giovedì 30 giugno 2005

Parole oscene

Per adesso è solo un sussurro, ma l’eco riecheggia in ogni angolo e così diventa frastuono. Io ascolto, capto, assimilo, percepisco. Il velo si solleva e quelle due parole emergono con icastica efficacia, invereconde nella loro oscena nudità, focalizzate adesso e non più immaginate, con contorni sfumati, che diventano o rischiano di diventare la cornice che inquadrerà la quotidianità.

Cassa integrazione.

Bruciante, senza possibilità di trovare smentite, ma neppure (forse ancora per poco) conferme ufficiali. Stamattina questo tabù è stato infranto. Si è smesso di giocare con le frasi fatte, le ipotesi scombinate, la relativizzazione. Paradossali e irridenti i ritagli di stampa che prefigurano lunga vita, eccellente radicamento nel settore. Le sciocchezze sui competitors, sul target, sulla moltiplicazione dei manager, sono state emarginate in nome del realismo, di un’incipiente e perciò tardiva presa di coscienza, nonché dalla constatazione che la Grande Assente è la solidarietà, la coscienza critica e di massa, la consapevolezza del lavoratore nei confronti del padrone e di ciò che lui, o chi per lui, decide senza infingimenti, ma neppure remore. Perché adesso i nomi diventano numeri, le storie individuali cifre in eccesso.

I tagliatori di teste questo devono fare, tabula rasa di sogni, desideri, prospettive, sterilizzando tutto e contrapponendo le giovani generazioni alle vecchie. I dipendenti a tempo determinato, ai quali non verrà rinnovato il contratto, (diversamente che in passato) anche se già impiegati da anni a quelli il cui rapporto aziendale non ha (o non avrebbe) data di scadenza. Come per il latte adesso quella data rischia di comparire.

Se ne parlava sottovoce, poi è entrata – la cassa integrazione - nei discorsi comuni, quelli fatti davanti all’altare laico della macchinetta del caffé. Non ancora radicata nella realtà, ma sembra che sia questione di pochi giorni. Allo stato delle cose è ragionevole pensare che possa arrivare, prima delle ferie, una comunicazione da fonte inattaccabile. Ho raccolto l’informazione che la direzione stia compilando le liste di “proscrizione” da sottoporre alla Rsu, la giovane componente sindacale, poco più di un anno. In passato non era stata necessaria alcuna forma di coalizione, perché tutto avveniva in famiglia e lì si risolveva, con reciproca soddisfazione.. Ma i tempi cambiano, nella famiglia i patriarchi passano la mano e i discendenti seguono il trend corrente. Un'altra “gola profonda” prefigura scenari disastrosi, ancorché verosimili: una contrazione da 400 a 40 dipendenti quale approdo finale. Terra bruciata. Un’azienda “zippata”.

Già da alcuni giorni i sorrisi, le battute di spirito, le conversazioni informali, avevano ceduto il passo a irrequietezza, insofferenza, mutamenti di umore non solamente ascrivibili al caldo. Allo stato attuale non dovrei essere coinvolto in questa resa dei conti, non soltanto per il mio status di appartenente a categoria protetta, ma anche perché il reparto in cui opero riveste ancora utilità e giustifica l’esistenza in vita. Però l’idea, inquietante e subdola, è che questo tsunami aziendale finirà col travolgere anche chi si trova a distanza dall’onda anomala. Per naturale riflusso, per indistinte e arbitrarie decisioni, per il clima di smobilitazione mentale che già inizia a fare proseliti.

Le nuvole stanno coprendo il sole, ma la temperatura resterà elevata. Sì, sarà comunque una lunga estate calda. E alla fine nulla sarà più come prima.

lunedì 27 giugno 2005

Spot squillanti

Estate rovente per i tre gestori di telefonia mobile, con il quarto (Vodafone) che appare più defilato. Nessuna storia a puntate, nessun nuovo volto da imporre, regna incontrastata l’ormai stagionata Megan Gale, australiana che ha trovato l’America in  Italia, la quale accompagna il marchio più che promuoverlo. Si vede che si vive di rendita  sul nome e sull’immagine.

Battaglia serrata, invece, tra Tim, Wind e H3G che non badano a spese e ormai li trovi ad ogni ora del giorno, segnatamente tutti e tre in uno stesso blocco pubblicitario, istituzionalmente prima di pranzo e di cena.

Tormentoni a parte, ci sono alcune annotazioni da fare in margine. Tim ha il merito (ammetto di essere molto partigiano) di aver proposto una brasiliana troppo bella e perfetta per essere vera, Come si toglie lei le scarpe, con gli immancabili tacchi a spillo, prima di avanzare nella fontana. non lo fa nessun’altra. Opportuno averle tolto la parola, dopo l’exploit delle “quattro isteline, quattro paperelle”, perché non le giovava. Notata sul chiosco la scritta “Grattachecca” che, se non sbaglio, indica la particolare granita che si serve a Roma, dove il ghiaccio viene grattugiato.

