mercoledì 27 settembre 2006

Un'oscena favola moderna


In questo Paese alla rovescia accade pure che ci siano persone che considerano la vita, la propria e quella altrui, come una fiction ininterrotta, una sequela di “grandifratelli” su “isoledeifamosi” confondendo, fino a diluire la realtà nella finzione, le cose talchè ne emerga un blob indigeribile, disgustoso e nauseante.


 


Titola la Repubblica, venerdì 22 settembre, in prima pagina, taglio medio: «Bologna 12enne denuncia ”Violentata da un branco” Fermato marocchino». L’episodio sarebbe avvenuto in un parco, la polizia cerca gli altri complici. All’interno il servizio completo. “Violentata a dodici anni dal branco” La denuncia della ragazzina. Erano in cinque gli aggressori: prima degli abusi rasata con una lametta. La madre: la sua colpa è essere bella. Bologna, preso un marocchino. L’aggressione ripresa col cellulare.


 


Anche il Corriere della sera ha un richiamo in prima pagina, taglio basso. «Bologna, violentata dal branco a dodici anni», L’aggressione in un parco vicino a una scuola. Arrestato un marocchino che nega: io non ero lì. Nelle pagine interne il servizio. “Violenza di gruppo su una dodicenne”. L’episodio vicino a una scuola in provincia di Bologna. Caccia agli altri componenti del branco. Il racconto ai genitori: aggredita nel parco. Fermato un marocchino.


 


Su l’Unità, invece, l’episodio viene riferito all’interno. A tutta pagina il titolo: “Ragazzina violentata: preso uno del branco”. Dodicenne denuncia aggressione in un parco vicino Bologna. Arrestato un marocchino, si cercano gli altro. La piccola (??? n.d.r.) ha raccontato ai carabinieri che vicino a scuola sconosciuti l’hanno costretta a un rapporto sessuale.


 


In meno di ventiquattr’ore indietro tutta. Ecco la Repubblica in prima pagina, taglio basso. Il Caso. Colpo di scena a Bologna. L’immigrato: perché mi ha fatto questo? La bambina e il marocchino “Mi sono inventato tutto”. Il commento di Michele Serra è intitolato: “Un meccanismo pericoloso”. All’interno. La dodicenne ha ritrattato piangendo: “Avevo paura che la mamma si arrabbiasse”. Nel parco con lei c’era un quattordicenne “La ragazzina confessa: stupro inventato”. Bologna, era stata scoperta col fidanzatino. Scagionato il marocchino. C’è poi l’intervista con Mehdi, lo sfortunato ragazzo.


 


Anche l’Unità ha un commento in prima pagina, di Lidia Ravera, dal titolo: “Alice nel paese delle atrocità”. Il servizio nelle pagine interne.


 


Temeva le chiacchiere del paese vicino Bologna e ha incolpato un ragazzo di colore per coprire tutto. All’alba di ieri la ragazzina ha ammesso: nessuna violenza. La madre: «Gli chiederemo scusa». “Ho inventato lo stupro, il marocchino non c’entra”. Bologna, la ragazza s’era appartata con un coetaneo ed era stata vista. Aveva  paura che lo dicessero alla madre. L’extracomunitario arrestato e poi rilasciato: «Perché ha accusato proprio me? Ora mi chieda scusa».


 


Sia Michele Serra che Lidia Ravera hanno scritto eccellenti commenti, esprimendo molto bene tutta la vasta gamma di sentimenti che una vicenda così assurda e oscena, perciò molto televisiva, ha suscitato.


 


Per questo motivo li propongo entrambi, assieme a quello di Mariuccia Ciotta su il manifesto. Qui, per non allungare eccessivamente il post, mi limito ad alcuni significativi stralci. Penso, però, che un salutare ceffone sul visino di questa ragazzina colpevole di essere “troppo bella” non sarebbe male. Ma potrà mai darlo una madre così svampita?


 


 


 


Alice nel paese delle atrocità


 


Lidia Ravera


 


l’Unità  -  23 settembre 2006


 


 


 


...È scattata subito la reazione prevista, quando una ragazzina dalle idee confuse, forse sciocchina, forse semplicemente sovraesposta al veleno catodico...


 


(ah, l'imitazione della cosa griffata, quante vitti­me miete fra la popolazione più indifesa)....


 


...un marocchi­no musulmano e stupratore, ve­niva proprio utile, per esacerbare gli animi e infiammare la caccia all'infedele...


 


...(così presto? Beh, nel mercato delle poppe esposte, smetti di far giocare Barbie al posto tuo prima di uscire dall'età pediatrica)...


 


...Meglio se le dico che ho incontra­to il lupo. Meglio se divento vitti­ma. Le vittime sono sempre buo­ne. Basta trovare un lupo cattivo. Eccolo, guardalo qua, proprio sul­la mia strada, è nero e ha una ma­glietta di Dolce e Gabbana...


 


... Non ha neppure espresso il desiderio di prendere a ceffoni la nostra Alice.


 


... Si chiamava Erika, la ragaz­zina, aveva 16 anni...


 


...Ha coperto la sua colpa (quelle centoventi coltellate) cercando di incastrare un cattivo verosimile, santificato dall'opinione comu­ne razzista. L'extracomunitario, quello che non è della nostra co­munità, e quindi può farsi carico della violenza di cui ci vogliamo liberare. È un lavoro sporco, è be­ne che lo facciano loro. Come raccolgono dalla terra i nostri pomodori, costruiscono le nostre case, puliscono il sedere ai nostri vecchi.


