l’America’s Cup di vela e il prefetto Fulvio Sodano è stato trasferito. Non dalla mafia, ma dallo Stato. Cose che succedono a Trapani dove istituzioni, imprenditori e mafia si annusano e si frequentano. Qui la famiglia del numero due del Viminale, il sottosegretario Antoni D’Alì di Forza Italia, ha stipendiato fino al 1993 l’attuale numero due di Cosa nostra: Matteo Messina Denaro che, all’insaputa dei D’Alì, ha organizzato le stragi mafiose in quegli anni. Tanti anni dopo Antonio D’Alì, secondo alcune testimonianze qualificate, si sarebbe schierato dalla parte sbagliata nella difficile partita del cemento che si è giocata tra mafia e antimafia. Oggetto del contendere è stata ed è la Calcestruzzi Ericina, fino al 2000 controllata dal vecchio boss della città, Vincenzo Virga. Dopo l’arresto e la confisca, il fatturato della Calcestruzzi è crollato del 50 per cento. È un film già visto: appena l’impresa passa allo Stato gli imprenditori la abbandonano e la mafia gongola. Quando la cantina Kaggio di Corleone era controllata da Riina, per esempio, raccoglieva tutte le uve del circondano, ora i suoi silos sono pieni di piccioni e guano.


La mafia vive di simboli, lo sa Riina, ma lo sa anche il prefetto Sodano che nel 2001 lancia un appello agli imprenditori dell’Assindustria: rifornitevi dalla Calcestruzzi Ericina. Sembra facile. Per tutta risposta l’Assindustria propone al prefetto di vendere la Ericina alla Calcestruzzi Mannina, proprio quella gradita al boss Ciccio Pace. Nell’occasione il presidente di Assindustria propone anche di fare Cavaliere il padre dell’attuale indagato Vincenzo Mannina. Il prefetto capisce che deve fare da solo: alza il telefono e chiede alla Ira di Catania, che ha appena vinto il mega-appalto del porto, di comprare il cemento dalla Ericina. Su quella fornitura da 2 miliardi di vecchie lire però ha già messo gli occhi il boss Pace che dice ai suoi: «Ericina è lo Stato. Non deve lavorare». La posta in gioco è l’onore. Chi vince comanda. Stato contro mafia, prefetto contro boss, cemento contro cemento. «L’appalto è già nostro», dicono i dipendenti di Mannina a quelli della Ericina. Ma il prefetto non molla. La sua offerta è imbattibile: «14 mila lire in meno delle altre», sibila don Ciccio indispettito. Lo Stato non paga il pizzo e costa meno, va eliminato. Il piano del boss prevede tre mosse. Primo: deviare le commesse sulla Mannina o sulla Sicilcalcestruzzi dove lavora il figlio del boss. Secondo: fare valutare a prezzo vile la società da Francesco Nasca, un funzionario che lavora al Demanio. Terzo: comprarla «all’asta pagandola zero». Il boss non vuole battere lo Stato, vuole umiliarlo.


In questa partita non è difficile capire dove stanno i buoni e i cattivi, eppure il sottosegretario D’Alì, secondo il racconto dell’ex prefetto Sodano, sbaglia. Sodano oggi è gravemente malato. Con un filo di voce nel luglio 2004 ha raccontato ai pm Gaetano Paci e Andrea Tarondo: «Il sottosegretario D’Alì si lamentò della mia attività in favore della Calcestruzzi Ericina». E poi ha aggiunto; «Sono stato trasferito sebbene avessi chiesto a Roma di non spostarmi per ragioni di salute». A “L’espresso” D’Alì replica: «Non ho mai fatto pressioni sul prefetto Sodano contro la Calcestruzzi Ericina. Il suo trasferimento non c’entra nulla con questa storia e non dipende da me. Comunque non mi sono mai interessato di appalti».


Anche i due amministratori giudiziari della Ericina parlano di D’Alì. L’avvocato Carmelo Castelli e il dottor Luigi Miserendino hanno raccontato ai pm che un’azienda di Partinico ha improvvisamente interrotto una fornitura di calcestruzzo. Subito dopo, il funzionario del Demanio Francesco Nasca riferì di avere ricevuto una telefonata dal senatore (che nega). D’Alì lo invitava «a far lavorare altre imprese locali del calcestruzzo tenuto conto del fatto che la Ericina aveva già ricevuto la grossa commessa del porto».