Pur essendo partita più tardi rispetto agli altri, Wind imperversa come non mai, per recuperare il terreno perduto. Con Aldo, Giovanni e Giacomo viene proposta un’offerta inutile, ma del dialogo non resta una sola frase ad effetto, mentre la scritta finale: “continua” minaccia nuovi scenari.

Il più inguardabile è quello che ha coinvolto pure Linus (ahimè) nel blocco del traffico, causa transumanza, al quale si è aggiunta Simona Ventura per fare compagnia alle petulanti figlie di Claudio Amendola (sul padre meglio lasciar perdere), Divertente, invece, la denuncia presentata proprio da H3G, riferita alla diffusa pratica illecita di rimozione del “lucchetto informatico”, per poter così rendere quei cellulari utilizzabili anche con le schede SIM di altri operatori. Infatti, il gestore basa sull’esclusività della card la possibilità di praticare prezzi stracciati e tariffe migliori, anche se la copertura non è ancora completa sull’intero territorio.

Qui l’osservazione riguarda i dialoghi, vacui e volatili come chi li pronuncia. In particolare, quell’accenno ai “reality” e agli altri programmi visualizzabili sul display.

Ora già mi viene l’orticaria al solo sentir pronunciare il termine “reality”, la digestione viene definitivamente rovinata udendo la parola “soap”, mentre mi chiedo perché mai una persona dovrebbe farsi tanto male da acquistare un cellulare, anzi due come amano precisare, non per telefonare, non per comunicare anche con sms. ma per guardare un improbabilissimo “grande fratello”?

La naturalezza con cui si snocciolano le meraviglie goderecce cui si può accedere, la certezza di dettare (imporre è meglio) modelli e stili di vita, conformi alla nullità totale che veicolano certe trasmissioni, contribuisce a far montare, inarrestabile, un’idiosincrasia totale verso i simboli della cosiddetta modernità e i loro cantori.  Così Tim è insopportabile durante la stagione calcistica, perché sembra che se si giochi a pallone sia merito suo, Wind lo è, in altro modo, perché in alcune zone non c’è campo (e allora a cosa servirà acquistare addirittura tre card?) e H3G per i motivi ampiamente esposti. L’invettiva, a cavallo tra domenica e lunedì è completa, almeno per il momento.

giovedì 23 giugno 2005

Il crepuscolo della vita

Il padre di un mio caro collega è ricoverato da un mese in ospedale, nel reparto lungo degenza. Il genitore di un altro compagno di lavoro, nonché amico, si è visto diagnosticare metastasi al fegato. Anche mio padre non sta molto bene da un anno, né potrà migliorare molto. E’ il declino fisico che inevitabilmente avanza con effetti sempre dirompenti, la decadenza senile si fa strada e pone interrogativi irrisolti a chi è spettatore di questo tramonto che si profila con chiarezza.

Sulla vecchiaia ha scritto una lunga riflessione, molto interessante e ricca di spunti, Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, che sorge a Magnano (Bi). Ne riporto ampi stralci, mentre l’articolo integrale (pubblicato su “La Stampa” il 9 agosto scorso) si può leggere a questo indirizzo: http://www-1.monasterodibose.it/bianchi-work.html



“Inizia così un tempo in cui l’orizzonte finale della propria vita non appare più così lontano e diventa arduo rimuoverlo dalla mente: il pensiero della fine incombe, si fa ricorrente, appare ogni volta che si deve prendere una decisione che riguarda il futuro. (...) Si paragona l’età alle stagioni dell’anno, e allora è l’autunno, del quale si scorgono però solo le foglie che cadono, non il ribollire dei tini colmi di vino; si pensa alle ore del giorno e allora è il crepuscolo, ma se ne coglie solo la malinconia, non il pacifico ricomporsi del creato alle soglie della notte... Ci si consola come si può, con frasi fatte che suonano vuote sotto la loro superficiale doratura: “Non conta l’età fisica… L’importante è sentirsi giovani nel cuore…”. In realtà, la vecchiaia è una tappa, un cambiamento della vita, una trasposizione di quel che si è: a vivere la vecchiaia si impara, così come si impara a camminare. Ci si addentra allora in un’avventura, che è sì avventura di spoliazione, ma che non contraddice l’irrobustimento dell’uomo “interiore”, dell’ “uomo del cuore”. La sera mostra ciò che è stato il giorno, diceva Erasmo, perché ognuno ha la vecchiaia che si merita. Ma anche questo dato è poi sempre vero? Pregi e difetti di ciascuno vengono infatti ingigantiti dalla debolezza della vecchiaia, ma non sempre le vicende umane e le persone che attorniano l’anziano gli consentono di raccogliere davvero ciò che ha seminato…