 


...La fragilità psichica di chi non sa ancora discernere fra real­tà e finzione, giusto e sbagliato, vero e verosimile...


 


...Che società è una società in cui una ragazzina si inventa di es­sere stata stuprata perché la mamma non la sgridi?...


 


 ...diventare un caso, fi­nire sui giornali, o sull'onnipre­sente teleschermo, magari inter­vistate dalla Maria De Filippi di turno?...


 


...E che sua madre abbia la forza di spiegarle che anche quelli che vengono dal Marocco sono persone....


 


...Sono essere umani. Come lei, come il suo fidanzatino. E vanno rispettati.


 


 


 


 


 


La bambina e il marocchino


 


Mariuccia Ciotta


 


il manifesto  -  23 settembre 2006


 


 


 


...Lui è marocchino, lei è «bella, bellissima», come le candidate di Miss Italia, ed è «la sua unica colpa» urla la madre alla stampa: «Fanno schifo, fanno schifo, sono dei mostri»....


 


...Non manca niente per far credere agli adulti che tutto sia vero, per farlo credere ai giornali, alla tv, ai poliziotti. Va «in onda» il remake di una storia già sentita, già vista che si rincorre sulle pagine dei quotidiani e sul piccolo schermo....


 


...Non è difficile dire una bugia quando tutti sono pronti a credere... ...La bambina imbrogliona... ha fatta sua una violenza che avvelena l'aria, e che la rende vittima due volte. L'abuso maschile, che imperversa nelle case e per le strade, per essere «vero» doveva portare il marchio dell'immigrato...


 


...Perché chi altro è considerato un subumano, uno senza nome, un «clandestino», un pericolo reale e immaginario?


 


 


 


Il meccanismo pericoloso


 


Michele Serra


 


la Repubblica  - 23 settembre 2006


 


 


 


...Alcuni quotidiani hanno sbattuto in prima pagina l'orrenda fola raccontata dalla bim­ba, e lo hanno fatto senza nessuna, dico nessuna premura di un riscon­tro o di un dubbio. "Dodicenne vio­lentata dagli immigrati", così, pro­prio così. Così nelle edicole e nelle rassegne stampa dei telegiornali del mattino, così nel passaparola nei bar di mezza Italia. Così nella percezione sempre più alterata, emotiva, pericolosa che molte persone han­no della questione degli immigrati...


 


...Ma che, sul palcoscenico organizzato dai media e dunque dagli adulti, quella scenetta sia amplificata esat­tamente come l'ha inventata la teen-ager, con "gli immigrati" inte­si come un solo indistinto magma di malvagi, è una cosa parecchio di­sgustosa. Indice, nel migliore dei casi (dico nel migliore) di cinica speculazione politica, nel peggiore di un degrado culturale, e di una afasia etica, giunti al punto di far coin­cidere una condizione umana (l'immigrato) e la predisposizione al crimine. Puro razzismo, in senso tecnico: tu non sei quello che fai, tu sei quello che dicono la tua anagrafe, la tua nazionalità, la tua "razza"...


 


...Ma proprio perché il problema esiste, brandirlo come una clava equivale a trasformarlo in uno spauracchio utile solo a fare freme­re di orrore il proprio pubblico pagante, e votante. Che è il contrario di affrontarlo e dunque il contrario di provare a risolverlo...


 


...Erika e Omar dissero che erano sta­ti "albanesi" a sgozzare le loro vitti­me, servendosi del capro espiatorio già allora più comodo, e credibile per una società spaventata e male informata...


 


...E chissà se la verità, arrivata a raddrizzare la schiena alla calunnia razzi­sta, è bastata a suggerire prudenza, a portare ragione. O se la verità, quando ridimensiona il panico, vie­ne invece respinta perché arriva ad alterare un meccanismo prezioso, quello del capro espiatorio. Prezio­so per un largo pezzo di opinione pubblica, che del disordine e del cri­mine ha la comprensibile premura di liberarsi, ma preferisce farlo a qualunque costo, ritenendo "gli immigrati" la fonte di ogni male. E pre­zioso per pezzi di politica e di infor­mazione che ci speculano sopra...


 


...Peccato sia stata rimpiazzata, la pe­dagogia, dalla demagogia: si tende a scrivere solo quello che il lettore ha voglia di sentirsi dire. Anche se quello che ha voglia di sentirsi dire è pura menzogna.


 


 

domenica 24 settembre 2006

Il giornalista con la schiena dritta


Giancarlo Siani era un giovane giornalista pubblicista napoletano. Fu ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere residenziale del Vomero: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochi giorni prima.


Appartenente ad una famiglia della borghesia medio-alta napoletana, Siani, aveva frequentato con ottimo profitto il liceo classico al "Giovanbattista Vico" Si era iscritto all'Università e, contemporaneamente, aveva iniziato a collaborare con alcuni periodici napoletani, mostrando sempre spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell'emarginazione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalanza della criminalità organizzata, "la camorra". Iniziò ad analizzare prima il fenomeno sociale della criminalità per interessarsi dell'evoluzione delinquenziale delle diverse "famiglie camorristiche", calandosi nello specifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegnò il suo passaggio dapprima al periodico "Osservatorio sulla camorra" rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti e successivamente al quotidiano "Il Mattino", come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata (10 km) di Castellammare di Stabia.