Così, poco alla volta si arriva ad ammettere che si è diventati vecchi, si è entrati nella “terza età”, come si usa dire oggi: un’età cui poi, per i più longevi, ne seguirà un’altra, la “quarta”. “Sono vecchio!”, diciamo a malincuore, con una voce che si vorrebbe serena ma che spesso è velata di malinconia e di sofferenza. Perché è “vita grama per i vegg”! Come ricordava una canzone di Jacques Brel che cantavo a vent’anni, “i vecchi, i vecchi tremano, si assopiscono, vanno dal letto alla finestra, poi dalla finestra alla poltrona, poi dal letto al letto…”. Si ha un bel da dire che la vecchiaia non è una malattia, ma la fragilità che aumenta, i dolori alla schiena o alle gambe che si fanno sentire, rendono “grama” questa età, un’età che, grazie alla fine del lavoro e delle attività, potrebbe costituire un tempo per “godersi la vita”, per vivere liberamente quello che più ci sta a cuore. Fa capolino la solitudine, perché si percepisce che la “vita” autentica scorre accanto ai vecchi, lasciandoli ai margini; si fa strada anche la paura della malattia e della dipendenza che ne deriva, l’angoscia della perdita della memoria: si cominciano a dimenticare i nomi, le cose da fare. Ricordo i vecchi del mio paese che si facevano un nodo al fazzoletto per ricordarsi qualcosa, ma poi nel soffiarsi il naso mormoravano avviliti: “Ecco, ho fatto il nodo, ma non ricordo più per cosa…”. Davvero vita grama per i vecchi.

Poi si passano i settant’anni e occorre esercitarsi alla pazienza e cominciare a percepire ogni giorno come regalato, perché l’orologio del corpo non inganna più nessuno. I movimenti più quotidiani – alzarsi dal letto, camminare, salire le scale… – si fanno più lenti, pesanti: si sperimenta cosa significa “restare indietro” quando gli altri avanzano. Allora ci si tiene in esercizio con qualche passeggiata o con una partita a bocce, chi abita in pianura rispolvera la bicicletta cercando strade poco frequentate, ma la rigidità si fa sentire come inseparabile compagna: “A sun reid”, “Sono rigido”, è il lamento che accompagna dal mattino alla sera ogni movimento richiesto. Il corpo è sempre più lento, la psiche pure, mentre il tempo appare sempre più veloce, si accorcia giorno dopo giorno, come la luce nei freddi pomeriggi di dicembre.

Il vecchio non sa nemmeno cosa rispondere a chi gli chiede “come va?”. Non può certo dire “bene”, ma non vuole neanche lagnarsi, come a volte ha sentito fare ad altri più vecchi di lui. E allora, “A suma que!”, “Siamo qui!”: non stupore in questa affermazione ma piuttosto tanta sapienza. Non significa tanto “sopravviviamo”, ma piuttosto “stiamo ancora al mondo”: “siamo qui!” è l’affermare il presente proprio mentre tutto ciò a cui si guarda e si può guardare è il passato, il passato che vive nella memoria, il passato che è il grande patrimonio del vecchio”.

 

lunedì 20 giugno 2005

Abiti parlanti

Riecheggia ancora la sua eco, ma quanto è lontana la percezione. Sono i vestiti a conservare una parte di “lei” che i lavaggi non hanno dissolto. Durante il cambio di stagione, nell’armadio, mi passano tra le mani vari maglioni che offrono un’insolita sensazione di calore, quasi soffocante, richiamando alla mente episodi e situazioni. Un paio me li aveva regalati. Uno sicuramente per un compleanno, l’altro in una circostanza ormai imprecisata, ma ovviamente lieta. E poi non deve esistere sempre un motivo per fare un regalo, specialmente se la persona a cui lo offri ti è cara. E in quel momento io lo ero, evidentemente.

Poi ci sono altri pullover che mi ricordano un incontro, un’emozione, soprattutto quando venivano sfilati. Due, se non tre, li avevamo comprati assieme, o meglio funzionava così. “Provati questo, voglio vedere come ti sta addosso”. Ed io indossavo, provavo, ottenevo l’approvazione e si passava alla cassa. Il rito si ripeteva spesso, perché aveva deciso che dovevo indossare altri capi di abbigliamento e quelli che vedeva nei negozi li immaginava addosso a me, doveva solo attendere la visita mensile. E’ inteso, ovviamente, che anche a me piaceva tutto questo: se era contenta “lei” lo ero anch’io. E poi mostrava sempre un particolare compiacimento quando poteva vedermi con ciò che aveva scelto.

Ma sono le t-shirt a trattenere ancora la sua presenza, non solo in senso metaforico, visto che ce ne sono almeno tre o quattro che mi aveva lavato e, soprattutto, stirato. Un trattamento assolutamente esclusivo.

La scorsa estate le ho lasciate impilate sotto una colonna colorata. Anche accarezzate, quasi a voler percepire il calore delle sue emani, annusare il suo profumo. Ricordo benissimo quella sera agostana, di riposo casalingo, come una vera coppia,

Avevo steso io il bucato al mattino, “lei” aveva lasciato fare. In realtà l’avevo con dolcezza preteso ed era stata una sua graziosa concessione. La giornata assolata era stata efficace e poiché non amava molto trovarsi con panni da stirare, ecco che quella sera stava per materializzarsi, davanti ai miei occhi, un evento assolutamente prodigioso ed inaspettato, preceduto da mille distinguo e da sottili precisazioni.