E cosi Siani iniziò a frequentare quella redazione, trattenendosi a scrivere lì i propri articoli: in pratica faceva vita di redazione, pur non potendo ufficialmente, essendo solo un corrispondente. Ma era accettato, non soltanto perchè si sapeva che di lì a qualche tempo il direttore avrebbe firmato la lettera d'assunzione, ma perchè Giancarlo si faceva accettare per il suo modo di essere allegro, gioviale, sempre disponibile, sempre pronto ad avere una parola per chiunque. Era soltanto questione di pochi mesi, un anno al massimo e Giancarlo sarebbe stato assunto. Fu in questo lasso di tempo che Siani scese molto in profondità nella realtà torrese senza tralasciare alcun aspetto, compreso quello criminale, che anzi approfondì con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull'espansione dell'impero economico del boss locale, Valentino Gionta.


Un'esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano. Promotore di iniziative, firmatario di manifesti d' impegno civile e democratico, Siani era divenuto una realtà a Torre Annunziata: scomodo per chi navigava nelle acque torbide del crimine organizzato, d'incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare. Lui, invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umiltà, ma paradossalmente riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s'era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni.


La decisione di ammazzarlo fu presa all'indomani della pubblicazione di un suo articolo, su "Il Mattino" del 10 giugno 1985 relativo alle modalità con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata. Siani spiegò che Gionta era diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta, amico e referente in Campania della mafia vincente di Totò Riina. Nuvoletta aveva un problema con un altro potente boss camorristico con il quale era giunto sul punto di far scoppiare una guerra senza quartiere. L'unico modo di uscirne era soddisfare la richiesta di costui e cioè eliminare Gionta. Nuvoletta che non voleva tradire l'onore di mafioso, facendo uccidere un alleato, lo fece arrestare, facendo arrivare da un suo affiliato una soffiata ai carabinieri.


Siani venne a conoscenza di questo particolare da un suo amico capitano dei carabinieri e lo scrisse, provocando le ire dei camorristi di Torre Annunziata. Per non perdere la faccia con i suoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la morte di Siani. L'organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i quali Siani continuò con sempre maggior vigore la propria attività giornalistica di denuncia delle malefatte dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980.


Fonte: www.giancarlosiani.it


 

lunedì 11 settembre 2006

La rabbia e la memoria




Apparsa su “l’Unità” del 24 settembre 2005, l'intervista (che si può leggere sotto) a Serge Latouche giunge opportuna nella giornata odierna dove i soldati statunitensi uccisi nella guerra (ufficialmente finita tre anni fa) hanno ormai superato i morti civili nella strage di cinque anni fa. Ignoro quale dissennato record si stia inseguendo, ma il teatrino delle compunte commemorazioni suona sempre più falso e, dunque, irritante.


Pietà per tutti i morti, ma certo i signori della guerra vivi stanno davvero facendo poco per evitare altre catastrofi. Anzi, per dirla tutta, proprio nulla, se non rincorrere il consenso popolare: Bush è in piena campagna elettorale, per le consultazioni di medio termine e il brand “11 settembre” deve essere speso nel modo più proficuo. Per lui, ovviamente.


 


«La globalizzazione fabbrica del terrorismo»


di Tonino Cassarà


Guerra americana in Iraq, attenta­ti a New York, Madrid, Londra sono gli episodi principali di una nuova guerra «preventiva» e di un nuovo terrorismo che hanno scatenato un'unanime reazione di condanna ma allo stesso tempo una psicosi collettiva in cui la pa­ura la sta facendo da padrone in­contestato fino a trasformare il terrorismo nel principale elemen­to di condizionamento politico del mondo contemporaneo. Qua­li sono le cause e come lo si deve affrontare? Di questo, esperti e studiosi di fama internazionale, hanno discusso nel convegno «Gli squilibri del terrore» orga­nizzato dall'Istituto Granisci e conclusosi ieri a Torino. Nel suo intervento il procuratore generale Giancarlo Caselli ha detto che «la paura genera un maggiore biso­gno di sicurezza, ma non si può però cadere nella trappola in cui la democrazia diventa ostaggio della sicurezza. La prima guerra da dichiarare - ha detto ancora Ca­selli - è quella contro l'ingiustizia che genera rabbia aprendo le por­te alla violenza e al terrorismo». Ancora più netto il giudizio di Serge Latouche, economista e professore emerito dell'Universi­tà di Parigi secondo il quale «il terrorismo è un sintomo dell'in­giustizia globale, e la globalizza­zione che lo genera non è altro che lo stadio ultimo dell'imperia­lismo dell'economia».


Professor Latouche, quindi il terrorismo globale è il frutto della mondializzazione dell'economia, la globalizzazione come fabbrica del terrorismo? «Da economista posso dire che se il terrorismo non è direttamente generato dalla globalizzazione, es­so è però certamente frutto dello sviluppo incontrollato del capitali­smo. La logica della globalizza­zione nega le identità trasforman­do l'individuo in homo oeconomi-cus, qualcuno da inserire nella macchina del conteggio per il tor­naconto economico di qualcun'altro».