Mi ero così incantato a guardarla, mentre apriva la tavola, deponeva davanti a sé gli indumenti, prendeva una delle mie t-shirt e ci passava sopra il ferro da stiro. Quindi ripiegate con cura, ma oserei dire, anche con amore, le t-shirt venivano apppoggiate sul divano, mentre io stavo andando in estasi.

Da due anni hanno mantenuto la stessa piega, perché non le ho più toccate. Adesso dovrò decidermi ad indossarle nuovamente e lasciar così volar via l’ultimo frammento rimasto sulle ali di una farfalla, tanto è leggero ormai e svuotato di ogni concretezza. Anche se un pochino mi dispiacerà.

giovedì 16 giugno 2005

Razzismi diversi

Non avrebbero potuto essere più differenti di così Claudio e F. Il primo, 23 anni, abitava a Besano, in provincia di Varese, a pochi passi dal confine con la Svizzera. Profondo Nord. Faceva il barista. Il secondo, 17 anni, risiedeva a Taurisano, in provincia di Lecce. Nel Salento. Profondo Sud.

A unirli solo una cosa: sono stati entrambi assassinati. Claudio dalla lama di un coltello che lo ha colpito varie volte al torace. F., da colpi d’arma da fuoco esplosi a più riprese.

Il giovane lombardo era intervenuto per sedare una rissa, che si era scatenata all’interno del locale in cui lavorava, tra due albanesi (17 e 21 anni) e un gruppo di ragazzi italiani del luogo. Provocazioni, qualche parola di troppo. Si sa come iniziano queste cose, si dovrebbe anche immaginare come potrebbero finire. Male, molto male stavolta. E l’occasione tragica ha offerto il pretesto per scatenare la rabbia della popolazione nei confronti degli immigrati, di colpo divenuti tutti irregolari e rissosi. Quando gli umori prendono il sopravvento sulla ragione, dispongono poi di ampio spazio per degenerazioni di ogni tipo, con la giustizia self service, mentre la presunta idea di vendetta travolge il buon senso. Grazie all’aiuto di irresponsabili, i qauli gettano benzina sul fuoco di un conflitto che rischia di estendersi.

Anche in Puglia un ragazzo è stato ucciso al termine di una lite tra coetanei, dove la rozza ignoranza, massicce iniezioni di bullismo, velleità di predominio tra gruppi rivali muovono le attenzioni e gli interessi. La vendetta poi, per il presunto onore deturpato, il timore di perdere la faccia e l’autorevolezza. Si fa presto, anche da quelle parti, anche tra italiani, a ritrovarsi con un’arma tra le mani, mentre la vita è un optional tra i pochi che sono offerti.

Giovanissimi anche qui i protagonisti, 18 anni l’assassino, con precedenti per reati contro il patrimonio, danneggiamenti e ingiurie. Il padre fu assassinato tredici anni fa per vicende legate alla droga. Nessuna tra le vittime (gravemente ferito anche il 14enne fratello della vittima e scampato all’agguato il maggiore dei tre fratelli solo perché la pistola si era scaricata) aveva precedenti penali, sono soltanto descritti come i tipici bulletti di paese.

Vite in sospeso, appese al filo sottile della predestinazione, imprigionate in un destino che nulla di positivo sembra promettere. Vite blindate nel disadorno panorama dei valori che li circonda. La tragedia di un Sud sempre più dimenticato  e in affanno che brucia in questo modo fresche risorse. Il conflitto immanente dell’immigrazione, dei contrasti razzisti, talora reali, talora presunti e preparati ad arte.

A Besano abitano extracomunitari inseriti che hanno un lavoro e altri irregolari, catapultati in Italia dall’effimero e virtuale luccichio dell’immaginario paese dei balocchi. Fare tutto un mucchio della proverbiale erba, si rivela sempre più una squallida operazione demagogica e fasulla. Anche per il delitto di Novi Ligure si puntò subito l’indice contro gli immigrati, mentre le “serpi” erano state allevate in seno.

E, come se non bastasse, occorre pure fare i conti con un’informazione che vellica i peggiori istinti delle persone. All’omicidio di Claudio quotidiani e tv, non tutti solo alcune, hanno dedicato le aperture e paginate varie. Su F., morto ammazzato nel Salento, gli inviati non sono stati sguinzagliati. Troppo banale, in fondo. Non fa notizia. Mentre sembra che l’albanese tiri ancora, specie se in negativo.

Chissà se avrebbero qualcosa da dire i pasdaran dell’embrione?

 

P.S. Ieri sera si è disputata tra Parma e Bologna la gara di andata dello spareggio per evitare la retrocessione. Ha vinto il Bologna per 1 a zero, ponendo una buona ipoteca sulla permanenza nella massima divisione. Merito dell’autore del gol, il centravanti Tare. Albanese.

P.S. 2 L’autorevole quotidiano “la Repubblica” (13 giugno) ha dedicato all’omicidio del barista due pezzi scritti dai due inviati a Besano. Il primo, relativo alla cronaca dei fatti, il secondo dedicato alle reazioni. Accanto, relegato in una colonnina, si dà conto di un altro omicidio, avvenuto in provincia di Enna, dove un operaio edile del luogo, italiano, ha ucciso con una coltellata alla gola, accanendosi poi sul corpo, l’ex fidanzato della figlia. Albanese. Un delitto d’onore. Vite di serie A e vite di serie B, evidentemente.

martedì 14 giugno 2005

Quorum in frantumi

Era l'editoriale del "Corriere della Sera" di domenica scorsa. Faceva leva sulla ragionevolezza, disprezzando i colpi bassi, le tinte forti. E commuove leggerlo, perché scritto da un grande giornalista che un piccolo uomo ha voluto fuori dalla tv di Stato, un "vulnus" che sarà sempre troppo tardi rimediare e che non suscita, sorprendentemente e amaramente, neppure più indignazione. Il cloroformio ha anestetizzato le coscienze. 

L’ho scelto come ideale conclusione dei post dedicati alla legge 40, dopo la grave e preoccupante sconfitta che, oltre tutte le più o meno convincenti spiegazioni della stessa, è figlia principalmente dell’indifferenza che ormai dilaga dovunque e ha mostrato il volto di una società scristianizzata, clericale, integralista, papalina, che non votando per la vita ha scelto la morte della speranza per decine di migliaia di persone, alle quali magari verrà chiesto scusa tra qualche secolo, come la riabilitazione di Galileo insegna.
















 

 

 

 NON DIMEZZIAMO LA NOSTRA SCIENZA


 


Alle urne: ecco i valori in gioco


Ci siamo. Da stamattina le urne sono aperte e perfino le previsioni meteorologiche scoraggiano ad andare al mare: temporali sul litorale ligure e anche al Sud nuvole sparse. D' altra parte l' invito agli italiani a sdraiarsi al sole non portò bene neppure a Craxi. Oggi è il giorno nel quale ognuno di noi è chiamato a decidere, a scegliere, il giorno nel quale non sono ammesse deleghe. Votare è un diritto. Anzi, qualcosa di più, qualcosa che ci appartiene e che è costato dolore e sacrifici alle donne e agli uomini della mia generazione. L' età mi consente di ricordare che cos' era questo Paese quando non c' era il problema di rinunciare al weekend per recarsi al seggio, ma mi vengono in mente, soprattutto, i momenti in cui riacquistammo dignità: il primo referendum, monarchia o repubblica, le elezioni del ' 48, le grandi battaglie per il divorzio e l' aborto, passaggi fondamentali per allineare l' Italia alle grande nazioni. Certo, la materia sulla quale siamo chiamati a dire come la pensiamo è delicata, difficile: è il desiderio di diventare genitori, di creare una vita, di capire quali sono i limiti della scienza e i progressi che si possono fare per curare malattie degenerative. Tutti hanno detto la loro: leader politici, scienziati, personalità della Chiesa e ogni opinione è evidentemente rispettabile. Non è apprezzabile, a mio parere, quella che invita all' astensione. Sono convinto che non esistano verità assolute per convincere a dire « sì » o « no » alle quattro domande che troveremo sulle schede e se il dibattito è stato a volte lacerante nelle istituzioni, lo è, in queste ore, anche in tante delle nostre famiglie: mogli che tracciano la croce da una parte, mariti e figli dall' altra, coppie che consegnano allo spoglio di domani sera la speranza di mettere al mondo un bambino, malati che affidano alle cellule staminali l' ultimo appello per la vita. Dunque la politica - destra, centro, sinistra - c' entra poco: stavolta i conti li facciamo con noi stessi, con il nostro buonsenso, con la nostra coscienza. Io, tanto per uscire dagli equivoci, sono per quattro sì, ma credo che almeno due siano indispensabili: quello sulla scheda celeste ( sì alla ricerca sulle cellule staminali embrionali) e altrettanto su quella grigia ( sì alla fine dell' equivalenza tra embrione e persona). Le argomentazioni scientifiche dovrebbero aver convinto che, mentre usciamo per andare a comperare le paste della domenica, è meglio entrare nella scuola del nostro quartiere e far valere i diritti di cittadini liberi, senza influenze da nessuna parte. In gioco ci sono valori che riguardano la coscienza, che non è poco, e non vorrei mai che qualcuno dovesse rinunciare a una prospettiva di guarigione o di vita migliore perché ho dato retta a un onorevole, a un ginecologo e, con tutto il rispetto dovuto, a un prelato. In questi due giorni di giugno gli italiani devono decidere, senza incertezze, se con la rinuncia agli studi sulle cellule staminali embrionali la ricerca scientifica deve essere dimezzata. Se capisco le ragioni etiche o religiose per le quali qualcuno rifiuta questa « metà » , non posso accettare che questo rifiuto diventi una legge valida per tutti. Sarebbe un gran brutto precedente.