Scusi, ma qual è il rapporto con il terrorismo globale? «Si tratta di responsabilità indiret­te che creano però l'humus per il terrorismo». Ma perché mai la mondializzazione economica dovrebbe produrre le ingiustizie sociali che portano al terrorismo? «La mondializzazione è anche uno slogan che incita e orienta ad agire in vista di una trasformazio­ne considerata auspicabile per tut­ti. Il termine non è   affatto "innocente", e lascia anzi intende­re che ci si trova di fronte a un pro­cesso anonimo e universale, bene­fico per l'umanità, e non invece che si è trascinati in un'impresa, auspicata da certe persone, per i loro interessi; si tratta di un'impre­sa che presenta rischi enormi e pe­ricoli considerevoli per tutti, particolarmente per i popoli del Sud del mondo». E il terrorismo? «Dietro l'anonimato del processo ci sono dei beneficiari e delle vitti­me. È fra le vittime è facile trovare adepti per gli imprenditori del ter­rorismo camuffati da religiosi, da nazionalisti o da capi etnici. Si tratta di un vero e proprio gioco al massacro tra individui e tra popo­li, a spese della natura». Esiste anche un rapporto fra il terrorismo e l'ecologia? «Certamente. L'ingiustizia socia­le di cui stiamo parlando è anche ingiustizia ecologica. Se si pensa che il 20% della popolazione mon­diale consuma più dell'80% delle risorse del pianeta e che quel 20% rimanda al Terzo Mondo, non gli avanzi, ma i rifiuti più pericolosi da smaltire, è chiaro che tutti gli equilibri vengono compromessi. Si tratta di un meccanismo che ge­nera rabbia e frustrazioni ancora una volta abilmente sfruttate dagli imprenditori del terrorismo». Siamo quindi in un vicolo cieco? «Di sicuro la soluzione non è quella dalla guerra preventiva al terrorismo, visto che non ci si tro­va di fronte ad un nemico imme­diatamente identificabile. A mio avviso è necessaria una "politica preventiva" che significa non cre­are le condizioni favorevoli al ter­rorismo. La vera lotta contro que­sto fenomeno passa attraverso la difesa dei valori che caratterizza­no una cultura senza però mai pensare di imporli a chi ha una co­scienza dei diritti dell'uomo diver­sa dalla nostra; non esistono valo­ri migliori degli altri ma solo di­versi, ed con il rispetto di queste diversità che sarà possibile creare il "Pluriversalismo" che è la de­mocrazia delle culture, la capaci­tà di considerare la relatività dei propri valori: esattamente il contrario della nostra convinzione che la cultura occidentale vada be­ne per tutti».


 


Alba tragica



Ricordare l’11 settembre? E va bene, ricordiamolo, non senza aver fatto prima alcune premesse che spazzano via l’emotività strumentale, lasciando il posto a fatti e ragionamenti che offrono sempre meno pretesti ai guerrafondai a tutto tondo, agli amici di certi amerikani e impongono riflessioni meno superficiali e stereotipate di quelle propinate dai media tradizionali. Coloro, per intenderci, che giustificherebbero anche il dover camminare a quattro zampe, se questo potesse scongiurare presunti attacchi terroristici, restringendo nel contempo la nostra libertà. Ma, se fatto in nome dell’11 settembre (che è ormai un brand a tutti i livelli), allora ogni cosa è lecita, comprese specialmente le limitazioni dei nostri diritti.


Oggi, come allora, gli Usa dovrebbero spiegarsi come mai tanto odio nei loro confronti, perché basterebbe grattare, anche solo leggermente, la scorza dei tanti conflitti in corso nel mondo per trovare, più o meno larvata, la presenza oppure l’ispirazione di uno Stato che non ha mai rinunciato al suo Impero e alla leadership mondiale.


Intanto, qualche passo indietro, al 10 agosto scorso, al grande complotto estivo sventato e a ciò che propone in due schede “il manifesto” dell’8 settembre 2006.


 


«Al lupo al lupo» Due anni di bufale


Ricino nel metrò londinese


Nel gennaio 2003, due mesi prima dell'invasione dell'Iraq, la polizia inglese annuncia di aver sventato un attentato al ricino. La sostanza velenosa, sequestrata in un appartamento di Londra, sarebbe servita per un attentato alla metropolitana di Londra su ordine di Abu Musab Al Zarqawi. Mesi dopo risulta tutto falso.


La bomba chimica di Aznar


Il 5 febbraio 2003 il premier Jose Maria Aznar informa il parlamento di Madrid di aver sventato un attentato chimico di 16 terroristi contro la Spagna, organizzato da Al Zarqawi. Tutto falso: per il ministero della difesa «le sostanze chimiche trovate non erano nocive, alcune erano solo detergenti per la casa».

Attacco missilistico agli Usa


Nel febbraio 2003, tre giorni dopo il discorso del segretario di stato Colin Powell all'Onu in cui elencava le false prove sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la sicurezza antiterrorismo Usa fa salire il livello d'allarme ad arancione per la minaccia di un attacco di Al Queda: missili e veleni contro cittadini americani negli Usa. Secondo fonti della sicurezza queste informazioni insieme al sostegno di Al Queda all'Iraq provano che gli Usa affrontano un pericolo simile all'11 settembre.

L'atomica «sporca» di Powell


Il 10 febbraio lo stesso Powell parla della possibilità di un attacco con uso di una bomba atomica «sporca». Giorni dopo si scopre che l'allerta sulla bomba «sporca» era una bufala: un sospetto terrorista incarcerato si era inventato il piano. Il livello arancione però rimane.