Enzo Biagi



 

 

giovedì 9 giugno 2005

Col quorum in gola

La cifra caratteristica e ben definita di questa campagna elettorale è stata la mutazione genetica (si può ben dire) del referendum non più, o non solo, considerato uno strumento per cambiare o conservare la legge 40, ma anche per determinare la misurazione dei rapporti di forza esistenti tra cattolici e laici nell’Italia di oggi.

I laici, in netta maggioranza, voteranno SI, anche se non in ugual misura per tutti i quesiti. I cattolici sono invece divisi tra il SI’, il  NO e l’astensione. Senza entrare nel merito dei quesiti della legge, sottoposta a referendum (come la pensi io è denunciato dal fiocco in alto), mi preme invece evidenziare come l’argomentazione principale si sia spostata dalla contrapposizione logica tra SI’ e NO, a quella tra l’andare o meno a votare.

La principale motivazione utilizzata per invitare il popolo a disertare le urne è che sulla vita non si vota, Però in Parlamento si è “dovuto” votare sulla vita e allora? Significa forse che ai deputati e senatori tutto è concesso, mentre al comune cittadino è negata questa facoltà? Bizzarra suddivisione.

Un’ altra ragione che sconsiglierebbe il voto è che i quesiti sono complicati e difficili da capire e il popolo è ignorante (bella considerazione che si ha del potenziale elettorato). Così, invece di spiegarli, al popolo, gli viene consigliato benevolmente, s’intende (parla la Chiesa che invece di orientare le coscienze, come suo dovere, detta comportamenti elettorali) di rinunciare a pensare e di lasciar fare a chi sa, cioè ai politici, quegli stessi cioé che hanno varato una legge pessima e contraddittoria. Tra le più brutte della Repubblica. Se però sbagliare è lecito, perseverare è diabolico.

Un altro argomento, sostenuto da chi si vede costretto ad ammettere, in uno sprazzo di onestà intellettuale, che la legge 40 è contorta, è che va certamente modificata. Subito, però, si precisa che se  cambiasse, come propone il referendum, diventerebbe più pasticciata di prima. Anche in questo caso il consiglio, ovviamente benevolo, è di lasciar fare a chi sa, cioè ai politici. Vi è presunzione e arroganza in questo.

Ma l’invito all’astensionismo attivo viene ribadito convintamene, con motivazioni ormai stucchevoli e fastidiose. Anzi irritanti. E molto. Ora è vero che l’astensione è permessa, ma in una buona democrazia (cosa che l’Italia ancora non è, purtroppo) deve semplicemente significare che l’elettore assente non ha particolare convinzione o opinioni, perciò rilascia ad altri un’implicita delega e accetta, quale che sia, il risultato finale della consultazione. Il problema nasce quando chi ha una posizione di potere induce altri cittadini ad astenersi.

Nella Repubblica Italiana esistono, infatti, norme precise e chiarissime al riguardo, richiamate in vari blog che però coinvolgono una minima parte della popolazione. In tv non mi è mai capitato di ascoltare un riferimento alle stesse.

L’articolo 48 della Costituzione della Repubblica Italiana (Titolo IV, Rapporti politici) recita: 

”Sono elettori tutti i cittadini italiani, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. (...)”

Ora, si dà il caso che se il voto in cabina è segreto, non è segreta naturalmente la partecipazione o no al voto. Di conseguenza, chi consiglia di astenersi sarà perfettamente in grado, dopo il referendum, di verificare coloro che hanno o meno ascoltato il suggerimento. Non sarà allora che poter eseguire questo controllo costituisca proprio il motivo per cui, invece di consigliare di votare NO, si insiste tanto sull’astensione? A pensare male si farà pure peccato, però s’indovina spesso.

E ancora, poiché dovrebbe essere questo uno stato laico, anche se un brillantissimo amico ipotizzava più congrua la presenza al seggio delle guardie svizzere, continuo ad esaminare le leggi vigenti. Ed è interessante l’art. 98 del Testo Unico delle leggi elettorali, Titolo VII  (1957 e sgg):

”Il pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera

1. a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o

2. a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o

3. ad indurli all'astensione, è  punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000.”

Non solo, ma a chi afferma che invitare ad astenersi dai referendum non è reato per il fatto che è previsto ci debba essere un ‘quorum’ (e poi lo esaminerò) va ricordata la norma seguente che è l’art. 51. della legge 352/1970 (Norme sui referendum):

”Le disposizioni penali, contenute nel titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge. Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei titoli I, II e III della presente legge”.