A Natale come l'11 settembre


Il 21 dicembre 2003 la Homeland security Usa annuncia che il rischio di un attacco aereo terroristico durante il periodo natalizio è altissimo e che ci sono «indicazioni che gli imminenti attacchi saranno simili se non peggiori di quelli dell’11 settembre». Al Queda stava per dirottare aerei della Air France e schiantarli contro obiettivi americani. Tutto falso, i sei attentatori risultano essere un bambino di cinque anni, una anziana signora cinese, un venditore di assicurazioni gallese e tre francesi innocenti.


Bomba nella notte di Kerry


Il 1° agosto 2004, la notte della convention democratica in cui John Kerry accetta la candidatura per la presidenza degli Stati uniti, la Homeland Security aumenta l'allarme per la sicurezza Usa. Fonti pakistane informano che sono state trovate nel computer di un esperto internet di Osama Bin Laden piani per attaccare i centri finanziari di New York e Washington. Tutto falso: il materiale risaliva a prima dell'attentato contro le due torri.


Attentato a Los Angeles


Nel febbraio 2006 il presidente Bush in un discorso descrive i successi delle agenzie antiterrorismo e dà notizia di un complotto sventato nel 2002 che puntava ad attaccare i grattacieli di Los Angeles. Esperti di antiterrorismo e della Cia rivelano che il piano «non è andato oltre lo stadio di un pensiero».



Pronti a colpire, anzi no. 10 agosto, fatti e parole


Mercoledì 9, la linea di Reid


Il ministro dell'interno John Reid, che da giovane era uno stalinista assai energico soprattutto con i suoi compagni di partito, parla di terrorismo al centro studi «Demos» di Londra e afferma che la Gran Bretagna è confrontata «probabilmente alle più gravi minacce dalla fine della seconda guerra mondiale» e suggerisce ulteriori restrizioni delle libertà, puntando l'indici in particolare sulla Convenzione europea dei diritti umani. È stata creata 50 anni fa per proteggerci da stati fascisti mentre oggi, dice Reid, la minaccia viene da «fascisti individuali» svincolati dagli accordi internazionali.


La retata scatta nella notte


Nella notte scatta l'operazione, 24 arresti. Tony Blair rimane in vacanza nei Caraibi su uno yacht, ma sempre nella notte parla al telefono con George W.Bush.

All'alba l'annuncio della polizia


La polizia metropolitana di Londra annuncia alle 5,35 che un complotto terrorista è stato sventato, parlando di «operazione di intelligence pianificata anzitempo». Il livello di allerta dei servizi Mi5 viene aumentato a «critico» che significa «attacco imminente».

Ore 9,30: «Morte e distruzione»


Il vice commissario di polizia Paul Stephenson descrive il complotto come «un piano per causare indescrivibile morte, distruzione e assassinio di massa»

Ore 13: «Era al Qaeda»


Il segretario della Homeland Security Usa Michael Chertoff dichiara che le aerolinee prese di mira a Londra erano americane. Per il direttore dell'Fbi c'erano «tutti i segnali di un complotto di Al Qaeda».


11 agosto divergenze Usa-GB


Gli inglesi ammettono che gli attentatori non erano ancora pronti per entrare in azione. Gli Usa «erano vicini allo stadio di esecuzione... Non erano ancora seduti nei sedili degli aerei ma quasi».


La conferma: bomba liquida


Peter Clark, capo dell'antiterrorismo della polizia di Londra, dichiara il 21 agosto alla Bbc che «il materiale per costruire bombe è stato trovato e include sostanze chimiche e componenti elettronici».


L'ombra della speculazione


Il giornale India Daily pubblica il 22 agosto un articolo sui «put options» contrattati sulle azioni di aerolinee poco prima dell'annuncio del 10 agosto. Dopo l'annuncio del complotto sventato le azioni delle aerolinee sono scese del 28 per cento. Anonimi investitori hanno comprato a man bassa queste azioni prima che risalissero di prezzo.


Mancano i fondi per le bombe


Malgrado la confisca dei conti correnti non risulta che gli investigatori abbiano trovato traccia di finanziamenti per l'operazione terroristica. Uno dei sospetti compra un appartamento a giugno per 250 mila dollari, gli altri hanno solo i risparmi di giovani studenti, lavoratori e impiegati appartenenti a famiglie immigrate di ceto basso o medio.


 


E domani si continua...


 

venerdì 8 settembre 2006

quelli come noi


L’estate italiana ormai declinante ha lasciato dietro di sé, come sempre, vicende drammatiche e pulite, gossip di un’idiozia indefinita, vite di donne violate una, dieci, cento volte (ma questo avviene durante tutto l’anno) e insofferenze omofobe. Tutto in estate viene amplificato ed enfatizzato fino all’eccesso. Alla fine resta poco in chi ha fatto ragionare la pancia e non la mente. E, se si parla alla pancia, un degno corollario è la legge Bossi-Fini già pessima a cominciare dai due nomi che l’hanno determinata.


Così ho raccolto qui alcune storie di persone (da “l’Unità” del 31 agosto 2006) che sono immigrate nel nostro paese, sempre meno bello e sempre più intollerante, impaurito e arrogante, stupido e razzista. Si tratta di storie che non sono state scritte sulla sabbia, che l’impronta l’hanno lasciata nel cuore e nella mente, quella che continua a guidare tutti i comportamenti di una parte, temo non più maggioritaria, degli italiani.


 


Naser


Ha salvato tre ragazzi dal mare, ma per la legge è un clandestino da rimandare in Tunisia.