Indurre all’astensione, quindi, è reato. Chi commette tale reato? Non il papa, che è cittadino di uno Stato straniero e al quale, semmai, si potrebbe solo far osservare l’opportunità della ‘non ingerenza’ nelle questioni interne di un altro Stato. Sicuramente, invece, lo commettono i preti che sono cittadini italiani ed elettori e che dal pulpito possono “indurre” i loro parrocchiani all’astensione, come è verosimile accadrà domenica prossima. Stessa cosa per gli insegnanti di religione. Qui, peraltro, occorre notare come molti di loro, laici, siano ricattati (revoca dell’idoneità annuale all’insegnamento) dalle rispettive diocesi qualora andassero a votare. Quanto ai politici, sono certamente investiti di un pubblico potere, i presidenti di Camera e Senato, se parlano come tali. E sicuramente i ministri. A tal proposito questa è una notizia Ansa, battuta da Firenze il 3 giugno. “Il segretario della Federazione dei Liberali, Raffaello Morelli, ha presentato stamani alla Procura di Firenze un esposto-denuncia, affinché l'autorità giudiziaria accerti se il presidente del Senato, Marcello Pera, istigando i cittadini italiani ad astenersi dal voto nei referendum del 12-13 giugno, abbia violato la legge che stabilisce sanzioni penali per chiunque, investito di pubblico potere o funzione civile, abusi delle proprie attribuzioni per indurre gli elettori all'astensione' La legge di riferimento è la 361/1957, art.98". (ANSAweb)

E veniamo al quorum, Avendo ormai accertato che gli elettori che vanno alle urne oscillano percentualmente tra il 70 e l’80’% degli aventi diritto al voto e tenendo conto della logica che vadano a votare, in larga parte, solo i sostenitori del SI’, il quorum dovrebbe essere abbassato al 40%.

Peraltro, non c’è il quorum in nessun Paese dove il referendum e l’iniziativa funzionano davvero come ad esempio in Svizzera e a livello dei singoli stati degli USA. Non c’è quorum di partecipazione neppure in Irlanda, Spagna, Regno Unito, Francia, C’è il quorum più basso del 50% in alcuni paesi: del 40% in Danimarca e del 25% in Ungheria. Le elezioni amministrative, comunali, provinciali e regionali in Italia non prevedono nessun quorum di partecipazione. In molti paesi del mondo la percentuale media degli elettori che si recano alle urne è vicina o al di sotto del 50% degli aventi diritto, come ad esempio negli USA, dove è quasi una tradizione.

Nelle elezioni presidenziali del 1996 vinse Clinton, ma la percentuale dei votanti fu del 49% degli aventi diritto. Nessuno si sognò, peraltro, di mettere in dubbio la sua legittimità democratica solo perché meno della metà degli aventi diritto si recò alle urne a votare.

Il referendum confermativo, su una legge di modifica costituzionale sul federalismo (previsto automaticamente per le riforme costituzionali), effettuato l’8 ottobre 2001 non aveva obbligo di superare il quorum ed ha avuto una percentuale di elettori votanti del 34% sugli iscritti a votare nella media nazionale (di cui 64,2 % per il SI’), ossia il 21,8 % degli aventi diritto al voto totali ha detto SI’ e il referendum è passato.

Esistono, allora, referendum di serie A (quelli costituzionali, determinati dai partiti politici) senza obblighi di quorum e quelli di serie B (quelli chiesti dai cittadini con faticose raccolte di firme) con maggiori obblighi?

Il quorum a livello locale non è previsto in nessuna legge nazionale che regola gli enti autonomi, neanche nel Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Pubblici – Decreto Legislativo 18 Agosto 2000, n. 267. Si parla di referendum, ma non si fissano quorum.

Alcuni comuni, come Ferrara, prevedono nel loro statuto il quorum per i referendum del 40 %, ulteriore prova del fatto che sono i consiglieri a decidere sulla percentuale del quorum. La Regione Toscana calcola il quorum sui votanti della precedente consultazione. E’, quindi, una loro stretta scelta politica, non un’imposizione dettata da qualche legge nazionale.

Poiché il tasso di astensione dal voto è in continua crescita, è verosimile che in futuro (come è già stato nel recente passato) sia impossibile o molto difficile raggiungere il quorum. Quindi il referendum diverrebbe uno strumento inutile. Privati, tutti noi, di una scheggia di democrazia che si alimenta di scelte e non di astensioni. La presenza del quorum scoraggia la partecipazione e preclude la possibilità dell’astensione vera e propria. Dove non esiste il quorum, chi è contro la proposta contenuta nel referendum, partecipa per votare NO. In Italia, almeno alla luce di quanto avvenuto negli ultimi anni, chi desidera votare NO, semplicemente evita di recarsi alle urne e, quindi, somma il proprio voto negativo a tutte le astensioni, facendo vincere scorrettamente la propria scelta. Infatti spesso vince il partito del NO, anche se in minoranza nel Paese. E così, la maggioranza degli italiani che voleva votare per il SI’, si ritrova defraudata del proprio voto. In tal modo viene penalizzato chi partecipa e premiato chi non partecipa.

Questo è il succo, lungo, delle mie peregrinazioni in Rete, saltellando tra un blog e l’altro, che metto a disposizione per completare l’informazione. La ricerca, tra l’altro, mi ha sottratto quel tempo che, in genere, dedicavo alla corrispondenza personale. La spiegazione è, come minimo, doverosa nei confronti di coloro che gentilmente mi hanno scritto di recente, ricevendo in cambio silenzio. Si è trattato di un silenzio attivo. Non s’è fatto apposta. Tornerà ben presto tutto come prima.

E, naturalmente, andate a votare.

domenica 5 giugno 2005

Veronica Lario: la scelta di votare

In attesa di ascoltare la voce di B. sui referendum, a meno che non si esprima con un sms come ha già fatto in passato (e stavolta sarebbe una buona idea), merita allora di essere sentita la first lady, così discreta e silenziosa quanto il principe consorte è invadente e debordante.

Parla poco, Veronica Lario, ma quando lo fa lascia sempre il segno, come nell’esternazione sulla guerra in Iraq e le manifestazioni per la pace.

Andrò a votare. Questo referendum affronta questioni su cui è doveroso formarsi un’opinione. Mi sembra quasi di essere tornata agli anni Settanta, quando il diritto all’aborto diventò un argomento di discussione quotidiana (.....) e ruppe quel muro di silenzio e di vergogna che opprimeva l’animo di una donna costretta a quella scelta. Nell’aborto non c’era soltanto il rischio di morire e la morte che dolorosamente si infliggeva, ma anche il silenzio tremendo, che accompagnava la scelta e che veniva mantenuto: non si ama parlare di qualcosa che si è perduto.”

“Se si chiede a un cittadino di esprimersi su questi argomenti, credo che la prima, istintiva, reazione, sia di guardare alla proprie personali esperienze o di immedesimarsi in quelle degli altri. Per quanto mi riguarda, c’è un’esperienza personale che mi fa riflettere. Ho avuto un aborto terapeutico, molti anni fa (negli anni Ottanta n.d.r). Al quinto mese di gravidanza ho saputo che il bambino che aspettavo era malformato e per i due mesi successivi ho cercato di capire, con l’aiuto dei medici, che cosa potevo fare, che cosa fosse più giusto fare. Al settimo mese di gravidanza sono dolorosamente arrivata alla conclusione di dover abortire. E’ stato un parto prematuro e una ferita che non si è rimarginata.

Ancora oggi è doloroso condividere pubblicamente quell’esperienza, ma in un momento in cui tanti di noi si sentono immaturi, impreparati, rispetto alla conoscenza della legge 40, ai contenuti del referendum, ecco, sapere come andavano le cose venti o trenta anni fa, quando la scienza non era così avanti come oggi, potrebbe essere utile.”

“Se da noi, in Italia, certe tecniche fossero proibite, si andrebbe all’estero e mi spaventa l’idea che altri Paesi, meno scrupolosi, potrebbero consentire qualsiasi cosa. Non andare a votare significa non voler affrontare il problema. Essere chiamati al voto, invece, impone di informarsi, magari in linea con le proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche. L’importante è non fingere che il problema non esista. Penso che in certe circostanze l’umanità debba sforzarsi”.

Questo il corpo centrale dell’intervista, raccolta da Maria Latella e pubblicata l’8 aprile sul “Corriere della Sera”.

mercoledì 1 giugno 2005

Legge 40.La fede e l'urna

Mancano undici giorni all’importante consultazione referendaria e all’accertata marginalità dell’appuntamento, secondo l’ottica distorta e ossequiente dei media, aggiungo la personale idiosincrasia verso la posizione astensionista, legittima quanto si vuole, seppure molto discutibile, però assunta come l’unica opzione possibile da parte di chi è terrorizzato dalla certezza che, in caso dell’auspicato raggiungimento del quorum, prevarranno in forte maggioranza i “sì”.

Gli stralci dell’intervista che propongo di seguito mi paiono esemplari, invece, di quella che dovrebbe essere una corretta posizione. Mi trovo sostanzialmente allineato al contenuto della stessa.

Afferma, dunque, la persona interpellata che: “Le leggi dello Stato non possono essere la traduzione meccanica dei principi etici della religione cattolica. Questi principi devono essere mediati dalla dialettica politica, devono tener conto di altre sensibilità, di altre convinzioni. Le leggi sono sempre frutto di un compromesso fra le varie opinioni in campo. Se così non fosse avremmo uno stato teocratico” In particolare, aggiunge: “Quella legge ha assorbito alcuni principi cattolici, come il fatto che l’embrione sia persona fin dal concepimento, trascurando che molti non condividono questi principi. Per questo c’è stata nel mondo laico una vera e propria insurrezione, che si è tradotta nella volontà di cercare di modificare la legge attraverso i referendum” La posizione che dovrebbero assumere i cattolici, a questo punto, è molto chiara. “Accettare lo scontro, metterci in campo con le nostre idee, per tastare il polso della società. Sarebbe anche un’occasione per attivare nella Chiesa una discussione, un confronto. Bisognerebbe approfondire meglio i temi connessi alla fecondazione assistita, in modo da avere un quadro più preciso di questo delicato problema. Del resto, anche sulla donazione degli organi la Chiesa in un primo momento era contraria, perché li considerava un’offesa al corpo, ma poi ha cambiato idea. E lo stesso è successo con la cremazione e con le teorie evoluzionistiche”.

Così si esprimeva monsignor Giuseppe Casale, arcivescovo emerito  di Foggia, il quale naturalmente andrà a votare. L’intervista è apparsa su “L’espresso” del 7 aprile scorso.