Eroe per le famiglie di tre ragazzi salvati in mare, per la legge italiana Naser Othman, tunisino di 27 anni, è un clandestino da espellere. Il 2 luglio scorso il giovane si trova sul litorale di Casalbordino, in provincia di Chieti, quando sente le urla arrivare dal mare. Si tuffa in acqua e riesce a salvare tre giovani che si erano avventurati vicino ad una scogliera artificiale.


Neanche il tempo di essere appludito dagli altri bagnanti che i carabinieri gli mettono le manette ai polsi. Naser è tunisino e irregolare, il 6 marzo gli è già stato notificato un provvedimento di espulsione. Vive in Italia dal 2003, da quando è morto il padre, e fa il manovale a Vasto. Ma è nato in Italia, a Mazara del Vallo, dove ha vissuto fino ai 12 anni, prima di tornare in Tunisia con la famiglia. A niente vale il gesto eroico. A niente vale l'interessamento del ministro Ferrero che propone di conferirgli la cittadinanza onoraria. Due giorni fa il ragazzo riceve il provvedimento di espulsione. «Gli avevo consigliato di tornare in Tunisia come previsto dal provvedimento - ha spiegato ieri il suo legale, l'avvocato Agostino Chieffo - ma temo non l'abbia fatto e abbia invece raggiunto la Francia. È in attesa che quanto promesso o proposto all'indomani del salvataggio, da politici locali ma anche da ministri, si avveri. La possibilità all'interno della normativa per concedere la cittadinanza italiana a questo ragazzo esiste».


Iris


La baby-sitter salva Letizia e muore da "irregolare": il suo permesso non era pronto.


Ora che è morta è un po' meno irregolare, forse avrà una targa commemorativa, addirittura una medaglia al valore. Da viva, Iris Palacio Cruz, 27 anni dall'Honduras, era una clandestina nel nostro Paese, arrivata due anni fa assieme alla madre e ai fratellini di 6, 9 e 10 anni. Irregolare in cerca di lavoro, come tanti, aveva trovato un impiego come baby-sitter. La famiglia Vassallo quasi la adotta, le affida la piccola figlia Letizia, dieci anni. Iris si affeziona, tanto che la bimba «diventa come una sorellina». E la famiglia premia la sua attenzione cercando di regolarizzarla. Due volte tenta di fare rientrare il suo nome nel decreto flussi, senza successo, fino a quando il governo Prodi decide di accettare le 300mila domande in più consegnate alle Poste rispetto alle 170mila previste, e un pizzico di fortuna sembra permetterle di uscire dalla clandestinità. «Tornò a casa raggiante e mi abbracciò forte», ricorda la madre. Ma la fortuna si riprende tutto con gli interessi il 26 agosto scorso. Iris è con Letizia a Cala di Bove, nell'Argentario, dove la famiglia della bambina ha una villa. La bimba si mette i braccioli per un bagno, ma appena in acqua viene travolta da un'onda e fatica a riemergere, trascinata dalla risacca. Iris si butta in acqua d'istinto, riesce a salvare la bambina, sistemandola su uno scoglio protetto, ma viene lei stessa travolta dalle onde. Ritrovano il suo cadavere ore dopo, a 150 metri di distanza, mentre Letizia è sana e salva. La beffa arriva quando il corpo di Iris già aspetta la sepoltura, e la famiglia Vassallo riceve la notifica di violazione della legge Bossi-Fini,


Alice


Torinese sposa un tunisino a Natale. Fogli in quattro questure, topi al ministero: non stanno ancora insieme.


Da otto mesi la legge le proibisce di vedere il marito nel nostro Paese. La storia di Alice comincia la vigilia di Natale dello scorso anno in Tunisia, quando, lei italiana di Torino, sposa il suo «uomo dei sogni» tunisino. Festeggiano e poi presentano la domanda di visto per lui all'ambasciata italiana. La coesione familiare è un diritto, bisogna solo aspettare. Ma i tempi burocratici.., Alice è costretta a lasciare il Paese - le scade il visto turistico - prima che il marito ottenga i documenti. Da quel primo passo comincia il calvario. Il 3 gennaio l'uomo si presenta in ambasciata. Doccia fredda: «Segnalato nel sistema informatico Shengen, visto negato». Il motivo risale al '96, quando l'uomo aveva abbandonato il suo Paese per venire in Italia dove trova un lavoro, e fino al 2002 rinnova il permesso di soggiorno. Poi l'azienda non gli rinnova il contratto, e l'uomo viene «pizzicato» su un treno per Piacenza con i documenti scaduti. «O te ne vai o ti regolarizzi». Senza possibilità di lavoro l'uomo torna in Tunisia, dove Alice lo va a trovare fino al matrimonio. Una volta tornata in Italia la donna fa tutto il possibile. Tra febbraio e luglio la legge impone quattro diverse autorizzazioni in altrettante questure. Torino, Agrigento, dove l'uomo è sbarcato dieci anni prima. Verona, dove è vissuto cinque anni, e Piacenza, dove è stato fermato. Si rivolge al ministero: «Lo stabile che ospita le pratiche del genere è chiuso per derattizzazione». Esasperata, la donna si rivolge all'Arci e ad un avvocato che consiglia: «Lo faccia venire clandestino, in otto giorni lo regolarizziamo e si risparmia tanti problemi».


Maria e Antonia


Denunciano un furto e uno scippo. L'onestà non paga: una finisce al Cpt l'altra passa la notte in guardina.


Maria e Antonia sono di nazionalità diversa e diversa età. L'unica cosa che le accomuna è la reclusione subita per violazione delle legge Bossi-Fini. Il 7 agosto scorso Antonia, brasiliana poco più che ventenne, si accorge di un furto avvenuto nell'appartamento romano dove, in nero, fa piccoli lavori domestici per mantenersi. La giovane chiama la Polizia. Non ci pensa, o forse non crede di avere nulla da temere, e aspetta l'arrivo delle forze dell'ordine. Ma quando gli agenti le chiedono i documenti per lei scatta la reclusione nel Cpt di Porta Galeria. Non ha il permesso di soggiorno, e dopo la reclusione arriverà il provvedimento di espulsione. E come Antonia, che in Italia ha un fidanzato e una sorella regolare, dieci giorni dopo le maglie strette della Bossi-Fini si chiudono su Maria. Il 17 agosto, giorno del suo diciannovesimo compleanno, la giovane rumena sta andando a casa dei genitori -immigrati regolari - per festeggiare, quando viene scippata da un uomo che le sottrae la borsa. Dentro, però, non ci sono solo i soldi, ma la richiesta del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Ingenuamente o per buona fede, Maria decide di denunciare l'aggressione, ma di fronte alla richiesta dei documenti viene arrestata per violazione della legge sull'immigrazione. Incredula e in lacrime passa la notte del suo compleanno in cella. Viene scarcerata il giorno dopo, ma la legge non ammette deroghe e il 20 ottobre - anche se nel frattempo avrà regolarizzato la propria situazione - dovrà affrontare il processo.


Dede e Leonard


Paralizzati dopo brutti incidenti e inchiodati per anni ai letti d'ospedale: se dimessi sarebbero stati espulsi.


Sono rimasti chiusi in un ospedale per anni per scampare all'espulsione. Solo il letto dell'unità spinale del Cto di Firenze, infatti, ha potuto evitare a due ragazzi albanesi, Leonard Pera e Dede Bujar, che il provvedimento li mettesse su una strada senza le cure di cui i due, paralizzati in due diversi incidenti, hanno assolutamente bisogno. Fino al luglio scorso, quando grazie all'interessamento della prefettura di Firenze presso il ministero dell'Interno, Leonard e Dede hanno ottenuto il tanto sospirato permesso di soggiorno per motivi umanitari che li rende, almeno sulla carta, liberi di circolare sul territorio italiano. La storia di Leonard comincia nel '98, quando sbarca clandestinamente ad Otranto. Viene ricoverato il 12 giugno dello stesso anno in seguito ad un incidente stradale che lo costringe alla sedia a rotelle. Da allora lotta contro la legge, prima per ottenere lo status di rifugiato, poi con un ricorso in Cassazione contro il decreto di espulsione. La vita di Dede cambia invece nel novembre del 2000. «Durante una manovra congiunta con le forze Nato - racconta da ex militare di leva della marina albanese - ero imbarcato sulla nave M.Uqinaku attraccata al porto di Durazzo. Mentre stavo pulendo un cannone si è staccata una canna che mi ha schiacciato la colonna vertebrale». Dede viene abbandonato al suo destino, semi incosciente nel letto di un ospedale italiano, e ci vogliono anni, fino all'interessamento del prefetto di Firenze Andrea De Martino, perché la sua storia e quella di Leonard trovino una soluzione, anche solo provvisoria.


 


 


 


 


 


 

martedì 5 settembre 2006

Il gigante buono



 


 


 


 


 


 


Sarti, Burgnich, Facchetti... Quel mantra che ripetevo da ragazzino, quando le formazioni delle squadre di calcio si potevano imparare a memoria e il club che vinceva il campionato (e solo quello) partecipava ovviamente alla coppa dei Campioni. Ed era tutto un altro calcio. E lo giocavano, quel calcio, signori formidabili per classe e stima.


Chi scrive non è interista, ma ha imparato ad amare il calcio, quel calcio, rimpianto più che mai, proprio recitando quel mantra e appassionandosi alle immagini in bianco e nero di una squadra che, a quel tempo, era davvero la squadra di tutti.


Un calcio intramontabile nella memoria, incancellabile per persone di limpidezza morale che lo popolavano. Una di queste era appunto il capitano dell’Inter e della  Nazionale Giacinto Facchetti. Per chi, come me, ha amato quel calcio, senza distinzioni di bandiera, il vero calcio, oggi è pure morta una piccola parte di se stessi, come l’infanzia che ti attraversa e vola via, impalpabile ed eterea.


Che la terra ti sia lieve, grande Capitano.


 


IL CIELO SI È CAPOVOLTO


Lunedì, 4 Settembre 2006 15:11:19


È successo tutto in un maledettissimo giorno uguale a tanti altri. Un giorno senza segnali, senza avvertimenti, un giorno col cielo al suo posto, e non c’era modo di capire che un attimo dopo, si sarebbe capovolto. Quanto ci mettono a dirti che il tempo ti si è ristretto e non hai più garanzie? Pochissimo.


Per Giacinto Facchetti, quel giorno era stato fino a quel momento normale. Poi è seguito il silenzio. Lo chiedeva lui, anzi lo chiedeva quella famiglia così incredibilmente bella e unita che aveva intorno, con lui faceva un tutt’uno, erano qualcosa di raro, i Facchetti, tutti avremmo voluto una piccola parte in una famiglia così. Adesso, anche a loro, resta questo.


Le immagini di un ragazzo diventato uomo correndo dietro a un pallone, e rimane una grande lezione di vita, perché era un uomo pacato capace di grandi slanci, corretto fino all’inverosimile, per cui nemico acerrimo di tutte le slealtà, fortissimo, integro, figlio della provincia ma abituato a sedersi a qualsiasi tavola.


Era un uomo da re e da operai. Era un amico leggendario. Era un eroe da romanzo, Arpino lo sapeva bene. Un romanzo di vita, di classe, di essenzialità.


La prima cosa che faceva dopo le partite, era chiamare casa, i suoi figli, e Massimo Moratti. Troppe volte, quando qualcuno scompare, di lui si cercano le solo le cose buone.


 Il fatto è che di Giacinto Facchetti puoi dire solo quelle, che di cose cattive non ne trovi. Le malattie sono bastarde. Colpiscono a caso, non interessa se uno è stato buono, cattivo, perfido. Se lascia molto amore o poco. Giacinto lascia senz’altro molto amore, e quindi un infinito dolore, dietro di sé. Ma forse è sempre così. Una cosa è la conseguenza dell’altra.


Vengono in mente tante cose. Quando raccontava di suo nonno che aveva l’Unità in tasca, e quando invece parlava del suo oratorio, dove giocava da piccolo. L’attenzione affettuosa, mai abbandonata, con cui si riferiva a Helenio Herrera. I diari del Mago li aveva tenuti lui.


L’amicizia profonda, nata che erano due ragazzi, che lo ha legato a Massimo Moratti. Fino all’ultimo, uno c’è stato per l’altro, e l’altro c’era. Credendo in un miracolo, perché tutti ci abiamo creduto. Se c’era un uomo che se lo meritava, quello era Giacinto Facchetti. Ed era talmente forte, talmente integro, che a volte il miracolo sembrava arrivare.


La rabbia che lo prendeva quando capiva che ci stavano fregando, e lo facevano da tanto, troppo tempo. La fretta con cui si alzava da tavola, negli alberghi, se c’era una partita in televisione. La chiarezza con cui inquadrava caratterialmente un giocatore. Il suo odio per il fumo, su questo era intransigente. La gentilezza con cui parlava. La lettera che scrisse alla sorella di George Best, lo scorso anno, in ricordo di un campione diversissimo da lui, ma che aveva sempre stimato.


E la dignità con cui passò oltre la scomparsa della propria sorella, cancro, anche lei, e invece la felicità del suo primo giorno da nonno. La fermezza che aveva. I suoi occhi, così chiari. L’amicizia che dava e che ci si trovava a dargli. Lunghe ore a parlare, a valutare, a raccontarsi. Storie di calcio e di vita, giorni buoni e cattivi, una tale infinità di giorni insieme da pensare che non sarebbero finiti mai. E poi, mai così. Fino a quel giorno in cui ci ha chiesto silenzio e tutti abbiamo obbedito, stando ad aspettare un miracolo.


Quando le cose finiscono, ti chiedi dove vada a finire tutto questo, se in cielo, in un’altra dimensione o in niente. Certo, ti resta nel cuore. Ma in questo momento, per tanti di noi è un cuore spezzato. È andato a pezzi in un giorno maledettamente uguale a tanti altri. Senza segnali, senza avvertimenti, col cielo che se ne stava come sempre al suo posto.


Si è capovolto all’improvviso.


Susanna Wermelinger - Direttore Editoriale 


www.inter.it


Foto 1: una formazione della Grande Inter. Foto 2: Rivera e Facchetti


sabato 2 settembre 2006

La donna del terzo millennio


Dopo il divorzio da Lele Mora


Simona Ventura sceglie una holding per la sua immagine


 


Dopo il divorzio professionale da Lele Mora, suo agente stori­co, Simona Ventura si affida a una holding internazionale nel settore dei media, quotata alla Borsa di Londra: il gruppo Aegis Media curerà il brand della conduttrice, puntando ad affinarne l'immagine nei confronti di pub­blico, sponsor e opinion maker. È questo il senso dell'accordo che la Ventura, prima tra i perso­naggi della tv italiana, ha siglato ieri con Walter Hartsarich, presi­dente e chief executive officer di Aegis Media (che controlla Carat). «Stiamo lavorando a un pro­getto innovativo di cui speriamo di ve­dere al più presto i risultati - ha com­mentato la Ventura. Siamo entusia­sti e fiduciosi di far bene. Sono strafeli­ce e orgogliosa e spero di festeggiare al più presto i risul­tati di questa operazione».


La Ventura era arrivata alla se­parazione con Lele Mora agli ini­zi di quest'anno: secondo il gossip, tra i motivi ci sarebbero stati alcuni scoop su Supersimo fatti da un fotografo appartenente al­la scuderia dello stesso Mora.


In concreto, la consulenza di Aegis Media Italia per la conduttrice si articolerà in diversi inter­venti: l'analisi del brand Simona Ventura e del suo posizionamen­to attuale nel mercato e l'indivi­duazione del percorso di comuni­cazione da seguire; l'analisi dei programmi condotti dalla Ventu­ra e la valutazione della coeren­za tra la sua immagine e il suo po­sizionamento; la consulenza di comunicazione per garantire co­erenza di immagine nel rapporto con i mezzi pubblicitari.


Corriere della sera (5 luglio 2006)


 


Dalla donna-oggetto alla donna-brand: un bel passo in avanti . Ma la donna-donna dov’è?